Gli impiantisti all’assalto della Marmolada
La tristissima storia della Marmolada dovrebbe far riflettere il mondo politico e l’imprenditoria turistica.
Gli impiantisti dell’arco alpino hanno ormai consolidato una loro strategia d’azione. Non presentano più i grandi piani di sviluppo sciistico di un’area o di una valle. Laddove è stato fatto recentemente - Monte Rosa - hanno trovato l’opposizione della Regione Piemonte. Oppure accade che le valutazioni d’impatto ambientale boccino i progetti troppo complessi. Gli ambientalisti poi, con sempre maggiore frequenza non pensano ai fatti loro e insorgono subito; l’opinione pubblica si allarma e, cosa inaudita, la stampa offre spazio alle proteste.
Da diversi anni quindi si è scelto di procedere passo dopo passo. Un allargamento di una pista, un nuovo bacino d’accumulo dell’acqua, il rifacimento dell’impianto di innevamento, la riqualificazione di una seggiovia che ovviamente passerà dai circa 1000 posti attuali a 2.400-2.800. E poi un parcheggio nuovo (dove si può lo si fa passare come piazzale per deposito legnami, così le spese vengono caricate sul Comune ed i contributi provinciali sono più alti), qualche garage per battipista fin sulle vette.
Per opere tanto insignificanti non servono procedure burocratiche complesse: Province e Regioni hanno facilitato ogni percorso amministrativo. E poi, in sordina, arriva un collegamento tra un’area e l’altra, ovviamente indispensabile, perché lo sciatore oggi vuole varietà, opportunità di scelte, libertà. E ci sono pure le famiglie da soddisfare, quindi campi scuola e giochi per i bambini, musiche assordanti per i ragazzi, terrazze solarium per le mamme.
La vicenda della Marmolada è esemplare. Mentre si sta preparando l’assalto finale alla montagna simbolo delle Dolomiti, ripercorriamo una storia ricca di offese, che brilla per assenza di cultura e dove trionfa l’arroganza.
Negli ultimi quarant’anni la montagna viene dimenticata dalle amministrazioni comunali di Canazei (TN) e Rocca Pietore (BL). Queste si rivolgono ai tribunali solo per risolvere la questione dei confini. Unico dilemma importante: il ghiacciaio è trentino o veneto?
In questa situazione sconcertante, con la massima superficialità, si ampliano i rifugi a Pian dei Fiacconi, si impongono scalinate di cemento ai piedi del ghiacciaio, si riversano tonnellate di rifiuti dalla parete Sud e nei seracchi del ghiacciaio o nei crepacci rocciosi. Gli impiantisti fanno quello che vogliono. Da parte trentina si soffre la crisi e l’isolamento della ditta della famiglia Graffer, da parte bellunese l’invadenza di Vascellari. Tutto questo fino a quando l’associazione Mountain Wilderness fa saltare il pesante coperchio arricchito dall’omertà dell’ambiente alpinistico, del CAI, della SAT, delle guide alpine.
Verso la fine degli anni ’90 da parte di imprenditori di Superski Dolomiti si completa l’acquisto di aree strategiche, come il piazzale della funivia del Ciampac (Alba di Canazei) e vaste aree pascolive nel versante bellunese di Passo Fedaia. Superski Dolomiti, dopo anni di dubbi cambia tattica e impone alla provincia la realizzazione del collegamento Buffaure - Colvalvacin prima (1997) e Ciampac poi (1998-2003) attraverso Val Jumela. Ed oggi sta presentando il progetto esecutivo dell’impianto che da Alba salirà al Col dei Rossi, primo vero e forte obiettivo dell’intera vicenda Jumela.
Da parte bellunese si avvia con Trento quella che ad oggi è la buffonata del Patto della Marmolada, un patto che doveva avviare la riqualificazione e il rilancio dell’intera montagna e valli sottostanti. Non è un caso che tutte le proposte del patto vengano suggerite da Trento, o dagli ambientalisti, o dai funzionari della Provincia. Le parti bellunesi rimangono ad ascoltare, o meglio, provano in tutti i modi ad ostacolare le indicazioni ambientali più significative: fine dell’eliski, basta sci estivo sul ghiacciaio, liberare Punta Rocca dall’oscenità della stazione di arrivo della funivia per riprogettare, in modo meno aggressivo, ad una quota inferiore, un collegamento con l’area sciabile trentina, verso pian dei Fiacconi.
Le parti bellunesi - comune di Rocca Pietore, provincia con Oscar de Bona (attuale assessore regionale del Veneto, fiero oppositore del progetto Dolomiti Patrimonio dell’Umanità), Regione Veneto - all’atto della firma del patto si oppongono alla costituzione di una fondazione o di un consorzio che renda esigibili i progetti, gli indirizzi lì individuati e sottoscritti.
Appena firmato il patto, l’assessore trentino al turismo Marco Benedetti, porta in giunta provinciale una delibera che autorizza la società impiantistica Funivie Tofane-Marmolada ad installare su territorio trentino un pilone fondamentale del terzo tronco della funivia.
E’ con questo improvvido passaggio politico-amministrativo che l’intero patto assume i contorni della buffonata, del raggiro degli ambientalisti prima e della società civile in seguito. E’ solo questo il passaggio chiave che i veneti aspettavano; tutto il lavoro del patto risulta essere una tenda che nasconde una volontà ben più riduttiva: lo sviluppo turistico letto ancora una volta solo in chiave sciistica.
Grazie alla superficialità (definiamola benevolmente così) della giunta provinciale di Trento, la funivia viene costruita senza che nessuno più possa discutere alternative, o inserimenti meno impattanti. Grazie a quel passaggio tutti i contenuti del patto vengono dimenticati e le amministrazioni comunali di Rocca Pietore e Canazei oggi fanno la voce grossa nel volere il collegamento fra Punta Rocca e Pian dei Fiacconi, sfregiando così con una decisa linea retta che segue la via Lidia l’intero ghiacciaio.
Cosa significhi lavorare su un ghiacciaio lo si è visto nel corso dell’estate: la parte terminale è stata incisa in modo grottesco e selvaggio con il solo scopo di portare in quota gli operai che lavorano al rifacimento del terzo tronco (una lunga strada su ghiaccio, larga fino ad otto metri ed oltre, con sbancamenti del ghiacciaio profondi più di quattro metri).
Nessuno si era accorto di quanto accadeva: nonostante Stava, nonostante quanto accaduto in Paganella nel 2004 (la cancellazione della grotta del Bus del Giaz, inserita nel piano di conservazione della Provincia), nessuno si era preoccupato di controllare i lavori che coinvolgevano la parte trentina del ghiacciaio. E’ solo grazie all’azione dei volontari di Mountain Wilderness che si sono impediti danni più pesanti sul ghiacciaio. Ma anche da parte bellunese i controlli erano ridotti a zero: l’intera montagna, demanio pubblico, veniva gestita selvaggiamente, senza regole, da una società privata.
Ma cosa spinge gli impiantisti ad investimenti tanto impegnativi, anche in aree che avranno difficoltà a produrre utili? Se in provincia di Trento i contributi pubblici assumono i contorni di una politica assistenziale e clientelare, e i troppi soldi erogati agli impiantisti servono a risanare bilanci fallimentari, questo avviene in misura molto minore in Veneto.
C’è un filo comune che lega tutte queste spinte che assalgono montagne e pascoli.
A Pozza di Fassa alcuni dei soci più importanti della società Buffaure sono coinvolti anche in società immobiliari o in imprese di costruzione edilizia, non è un caso che nell’ultimo decennio nel comune fassano le seconde case abbiano invaso ogni spazio appetibile. Cosi succede a Folgarida, succede nel collegamento Pinzolo-Campiglio, nel Tesino, nella vicenda LastarollaFolgaria (43.000 metri cubi di seconde case).
Ritornando ai piedi della Marmolada, la società impiantistica SICT di Canzei lancia una proposta (conosciuta dalla fine degli anni ’90) di costruire nel piazzale di Alba un enorme centro residenziale-commerciale. Meno di un anno fa il comune di Rocca Pietore aveva approvato una folle variante al piano regolatore che prevede la costruzione nella conca di Malga Ciapèla di un residence-wellness e attività commerciali per oltre 90.000 metri cubi. Cosa accadrà fra pochissimi anni sui terreni acquistati appena a valle di passo Fedaia?
Come si vede, in tutte le situazioni, alle imprese impiantistiche nulla interessa della qualità del turismo. A loro importa il numero dei passaggi ora, importa fare cassa con la speculazione immobiliare e commerciale, costruendo attorno alle aree sciabili, o meglio ancora nei piazzali di partenza delle grandi funivie; centri che si tramutano in villaggi dove al turista viene offerto il pacchetto completo. Quando le cose non stanno in questi termini i grandi soci delle società sciistiche sono coinvolti in aziende di movimento terra, o costruzione di grande viabilità.
Così, passo dopo passo, si cancella l’identità delle vallate alpine, la specificità dei diversi paesi e delle montagne, così si mette sempre più in crisi la rete dell’industria alberghiera. Non è casuale che in Trentino la Confindustria si opponga al disegno di legge dell’assessore Gilmozzi che vuole bloccare le seconde case, come non è casuale che in Veneto sempre la Confindustria e l’ANEF (l’associazione degli industriali degli impianti a fune) sostenute da Forza Italia e dalla Lega, si oppongano al progetto di Dolomiti Patrimonio dell’umanità.
E’ solo tenendo presente questo modo di agire degli impiantisti che si sarà in grado di capire le loro reali intenzioni; bisogna andare oltre il particolare, la necessità o meno di un nuovo bacino, di un allargamento di una pista. La nostra classe politica dovrebbe mostrarsi capace di progettualità di ampio respiro e di lungo periodo, dote indubbiamente presente negli impiantisti e negli speculatori immobiliari.
Spiace constatare come sia in Trentino che in Veneto l’associazione degli albergatori non abbia ancora compreso il pericoloso gioco complessivo: coerentemente si battono contro le seconde case, ma al contempo per i nuovi impianti. Non vedendo che si tratta dei due tempi dello stesso disegno portato avanti dallo stesso soggetto (le società impiantistiche/immobiliari) per un turismo precario e di bassa qualità.
E del resto è l’intero quadro politico di questa provincia a non aver compreso che alle società impiantistiche va messo un freno: sono società che vanno portate a misurarsi con progetti di sviluppo complessivo e sostenibile delle nostre vallate, con la capacità di carico dei territori e quindi con i limiti oggettivi presenti, con la qualità del vivere e del lavorare nei territori alpini.
Pochi giorni fa, a Belluno, un mio amico concludeva un’aspra serata su questi temi con un amaro commento: "Abbiamo bisogno di una nuova generazione, la nostra è irrecuperabile".