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Miracolo: la sinistra si unisce?

Effetto collaterale del nascente Partito Democratico: l'unificazione della sinistra. Per ora, solo vagheggiata, ma comunque...

S

Oliviero Diliberto
e davvero il recente concepimento del nascituro Partito Democratico, a causa dell’anticipata lacerazione del cordone ombelicale con Mussi ed Angius, avesse anche l’effetto collaterale di provocare la fusione di tutti gli altri gruppuscoli della sinistra, si potrebbe gridare al miracolo. L’idea di unificare tutte le formazioni che restano a sinistra del PD si è imposta subito, appena è apparsa la possibilità che i dissidenti dei DS si accingessero ad inventare una nuova sigla. Ed infatti per adesso vanno a costituire nuovi gruppi parlamentari con una consistenza non di poco conto. Appunto l’espressione di vertice istituzionale di un nuovo partito, che va ad allungarne la serie già numerosa che annovera Rifondazione, Comunisti Italiani, Verdi, Italia dei valori e lo SDI di Boselli (e forse dimentico qualcuno...).

Il nuovo ingresso ha avuto l’effetto della goccia che fa traboccare il vaso. Erano già molti prima, ancora un altro è davvero troppo. Quindi l’idea di metterli tutti assieme si è presentata come ragionevole reazione ad uno scenario che rasenta il ridicolo. E Diliberto, impegnato subito dopo in un congresso del suo partito, non ha potuto ignorarla. Ha infatti lanciato con insistenza la proposta di una unificazione, se non proprio di una fusione, secondo un modello, mi pare di aver capito, confederale. Non è un granché, poiché un tale modello preserva l’autonomia e l’identità di ogni singolo gruppetto, solo li vincola a ricercare una linea comune che però deve essere stabilita secondo la regola dell’unanimità, non della maggioranza. Come si vede, niente di più che una stabile alleanza o patto di unità d’azione, proposti però con la suggestione di un incontro unificante per far credere di volere acconsentire ad una domanda che si avverte salire dal senso comune. D’altra parte già abbiamo sentito Boselli rimarcare la differenza fra la tradizione socialista e quella comunista, trovando un puntuale riscontro in Diliberto, che ha giurato sulla sua irrinunciabile fedeltà comunista. Assisteremo dunque al miracolo? Dubitarne mi sembra prudente.

Sopratutto perché il confronto fra le varie formazioni, ed anche fra le due parti che stanno per convolare nel Partito Democratico, verte soprattutto su questioni retrospettive come le originarie identità, le rispettive tradizioni, l’olimpo dei padri fondatori e, quando accenna a curarsi dei problemi presenti o di progetti futuri, resta in superficie e non mette in discussione le basi culturali dominanti. Ed invece è proprio questo il passaggio obbligato che deve essere affrontato e percorso. Non basta scegliere la parte dei lavoratori, pretendere paghe più decorose, difendere le pensioni, battersi per migliorare le condizioni di lavoro. Giusto tutto questo, che però è più propriamente materia di competenza del sindacato. Il partito, un partito di sinistra (ed anche di centrosinistra quale sta per divenire il Partito Democratico) ha un ruolo assai più impegnativo, deve governare la trasformazione della società. Deve tradurre la cultura di sinistra, che esiste, in coscienza politica di massa. Trasformare la società, il mondo in cui viviamo è un compito enorme. Essa funziona secondo meccanismi e strutture consolidate. La sua base economica è ispirata dai principi del liberismo ed è dominata dal grande capitale. Gli stessi governi nazionali ne sono fortemente condizionati, anche perché le dimensioni del loro potere sono inadeguate a far fronte all’estensione transnazionale della sua dinamica. Soltanto la politica, come espressione della cosciente volontà popolare, può por mano a graduali correzioni all’incedere implacabile del mostro vorace che è divenuto il capitalismo moderno. E’ vero che nei secoli scorsi ha accumulato molta ricchezza; ma ora genera il terrorismo e le guerre preventive, sfrutta le ricchezze naturali di popoli che restano nella miseria, provoca problematiche immigrazioni nelle nostre città opulente di masse disperate, prepara uno scontro dagli esiti imprevedibili con i nuovi colossi asiatici, deturpa l’ambiente naturale e modifica il clima, esalta il mito del PIL basato sulla inesauribile produzione di beni e rifiuti, genera sacche di povertà sempre più estese, in una parola sono sempre più i problemi che crea di quelli che risolve.

E’ stata un’era caratterizzata dalla ricerca della libertà, intesa come indipendenza degli individui, dei gruppi e dei popoli. Oggi il mondo, divenuto un villaggio globale, al contrario ha posto come vincolo imperioso l’interdipendenza di ogni sua parte, intesa come correlazione equilibrata, come tendenziale eguaglianza fra i suoi abitanti.

Il liberismo è stato conveniente per creare ricchezza. Ora però minaccia sviluppi catastrofici. Per prevenirli conviene perseguire un’equa distribuzione delle risorse economiche. Liberté sta bene. Ma anche égalitè e magari fraternité. Ma non basta che questi valori siano predicati da profeti disarmati. Sono i partiti della sinistra, e del centrosinistra, che devono trasformarli in coscienza di massa, in cultura politica capace di correggere i devastanti meccanismi dell’economia di mercato.