La politica che non piace
Una disaffezione che ha ragioni profonde e fondate. Anche in Trentino.
“E allora perché studi Scienze politiche?" domandavamo all’inizio dell’università ad un’amica, più grande di noi, che parlava della politica italiana con toni sempre sprezzanti e liquidatori.
"Per tenermene lontana!" era la risposta, preparata ma efficace, che questa ci opponeva.
La disaffezione dei cittadini alla politica e l’allontanamento che si crea tra questi e la classe che li governa, è un vecchio tema che in Italia, di tanto in tanto, torna alla ribalta. Il fenomeno di per sé è noto, eppure sono (e sono state) molto diverse le declinazioni nelle quali esso si è di volta in volta espresso. Tra le parole di Guglielmo Giannini (il creatore dell’Uomo Qualunque) e quelle di Gian Antonio Stella (autore de "La casta", documentatissima ed impressionante requisitoria su privilegi e sperperi dei politici odierni) passano infatti sessant’anni, i sessant’anni di vita della nostra Repubblica. Anni in cui a denunciare questo distacco sono state realtà estremamente differenti. Cos’hanno infatti in comune le posizioni populiste del Fronte dell’Uomo Qualunque con i movimenti pacifisti e sognatori del ’68, le manifestazioni violente del ‘77 con la strumentalità dell’antipolitica berlusconiana, i morettiani attacchi alla nomenclatura con gli sbraiti leghisti su "Roma ladrona"?
Difficile dare una risposta. E’ chiaro che tutte queste manifestazioni sono state, a modo loro, la cartina di tornasole di un disagio, dell’inquietudine di una parte della popolazione contro il mondo politico. Ma è anche vero che questi momenti sono stati tra loro molto diversi.
Quello di Moretti (La sera in cui la nomenklatura rimase nuda) era un atto d’accusa verso una classe politica, non verso la politica, i girotondi si proponevano di riavvicinare le persone alla politica, in modo più consapevole e partecipato, non di rinchiudersi su posizioni extraparlamentari. Diverse erano invece le pulsioni del ’77, così come anche le tracotanti accuse leghiste. Ed oggi?
Oggi che la pazienza appare al limite, il malumore diventa complessivo e non chiaramente indirizzato. Da una parte delude la politica intesa come azione di governo, che non solo non riesce a rilanciare un’idea forte verso la quale dirigersi con slancio, ma non sa nemmeno prendere delle decisioni pragmatiche e contingenti; dall’altra ci irrita la politica intesa come ceto sociale, percepito ormai come una casta, sempre più distante non solo dalle necessità, ma anche dagli stili di vita delle persone che l’hanno eletta.
Una possibile valvola di sfogo era stata individuata, e confermata dai quattro milioni di persone in fila per le primarie: una politica più partecipata, le decisioni strappate alle oligarchie. Questa doveva essere la parte più innovativa del progetto del Partito Democratico, passibile di estendersi, per contagio positivo, alle altre formazioni politiche.
Infatti, mentre impazza il dibattito sulla sfiducia nella politica e nei politici, non si può negare che in pentola bollano idee e proposte tali da portare, comunque vada, a una modificazione del quadro politico e di quello partecipativo. I progetti di Partito Democratico, Sinistra Democratica, la nuova linea puramente centrista dell’UDC e le voci che riguardano un partito unico del centrodestra, potranno piacere o no, potranno segnare una novità o una riedizione del passato sotto altre vesti, ma costituiscono comunque la premessa di una fase nuova. Una fase potenzialmente capace di riconsegnare la politica ai cittadini, da tempo consultati e coccolati solo nell’imminenza di tornate elettorali.
Purtroppo questo quadro, non esaltante ma in movimento a livello nazionale, appare bloccato a livello locale. Tutti in attesa di qualche segnale che non arriva. Il PD non decolla e nessuno si sente legittimato a prendere in mano la situazione. I DS fanno dichiarazioni d’intenti sostanzialmente velleitarie e impotenti, Dellai e la Margherita appaiono in pieno marasma. A sinistra, chi aveva portato avanti la mozione Mussi al congresso DS non ha, almeno apparentemente, dato seguito all’iniziativa e non ci sono nemmeno segnali espliciti di quella possibile aggregazione di cui a livello nazionale si parla. Insomma, il famoso laboratorio che il Trentino è stato in passate occasioni sembra del tutto inceppato. Ora come ora, infatti, sembra che la scelta che si profila in Trentino sia tra il restare fermi ai vecchi schemi e l’accodarsi, in ritardo, a quello che sarà già accaduto a livello nazionale.
Tale impasse - la cui causa primaria è facilmente riscontrabile nel piccolo tatticismo dei politici, preoccupati che un nuovo scenario possa tradursi in qualcosa di davvero nuovo perché senza di loro - non aiuta certo i cittadini a guardare ai Nostri con rinnovata stima e fiducia.
In questo senso uno dei partiti che si sta comportando peggio mi paiono essere i DS. - ci dice Silvio Goglio, professore di Economia politica all’Università di Trento - Sembra che tutte le posizioni su cui si colloca il partito di Andreolli siano tese al mantenimento dei privilegi e delle posizioni acquisite. Atteggiamenti da casta, appunto".
Disilluso e amareggiato, il prof. Goglio percepisce il rischio che la disaffezione si spinga oltre, che passi dall’interessare i politici a coinvolgere la politica in senso lato.
"Qui in Trentino i partiti sono poco strutturati, la politica e la linea di partito vengono quindi troppo spesso a sovrapporsi con la volontà del leader di turno. Questa sovrapposizione tra leader e partito, chiude nei partiti lo spazio del dibattito, del dissenso, della ricerca di nuove linee; e così contribuisce ad allontanare dalla politica chi, perplesso per l’operato dei politici, sarebbe pronto a spendersi per ipotesi alternative".
Ma c’è un però. In Trentino tante cose funzionano, a cominciare dai servizi; e conseguentemente la classe politica, che in fin dei conti viene valutata anche o forse soprattutto per la sua capacità amministrativa, qui dovrebbe godere di un credito maggiore che altrove. Eppure questa non sembra tuttavia essere la percezione corrente. Come mai?
"Il Trentino è molto ricco e può quindi redistribuire molte risorse. Però attenzione: questa possibilità può ovviamente garantire voti, ma non riesce tuttavia ad assicurare il consenso. Insomma, i politici sono comunque guardati con disillusione e percepiti distanti, anche perchè fare politica e amministrare sono due cose differenti".
Questa distanza tra l’amministrazione e la politica ci pare possa essere sottolineata anche nella vicenda relativa al Partito Democratico dove - lo abbiamo già detto - il famoso laboratorio Trentino non pare produrre alcuna alchimia significativa.
Il prof. Goglio sembra avere in merito le idee chiare: "I DS non fanno nulla perché il loro segretario Andreolli è troppo concentrato a galleggiare lui, come persona, e quindi a mantenersi aggrappato al segretario della Margherita Lunelli. E a sua volta la Margherita sembra indecisa, così come Dellai. Il dubbio che li blocca è la scelta tra valli e città, progresso e tradizione. Se infatti scegliessero il PD e puntassero quindi, in qualche senso, sull’innovazione, rischierebbero di perdere il consenso tradizionale delle valli. Molti elettori potrebbero andare a rimpolpare le fila di qualche altro partito, probabilmente di centrodestra, maggiormente conservatore".
Insomma, dominano una serie di calcoli di breve respiro e di dubbia esattezza, sia sul piano delle convenienze elettorali che di quelle strettamente personali. E il risultato è che il Trentino sta svuotando, se non proprio lasciando fallire, il progetto del Partito Democratico. Il quale, a nostro avviso, poteva indicare, per il centro-sinistra in prima battuta ma poi anche per l’insieme della politica, una via - peraltro chiaramente indicata dalla società civile - per uscire dall’attuale pantano. Le uniche – vaghe - speranze vengono da Roma. Essere fiduciosi, a questo punto, appare davvero difficile.