Uruguay 2006, un paese che cambia?
Speranze e timori all’uscita da una grave crisi.
Il 31 ottobre 2004 in Uruguay si è vissuto un momento storico. Per la prima volta il Frente Amplio (FA), la coalizione di centro sinistra, ha vinto le elezioni, permettendo a Tabaré Vázquez, medico dedicatosi alla politica, di essere eletto presidente. Vázquez rappresenta l’ennesima dimostrazione che in America Latina qualcosa sta cambiando. L’ennesima speranza, come Lula in Brasile, Chávez in Venezuela e Kirchner in Argentina, ai quali si aggiungono negli ultimi mesi Bachelet in Cile e Morales in Bolivia, tanto differenti fra loro ma simboli di una stessa inquietudine continentale.
Paese nato per risolvere le tensioni fra Brasile e Argentina al principio del XIX secolo, l’Uruguay ha rappresentato il fallimento dei sogni di José Artigas, che desiderava una confederazione di province unite del Rio de la Plata molto diverse dalla odierna concezione dello stato-nazione. Mentre la popolazione originaria veniva sterminata, si registrarono negli ultimi due secoli diverse ondate di immigrati europei, in particolare italiani e spagnoli. L’Uruguay è un Paese dove la cultura e la tristezza del tango si mescolano con l’allegria del carnevale; e il mate, bevanda di origine Guaranì, con i tamburi del Candombe di tradizione africana e con i sincretismi religiosi.
Cinque sono i temi prioritari dell’agenda del paese, e sono un punto di partenza fondamentale per comprendere la sua realtà.
Diritti umani. Il colpo di stato del ’73 e la successiva dittatura militare rispondevano alla strategia del Plán Condor, finanziato dagli Stati Uniti con l’obiettivo di promuovere regimi autoritari nei diversi paesi del Cono Sud. Conclusa formalmente la dittatura, alle prime elezioni democratiche dell’85 seguì la Ley de Caducidad, che garantiva l’immunità ai mandanti e agli esecutori materiali della repressione. Parallelamente, grazie alla mobilitazione della società civile, capeggiata dai familiari dei Desaparecidos, è iniziato un processo per il recupero della memoria, della verità e della giustizia. Negli ultimi anni l’arrivo del Frente Amplio al governo ha permesso una re-interpretazione della Ley de Caducidad, l’analisi di documenti che confermano torture ed uccisioni arbitrarie, l’inizio di scavi alla ricerca dei resti e l’estradizione di militari uruguayani accusati di aver agito in altri paesi nell’orbita del Plàn Condor: un passo avanti verso la costruzione di una memoria collettiva, indispensabile per il recupero della democrazia e il rispetto dei diritti umani.
Inserimento internazionale. Il drammatico impoverimento dell’economia, che ha subito un ultimo colpo con la crisi del 2002, ha imposto al paese l’urgenza di un inserimento economico internazionale. La strategia ideata dal Frente Amplio prospettava, in origine, un equilibrio fra il Mercosur (i cui membri a titolo pieno sono Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Venezuela, quest’ultimo entrato di recente) e il contesto economico mondiale, con l’obiettivo di un Uruguay produttivo, definizione intorno alla quale gravita il progetto di sviluppo del Paese.
Ma un rallentamento del processo di integrazione e l’aggravarsi delle asimmetrie mettono in discussione quelli che sono i benefici derivanti dal Mercosur. Da una parte la firma del Trattato per gli Investimenti con gli Stati Uniti e l’inizio dei negoziati per la realizzazione di un Accordo quadro per il commercio e gli investimenti (TIFA, dalla sua sigla in inglese) precursore di un possibile Trattato di libero commercio (TLC) hanno generato notevoli tensioni all’interno della regione. Il Brasile, in particolare, nei mesi passati ha prospettato l’uscita di scena dell’Uruguay dal Mercosur in caso di una firma del TLC senza accettazione previa da parte degli altri Paesi membri. D’altra parte, le condizioni imposte dal Fondo Monetario Internazionale per il pagamento del debito estero generano una forte rigidità fiscale, causando le proteste di differenti settori sociali. Le esigenze derivanti dalla crescente esposizione alla competitività dei mercati internazionali evidenziano le difficoltà di un percorso verso l’Uruguay produttivo.
Il Piano di Emergenza Sociale. Durante la crisi del 2002, in Uruguay un terzo dei depositi bancari lasciarono il paese, mentre i piccoli risparmiatori videro congelati i propri conti e l’inflazione cresceva in modo incontrollabile.
In un Paese conosciuto agli inizi del Novecento come la Svizzera dell’America Latina, le riforme strutturali dell’economia, la chiusura delle industrie ed altre misure neoliberiste attuate nell’ultimo mezzo secolo insieme alla recente crisi, hanno generato quasi un milione di poveri e 110.000 indigenti (rispettivamente il 32% e il 4% della popolazione). Per far fronte a questa situazione, a partire dalla sua entrata in carica agli inizi del 2005, il governo progressista ha messo in atto il Piano Nazionale di Emergenza Sociale (PANES), costituito da una serie di azioni che si stanno realizzando nell’arco di due anni, e che vanno dalla creazione di un salario familiare minimo di sussistenza per un periodo di due anni all’implementazione di programmi educativi e di formazione professionale a favore della popolazione indigente.
Sebbene gli obiettivi sembrino andare oltre le solite misure assistenziali, il piano è analizzato in maniera critica da alcuni settori del mondo accademico ed intellettuale, in quanto non presenta una prospettiva a lungo termine e sembra piuttosto utilizzato per mettere a tacere la popolazione assistita, mantenendo inalterate le cause che generano emarginazione sociale.
L’acqua appartiene al popolo. L’Uruguay è un Paese pieno d’acqua in una regione piena d’acqua. Il Bacino del Rio de la Plata, il secondo del continente per portata ed uno dei più estesi del mondo, interessa buona parte del territorio uruguaiano. Il sistema acquifero sotterraneo Guaraní, la maggiore riserva d’acqua sotterranea potenzialmente disponibile per uso umano, con un volume di 1.200.000 km3 di acqua, corrisponde ugualmente ad un’area considerevole della nazione, senza contare altri bacini idrografici minori e lagune. Considerando l’importanza strategica dell’acqua, non è difficile comprendere come le multinazionali abbiano ottenuto la gestione del servizio di acqua potabile e di fognature di alcune aree dell’Uruguay. La privatizzazione, che ha interessato l’impresa basca Agua de Bilbao e la francese Suez, è stata ampiamente criticata a causa della scarsa qualità dell’acqua e dell’innalzamento delle tariffe verificatosi in alcune zone. In quest’ambito è nata la Commissione nazionale per la difesa dell’acqua e della vita (CNDAV), che ha permesso l’attuazione di una riforma costituzionale, approvata il 31 ottobre 2004 (lo stesso giorno della vittoria del Frente Amplio) mediante un plebiscito. Grazie alla riforma, la Costituzione dell’Uruguay oggi afferma che “l’acqua destinata al consumo umano può essere gestita esclusivamente da organismi statali”. Suez e Agua de Bilbao sono state quindi costrette a lasciare l’Uruguay agli inizi del 2006, mentre imprese private nazionali continuano a gestire questo bene comune.
Uruguay produttivo e Modello forestale. Nel 1986 l’Uruguay creò una propria legge forestale, seguendo i suggerimenti degli organi internazionali e nel 2004 il parlamento approvò il Trattato di promozione e protezione degli investimenti (TPPI) con la Finlandia. Attualmente il 10% del territorio coltivabile del paese si presenta piantato ad eucalipti ed altre specie utilizzate per l’estrazione della cellulosa, ed una impresa europea, la finlandese Botnia, sta costruendo industrie per la produzione di polpa di cellulosa sulla costa orientali del Rìo Uruguay. Un’altra impresa, la spagnola Ence, ha ritirato il suo progetto di costruzione nella stessa area per spostare l’investimento in una zona probabilmente meno conflittuale all’interno del Paese. Fin dall’inizio, la presenza di Botnia ed Ence ha generato conflitti con la vicina Argentina, che lamenta un rischio di contaminazione del fiume che segna il confine fra i due Stati, nascondendo in realtà forti interessi economici nell’ostacolare la realizzazione del progetto nel Paese vicino. Ma il modello dell’Uruguay produttivo risponde anche alle esigenze dei mercati internazionali ed apporta i suoi benefici ad una ristretta élite nazionale. Una lettera collettiva, presentata nel 2005 a Tabaré Vasquez da Eduardo Galeano e dal premio Nobel per la Pace, l’argentino Adolfo Pérez Esquivel, affermava che il modello del monopolio forestale “ha accentuato l’esclusione sociale, la concentrazione e la proprietà della terra da parte di imprese straniere e la degradazione dell’ambiente”.
Nonostante il cammino intrapreso dall’Uruguay si presenti pieno di ostacoli, è indispensabile impostare un dialogo fra società civile e governo per garantire la creazione di un’agenda nazionale mediante un processo partecipativo ed assicurare l’inserimento del Paese a livello internazionale. L’Uruguay può essere concepito come un laboratorio dello sviluppo. Un luogo dove si sperimenti una vera giustizia sociale che non sia unicamente basata sulla crescita economica, ma anche su un’equa distribuzione della ricchezza e sul rispetto dei diritti umani. Un luogo in cui si dimostri che un vero cambiamento è possibile.
L’Uruguay
L’Uruguay è si trova sul versante atlantico del Cono Sud, ad est del Rio de la Plata. Confina con l’Argentina, il Brasile e l’Oceano Atlantico. Occupa una superficie di 176.200 km2 (quasi la metà dell’Italia), di cui 14.090 km2 sono costituiti da boschi e l’85% è terreno coltivabile.
I 3,4 milioni di abitanti dell’Uruguay crescono ad un ritmo dello 0,7% all’anno. Il 90% della popolazione vive in zone urbane, e quasi la metà vive a Montevideo, la capitale. Si calcola che il 10% della popolazione risieda all’estero.
Nel 1999 l’Uruguay ha sofferto una grave recessione che si è aggravata fino a toccare il suo culmine nel 2002. Il prodotto interno lordo è quindi sceso da 20,5 miliardi di dollari americani nel 2000 ai 13,4 del 2004. Nello stesso arco di tempo il reddito pro capite è diminuito da 6150 a 3900 dollari e l’inflazione ha oscillato fra il 4% nel 2000, il 17,9 nel 2003 e il 7,5 nel 2004.
Attualmente l’Uruguay presenta un livello di alfabetismo del 90%. La durata media della vita è di 75,4 anni e il reddito pro capite è di 8280 dollari. Secondo questi dati l’Uruguay si colloca al 46° posto della classifica internazionale di Sviluppo Umano delle Nazioni Unite (l’Argentina è 34°, il Brasile 63°, l’Italia 18°; dati delle Nazioni Unite del 2005). Il debito corrisponde al 108% del PIL (il più alto del mondo in proporzione al PIL), riceve 22 milioni di dollari di aiuti internazionali e le rimesse degli immigrati apportano al paese 57 milioni di dollari. Si contano 192 connessioni Internet ogni mille abitanti e il 2,4% delle esportazioni è rappresentato da prodotti ad alta tecnologia.