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Sudamerica, un continente in ebollizione

In America latina presidenti quasi solo di sinistra: che succede? A colloquio col giornalista Maurizio Chierici, profondo conoscitore del continente. Da L’altrapagina, mensile di Città di Castello.

Cosa sta succedendo in America Latina? Dopo Lula in Brasile, Kirchner in Argentina, Chavez in Venezuela, Tabarez Vazquez in Uruguay, è toccato all’indio Evo Morales, boliviano, battere una candidato di destra e guadagnarsi l’elezione a presidente. E appena qualche settimana fa Michelle Bachelet, socialista, ha vinto in Cile.

Il presidente venezuelano Hugo Chavez.

Sono tutti presidenti di sinistra, con accentuazioni diverse, ma con un tratto in comune: non vogliono più essere succubi degli Stati Uniti, né del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Ma cos’è, la rivolta del cortile di casa? - abbiamo chiesto a Maurizio Chierici, giornalista dell’Unità e profondo conoscitore della realtà latino-americana (poco più di un mese fa sono usciti allegati al quotidiano due suoi saggi sul Brasile).

"No – risponde Chierici – la situazione è molto più complessa". E’ certamente Chavez una della chiavi di lettura per comprendere quello che sta accadendo in America Latina. Il presidente venezuelano e il suo ministro del Piano Giordani, "un intellettuale molto raffinato di origine italiana laureato in matematica pura e in filosofia a Yale", si sono messi a fare i banchieri. Con i ricavi della vendita del petrolio, infatti, hanno acquistato bonus del debito argentino, più o meno un miliardo di dollari, e hanno così consentito a Buenos Aires di liberarsi dalle politiche imposte dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale, che affamano le popolazioni dei paesi in difficoltà. E anche Ecuador e Bolivia, lascia intendere Chavez, potrebbero usufruire di queste possibilità, a condizione che il prezzo del greggio non scenda sotto i 50 dollari al barile. Una manna per paesi che hanno duramente subito le cosiddette politiche di aggiustamento strutturale (che significano, in sostanza, tagli alla spesa sociale e privatizzazione del patrimonio dello Stato) imposte loro dagli organismi internazionali.

Non va dimenticato che in America Latina ci sono ancora 213 milioni di persone povere, e 80 milioni "ricordano i mendicanti di Calcutta: ombra da strada".

Il presidente boliviano Evo Morales.

Ha scritto il nostro interlocutore in un suo recente articolo sull’Unità: "Distratti dai disastri di Baghdad, gli Usa si sono disinteressati dell’altra America, affidandone la gestione ai dogmi di Fondo Monetario e Banca Mondiale, e al piccolo cabotaggio degli intrighi d’ambasciata".

Ma la pacifica rivoluzione sudamericana non si ferma qui. La vittoria di Evo Morales in Bolivia - continua Chierici - sta provocando una sorta di effetto domino un tutta l’America Latina. In Perù, per esempio, Ollanda Humala, un ruvido ex militare di origine indigena, che spara a zero su liberismo e globalizzazione, sta risalendo nei sondaggi grazie anche all’aiuto di suo fratello Antauro, un altro ex militare che ora è in galera per aver partecipato a una rivolta degli indigeni dell’altopiano contro le autorità corrotte. Ollanda Humala e suo fratello – continua Chierici – non vanno d’accordo, "eppure gran parte degli elettori sta rifiutando i partiti tradizionali e trova comodo riunire le due facce della famiglia divisa in un solo voto". E ora Lourdes Flores, cattolica conservatrice sponsorizzata dal cardinale Cipriani (il primo vescovo americano a dichiararsi apertamente dell’Opus Dei) e accreditata di un 24-25% dei consensi, comincia a rendersi conto che la sua elezione non sarà una passeggiata. Humala in poco tempo è infatti salito dal 2-3 per cento a oltre il 12%. E al voto mancano ancora tre mesi.

Lopez Obrador, ex governatore di Città del Messico, l'uomo che fa tremare l'establishment messicano.

In Messico, invece, è l’ex governatore della capitale Lopez Obrador l’uomo che fa tremare l’establishment conservatore. Vicino alla sinistra più radicale ("Ma adesso – dice Chierici – sta diplomaticamente attenuando le posizioni più rigide") è in testa nei sondaggi con un largo margine, tanto da costringere due partiti sulla carta agli antipodi, come il partito di destra Pam del presidente Fox e il Pri (Partito rivoluzionario istituzionale) che ha governato il paese per 80 anni, a pensare di far fronte comune per battere questo pericoloso concorrente. Ma a dare una mano a Lopez Obrador ci ha pensato il governo Bush, che ha progettato la costruzione di un muro lungo 3.180 chilometri per separare Stati Uniti e Messico. Una soluzione contro la quale si è subito schierata la Chiesa cattolica, ma anche molti politici dei paesi centroamericani: dal nicaraguense Daniel Ortega (capo del governo sandinista degli anni Ottanta, che dopo essere uscito da una difficile crisi in cui era imputato di corruzione, è uno dei più accreditati concorrenti alla vittoria delle elezioni del novembre prossimo) ai governi di Honduras e Guatemala. "Sono in tanti – sottolinea Chierici – ad essere contrari all’idea di un muro in una frontiera dalla quale passavano ogni notte seimila persone".

E infine c’è Lula in Brasile, il presidente che ha suscitato più speranze e ultimamente anche qualche delusione in alcuni settori del suo elettorato. Dice Chierici: "Credo che Lula sarà rieletto, anche se ci sono malumori. I Sem Terra hanno ragione a insistere nelle loro battaglie, ma alla fine per chi votano, per Cardoso? Il Pt, il Partito dei lavoratori, che con i suoi 800.000 iscritti è il più grande partito della sinistra latino-americana, è consapevole che se Lula perde le elezioni per la sinistra è finita per almeno altri cinquant’anni. E il Brasile è un paese guida". Dopo una legislatura di politiche monetariste, dolorose ma necessarie per rimettere in piedi il paese (quest’anno il Brasile ha avuto un super utile di 5.870 miliardi di dollari), la prossima sarà incentrata prevalentemente sul sociale, sostiene il nostro interlocutore.

Per gli Stati Uniti, insomma, l’unico punto fermo in America Latina resta il colombiano Uribe, che verrà presumibilmente rieletto anche alle elezioni del maggio 2006. Veramente poco, se si pensa che essi consideravano la parte sud del continente come il loro tranquillo cortile di casa. E ora cominciano a rendersi conto che sta scappando loro di mano. "I parenti latini, pasticcioni e populisti, tutelati, guidati e nutriti se obbedienti - sottolinea Chierici - hanno cominciato a fare da soli".

Michelle Bachelet, presidentessa del Cile.

E hanno cercato anche altri interlocutori, primi fra tutti India e Cina. I cinesi stanno sbarcando dappertutto: chiedono di sfruttare le miniere del rame, costruiscono ferrovie in Argentina e Bolivia e si preparano a realizzarne anche in Venezuela che ne è del tutto sprovvista; vogliono il gas boliviano e stanno realizzando un oleodotto che dal Venezuela, attraverso la Colombia, raggiunga il Pacifico.

Ma la questione che angoscia di più gli Usa è Panama. Sei anni fa, quando a malincuore hanno abbandonato la gestione del canale, temevano caos e disorganizzazione. Invece, ricorda Chierici, "il traffico nel canale è aumentato, sono diminuiti gli incidenti e mai il bilancio aveva superato l’utile dei mille miliardi di dollari l’anno". E poi, grazie all’intervento di capitali cinesi (hanno vinto l’appalto per l’imbocco nel Pacifico e in quello nell’Atlantico), è stato già messo in cantiere l’allargamento del canale in modo da far passare non una ma tre navi alla volta.

Un’altra variabile della quale tener conto è quella militare. È accaduto più di una volta che golpe militari abbiamo rovesciato legittimi governi democratici. Su questo versante Maurizio Chierici è moderatamente ottimista. In Cile, per esempio, la popolazione non ha più paura dei militari, perché grazie alla riforma del presidente Lagos, essi "non sono più una casta chiusa, non possono più eleggere i loro rappresentati al Senato e il comandante non è più individuato al loro interno ma è nominato dal presidente". In Brasile, invece, Lula è stato bravissimo nello sventolare la bandiera del nazionalismo: non ha mai detto di no all’Alca (l’area di libero commercio dell’America che piace tanto agli Usa), ma l’ha svuotata di contenuto, pretendendo da buon sindacalista di trattare prodotto per prodotto. E sulle questioni militari ha detto: "Io non voglio insediamenti di eserciti stranieri in Brasile, perché i miei militari sono i più bravi delle due Americhe". Così, di colpo, si è riconquistato la fiducia delle forze armate.

Fidel Castro e Daniel Ortega.

Resta l’incognita del comportamento degli Stati Uniti, che per la prima volta si trovano di fronte a presidenti non ostili ma nemmeno succubi. Come reagiranno?

"I loro obiettivi principali restano sempre due: Chavez (presto andrò a intervistarlo, perché non so quanto possa durare) e Castro. Ma quest’ultimo, però, conta ormai poco. E la signora Rice sventola lo spauracchio di Cuba solo per ragioni interne. D’altra parte, la strada tracciata da John Negroponte, l’uomo che ha inventato l’Irangate, i Contras e che è stato trascinato davanti al tribunale internazionale per la violazione dei diritti umani, comincia a essere vecchia. E rovesciare presidenti popolari che hanno dietro milioni di persone non è una cosa semplice. E poi, incendiare l’America Latina non conviene nemmeno agli Usa".