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Coca, Coca Cola e cocaleros

Cosa c’è dentro la bibita più famosa nel mondo? Da L’altrapagina, mensile di Città di Castello.

Rodrigo A. Rivas

Il consumo delle foglie di coca nei Paesi andini è millenario. Ma la sua espansione commerciale, prima delle foglie, poi della cocaina ottenuta nei laboratori, nacque coi bisogni del colonialismo spagnolo, che l’utilizzò come strumento per sfruttare fino alla morte per sfinimento gli indigeni, particolarmente quelli costretti a lavorare nelle miniere d’argento.

Piantagione di coca e cocaleros.

Fino al XIX secolo, la cocaina conobbe un enorme successo nei paesi europei. Elogiata da Sigmund Freud, che scrisse addirittura un trattato sui suoi effetti benefici, fu consumata da molti personaggi celebri, finché nel 1891 un chimico iniziò a produrre, vicino ad Ajaccio, un vino che col suo alto contenuto di cocaina ebbe un enorme successo, tanto da portare altri chimici, questa volta ad Atlanta, a inventarne un succedaneo, decretando così l’atto di nascita della Coca Cola.

La messa fuori legge della cocaina arriverà solo dopo la Prima guerra mondiale quando, per combattere l’emigrazione asiatica, gli Stati Uniti associarono queste popolazioni al consumo di droga in generale, inaugurando una politica che portò dritto agli anni del protezionismo. Il periodo si chiuse con una sconfitta su tutta la linea di questa politica. Infatti, non solo si registrò un forte consumo dell’alcol e una crescita delle mafie trafficanti, ma anche un peggioramento della qualità del prodotto, provocato dalla diffusione delle distillerie clandestine, con il conseguente aumento delle vittime del consumo.

In America Latina la questione è stata posta con grande forza a partire dagli anni di Reagan, quando la produzione di coca e cocaina è stata associata, non senza ragioni, alla guerriglia. Tuttavia, questa visione nasconde il fatto che i grandi profitti del settore sono sempre stati appannaggio delle economie ricche, in termini di profitti e di lavoro, legale e illegale.

Evo Morales, attuale presidente della Boliva, viene presentato dalla stampa internazionale come il leader dei "cocaleros" del suo paese. In verità, la produzione di foglie di coca non ha alcun rapporto diretto con la produzione di cocaina. Nei paesi andini, le foglie sono commercializzate nei supermercati come un the particolarmente adatto a combattere i problemi legati all’altitudine; fanno parte del salario dei minatori e costituiscono una voce importante delle esportazioni legali del paese. Quindi "cocalero" sta per difensore di una produzione rivolta a questi usi, produzione regolata e controllata dalle autorità pubbliche, unica fonte di reddito decente dell’agricoltura locale. Si tratta, certamente, di una materia discutibile, comunque assai lontana dall’idea del trafficante che si cerca di spacciare.

Tra le molte cose dette nel breve periodo trascorso a partire dalla sua nomina a presidente della Bolivia, Evo Morales ha fatto riferimento a parecchie verità nascoste. In particolare, ha documentato il trattamento speciale concesso dai governi andini alla commercializzazione della foglie di coca comprate dalla Coca Cola International, azienda emblematica anche per la dominazione culturale che esercita su una buona parte del mondo.

Morales ha affermato che il commercio di queste foglie è illegale tra i paesi andini, ma non lo è affatto per l’azienda di Atlanta. Ovvero: tra i cittadini e le aziende andine le foglie di coca non possono essere commercializzate liberamente, ma la Coca Cola può acquistarne qualunque quantità in qualsiasi Paese andino produttore.

Un primo interrogativo può essere riassunto così: è vero o no che si utilizzano foglie di coca per produrre la Coca Cola? Non si tratta di una domanda retorica, ma dell’obbligatorio punto di partenza per studiare il caso.

A questo riguardo va ricordato che nel 2002 la Coca Cola negò ufficialmente il loro utilizzo. Infatti, nel novembre 2002, l’allora sottosegretario per le politiche sociali della Bolivia, Ernesto Justiniano, rese noto che il suo ufficio aveva autorizzato l’esportazione di 150 tonnellate di foglie di coca agli Stati Uniti "per la produzione della bibita Coca Cola". Questo fatto fu più tardi negato dalla portavoce dell’azienda statunitense, Karyn Dest, che interpellata al riguardo nel febbraio 2006 dal quotidiano messicano El Universal, dichiarò che "l’azienda non utilizza cocaina e che mai questa bibita ha incluso questa droga tra i suoi ingredienti". Tuttavia, il fatto è che nessuno ha mai parlato di cocaina nella Coca Cola. Ciò di cui i responsabili di governo hanno parlato è delle foglie di coca che l’azienda acquista, un tema che la multinazionale e la portavoce hanno evaso. Un semplice lapsus?

Torniamo alle dichiarazione del sottosegretario nel 2002. Si verifica che il governo boliviano, stretto alleato di Washington, "ha reso pubblico che soltanto Albo Export, una impresa appartenente al boliviano Fernando Alborta, ha esportato coca dal Perù e dalla Bolivia negli ultimi anni… Che, tra il 1997 e il 1999, questa azienda ha inviato negli Stati Uniti 340 tonnellate di foglie… Che le operazioni di acquisto e lavorazione sono vigilate severamente, in Bolivia dalla Direzione Generale per il Controllo e la Fiscalizzazione della foglie di coca, e negli Stati Uniti dalla DEA, che s’incarica persino di attrezzare direttamente i magazzini con sofisticati sistemi di allarme e casseforti speciali per l’immagazzinamento a New Jersey del curioso tesoro naturale" .

Non si tratta dell’unica contraddizione tra i fornitori "naturali" e i loro "migliori clienti". Il 21 gennaio 2004, lo zar antidroghe del Perù, Nils Ericsson, pubblicò sul quotidiano El Commercio di Lima un articolo (consultabile come quello del sottosegretario, in The Narco Bulletin, www.narconews.com) in cui afferma: "La Coca Cola, mondialmente nota fabbrica di bibite gassose, acquista annualmente nel Perù 115 tonnellate di foglie di coca e, nella Bolivia, 105 tonnellate, con le quali produce, senza alcaloidi, 500 milioni di bottiglie al giorno" Il che induce a pensare che la pressione per sradicare la coca in tutti i paesi andini produttori sia parte di una strategia rivolta a garantire alla Coca Cola il monopolio della foglie di coca, non solo con la intenzione di controllare questo mercato, ma anche per monopolizzare il mercato delle bibite che utilizzano foglie di coca. Bibite con o senza alcaloidi, comunque fiorenti nel Perù e nel Messico coi marchi Vortex Coca Energy e K-Drink.

Così stando le cose, in teoria si potrebbe anche arrivare ad una paradossale conclusione: se la Coca Cola International è la prima azienda multinazionale (monopolista) per quanto riguarda la commercializzazione delle foglie di coca, materia prima essenziale della cocaina, e i suoi portavoce negano l’utilizzo delle foglie di coca nella produzione della bibita, allora questa impresa dovrebbe essere il primo sospettato per quanto riguarda le reti mondiali del narcotraffico, dato che non si capisce cosa facciano con tutte le tonnellate di foglie di coca acquistate annualmente.

Ma, guardiamo un istante i dati immediatamente verificabili: se prendiamo in mano una bottiglia di Coca Cola, fatta in qualsiasi paese, dopo l’etichetta d’identificazione del prodotto leggiamo: "Ingredienti: acqua con carbonato, zucchero, caramello, acido fosforico, estratti vegetali e caffeina".
Non c’è nessuna informazione che ci avverta sull’utilizzo di un qualche derivato dalle foglie di coca. Si parla, certo, di estratti vegetali, ma nulla viene detto sui vegetali in questione né su cosa venga "estratto" da questi vegetali. Se si tratta, come logica commerciale farebbe capire, delle foglie di coca, sappiamo che questa contiene diversi alcaloidi. Ma, allora, quali vengono eliminati e quali lasciati nella bibita? Oppure: se l’azienda riconoscesse che utilizza le foglie di coca dalle quali, afferma, elimina tutti gli alcaloidi, quale sostanza rimane?

In verità, c’è una contraddizione evidente tra l’azione dell’impresa, che acquista tonnellate di foglie di coca in Bolivia, Colombia e Perù, e le dichiarazioni dei suoi portavoce che negano l’uso delle foglie di coca nella fabbricazione della bibita. Quindi, il meno che si possa dire è che l’azienda fa uso di una pubblicità ingannevole.

Altri interrogativi sono stati posti per anni, misteri che nessuno ha affrontato perché protetti dalle normative internazionali sulla industria ed il commercio. Oggi, grazie ai cocaleros andini come Evo Morales, sappiamo che la bibita più venduta al mondo contiene nella sua formula un qualche derivato dalle foglie di coca. Se così non fosse, l’azienda dovrebbe spiegare cosa fa con gli enormi quantitativi di foglie di coca che ha nei suoi magazzini di Atlanta.

Nel primo caso, quello che sembra il più probabile, almeno altri tre interrogativi richiederebbero una risposta: quale derivato della foglie di coca viene utilizzato per elaborare la base della bibita e quale rapporto ha o con la cocaina? Questo derivato provoca dipendenza nei consumatori, o crea le condizioni fisiologiche che propiziano un qualche tipo di dipendenza? Se, viceversa, le foglie di coca diluite nella Coca Cola non generano dipendenza, qual è il vero motivo di tanta repressione nei confrontidella loro coltivazione, trattamento e commercializzazione nei Paesi andini?