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Centrosinistra, il bicchiere è mezzo vuoto

L'Unione trentina, egemone in tutti gli ambiti sociali, vince per un risicato 0,4%. Come mai? Le due politiche della giunta provinciale, innovazione in città, contributi nelle valli. Risultato: disagio sociale, un modello di sviluppo obsoleto, il sistema di potere che entra in crisi.

Dunque, l’Unione trentina ha vinto per il rotto della cuffia. Come analizza Marco Brunazzo (Elezioni: Trento assediata dalle valli), il centrosinistra è passato da un vantaggio di oltre otto punti ad uno di soli 0,4 (e con l’apporto del 2,3-2,5% dei radicali/rosa nel pugno, che la volta scorsa erano dall’altra parte). E anche sul numero degli eletti: dicevano "Faremo cappotto" "Il Trentino da solo annullerà il vantaggio di Berlusconi in Lombardia" (e ci avevamo creduto anche noi, vedi Legge elettorale: tutta da ridere); è finita con un 6 a 3. Unione vincitrice quindi, ma sotto tutti i pronostici.

Il presidente della giunta provinciale Lorenzo Dellai.

A questo punto nel centro-sinistra si apre la problematica del bicchiere mezzo pieno/mezzo vuoto. Mentre il centrodestra non ha dubbi, il suo bicchiere è colmo: abituati alle bastonate, aver quasi raggiunto i contendenti è un successo insperato; e – auspicano – foriero di ulteriori passi in avanti al prossimo appuntamento.

A nostro avviso, per capire meglio la situazione, è necessario ricordare i dati di partenza, che, come dicevamo, erano tutti per l’Unione. Non solo e non tanto a livello politico, di partiti, ma a livello sociale. Non parliamo solo del sistema di potere della Margherita (su cui torneremo), della ramificata rete di sindaci e assessori; ma dell’insieme della società: Chiesa, mondo cattolico, cooperazione, sindacati, associazioni di categoria (con la sola pallida eccezione dell’Unione Commercio), università, media imprenditoria, ecc, tutti a favore dell’Unione. Raramente attraverso dichiarazioni pubbliche, ma sicuramente nelle convinzioni personali e nei colloqui privati. Un consenso amplissimo, un’egemonia indiscussa, tale da ricordare i tempi in cui la Democrazia Cristiana da sola aveva la maggioranza assoluta.

Tutto questo si è poi tradotto, nelle urne, in un +0,4%. Come mai?

Nel centro-sinistra fanno male quelli che eludono l’interrogativo, trincerandosi dietro la pur risicata vittoria. O quelli che attribuiscono tutto a dinamiche nazionali, come le campagne mediatiche e la trappola delle tasse. Sta di fatto che questi fattori, operanti ovunque, non hanno impedito al centrodestra di arretrare nel resto del Nord (mentre in Trentino è avanzato); e al centro-sinistra di stravincere nelle regioni rosse.

Forse vale quindi la pena di vedere se da noi non ci siano specifici problemi politici e sociali che spieghino questo spostamento.

Il dato di fondo è indubbio, tanto risulta evidente: la prevalenza del centro-destra nelle valli (vedi ancora la nostra coverstory Elezioni: Trento assediata dalle valli e in particolare le cartine), quella del centrosinistra nelle città.

Sembra il ribaltamento di un assunto finora dato per assodato: la Margherita formazione egemone in quanto "partito del territorio", partito degli amministratori di valle, dei sindaci, i migliori dei quali vengono promossi ad assessori provinciali. A questo punto risulta che il cosiddetto partito territoriale è stato in grado – finora – di controllare il voto in ambito locale; ma non è riuscito a costruire cultura, orientamento generale. Anzi, ha prodotto fenomeni di rigetto.

L'on. Marco Boato (Verdi).

Lo vediamo in questi giorni sui quotidiani: le denunce – in gran parte provenienti dall’interno della stessa Unione, dal senatore Boato, dall’on. Kessler, dal sindaco di Pergine Anderle – delle pressioni pre-elettorali e delle minacce post-elettorali sui sindaci da parte di un "potente assessore provinciale".

Ed è solo la punta dell’iceberg: da tempo si percepisce un diffuso fastidio nelle periferie per la pretesa di personaggi del governo provinciale di collegare contributi, lavori pubblici e orientamento elettorale.

E’ un’evoluzione culturale: l’amministratore locale pretende il contributo senza dover garantire la fedeltà politica (un po’ come noi, che stiamo scrivendo su un computer acquistato con contributo della legge provinciale sulla cultura, senza per questo sentirci obbligati verso nessuno).

E’ ancora l’onda (molto) lunga dell’89: anche nella vecchia Dc gli amministratori locali non gradivano la soggezione al centro, ma dovevano rassegnarsi, non avendo alternative. Ora, caduto il muro, le alternative ci sono.

L'assessore agli Enti Locali e ai Lavori Pubblici (e che talvolta mescola le due cose) Silvano Grisenti.

Insomma, è tutto un sistema di potere che viene messo in discussione: la Margherita, quando si faceva portatrice del nuovo, convinceva; ora che appare mero aggregato di potere, arranca.

Questa deriva peraltro è stata con preoccupazione percepita dallo stesso Dellai, che già da sei mesi lancia segnali di allarme su problemi etici, necessità di rinnovamento, ecc (La (pseudo?) svolta etica di Dellai). E perfino dal superassessore Silvano Grisenti (principale indiziato delle promesse/minacce pre/post elettorali): peccato che in entrambi i casi (con Grisenti non stupisce, ma con Dellai è grave) il tutto si sia risolto in fumose proposte di "comitati etici", o in progetti sull’ennesimo nuovo contenitore degli stessi contenuti.

Il punto è che la politica provinciale sembra aver perduto spinta propulsiva. Soprattutto – guarda caso – nelle valli.

Perchè le città – Trento e Rovereto innanzitutto – direttamente beneficiano dell’ambito in cui Dellai ha più specificatamente spinto e innovato: cultura, università, ricerca. In cui molto si è speso, ma molto si è ricevuto; in termini diretti (occupazione, giro di soldi, nuovi livelli d’istruzione) e indiretti (animazione e acculturamento diffuso, che oltre tutto è un sicuro antidoto al berlusconismo).

In periferia invece si è dato corpo a una politica più tradizionale: fatta di contributi a pioggia, opere pubbliche, spinta al turismo impiantistico.

I soldi investiti (i soliti dividendi dell’Autonomia) non sono stati pochi, tutt’altro. "Gli abbiamo dato tutto, che vogliono ancora?" - sembra sia stato il commento a piazza Dante sul risultato della val di Fassa. Ed hanno indubbiamente creato ricchezza; ma non un modello sociale.

Dalle valli: ordinarie notizie di degrado sociale.

Il nostro Luigi Casanova può per taluni sembrare una Cassandra nel lamentare il degrado sociale delle valli del turismo spinto (La fatica di vivere): però i dati sui costi degli affitti, sull’immigrazione stagionale, perfino sui suicidi giovanili (Val di Sole: morire di benessere), come pure le notizie sulla diffusione di droga o le valutazioni sulla scarsa presenza del volontariato, tutto converge a confermare il giudizio di "deserto comunitario" che un osservatore attento come don Marcello Farina ha attribuito alle valli trentine, passate in pochi anni da una situazione sociale di rigido conservatorismo ad una di incipiente degrado.

In quest’ambito la giunta Dellai si è data la zappa sui piedi: irridendo l’ambientalismo e chi propugna un turismo soft, basato sulla cultura e sulla sostenibilità sociale ed ambientale; o addirittura – vedi il candidato Detomas – inseguendo, peraltro invano, Forza Italia nel proporre soluzioni obsolete ed irrazionali come la PiRuBi (Elezioni: i nostri faccia a faccia).

Ma più in generale, anche al di là dell’ambito del turismo e dell’ambiente, peraltro quanto mai indicativi, il centrosinistra provinciale non è apparso portatore di un progetto nuovo, bensì l’interessato sostenitore di vecchi egoismi. Che non hanno avuto difficoltà a riconoscersi meglio in chi dell’individualismo sfrenato è l’interprete più autentico.

Parleremo nei prossimi numeri delle nuove prospettive che, a questo punto, si aprono per il centro-destra. Qui concludiamo sul centro-sinistra.

Secondo noi per l’Ulivo, riprendere la visione riformatrice, venire incontro alle attese deluse "adeguare il Trentino agli anni 2000" (Dellai) non può più essere solo un bello slogan, un optional; ma una condizione ormai essenziale, vitale. Ci sembra (vedi intervista L’Unione arranca. Via d’uscita: il Trentino della qualità ) che per alcuni ce ne sia la consapevolezza. Vedremo se riusciranno a convincere anche chi invece, pensa di poter andare avanti secondo i vecchi, logori schemi.