Moratti, protesta e repressione
Il movimento, la maturazione dei giovani, la protesta contro la riforma Moratti. E l’improvvisa, assurda repressione della polizia, seguita dalla demonizzazione sui mass-media. I fatti e le testimonianze: come mai non si riesce ad accettare il confronto delle idee tra le generazioni?
Come ormai da una decina d’anni, in queste settimane abbiamo avuto nelle scuole superiori il fenomeno delle autogestioni. Un momento di crescita improvvisa, anzi per molti ragazzi il passaggio all’età adulta, con la spesso appassionante scoperta dell’appartenenza a una collettività, con tutte le problematiche e le responsabilità che questo comporta. Un rapidissimo processo di maturazione, e un nuovo significato a concetti prima sostanzialmente estranei: diritti, doveri, dignità, impegno. Quest’anno questo momento si è intrecciato con il planare nella scuola della riforma Moratti; ed è scattato il collaudato meccanismo dell’intreccio tra movimento e opposizione alla riforma (ricordiamo il ’68 nato come opposizione alla legge Gui, o la Pantera contro la riforma Rubertelli, o più di recente l’opposizione alla riforma Berlinguer); per poi sviluppare specifiche tematiche sociali, il ’68 l’antiautoritarismo (nell’Università, nella famiglia, nella società e poi...) la Pantera la (abortita) rivalutazione dell’individuo rispetto all’oppressione della società e dell’economia. Oggi gli studenti sembrano preoccupati da segnali di incrudimento della società: della riforma Moratti contestano la predilezione per i ricchi, i privilegiati, la segmentazione della scuola per censo, la riduzione della spesa all’istruzione pubblica. Non sono cose di poco conto: e sono espresse con chiarezza seppur con inevitabili semplificazioni, nei cartelli, negli striscioni, nei discorsi. La bella manifestazione di cui rendiamo conto con le foto di queste pagine, ne è stata il veicolo. Su tutto questo però, si sono abbattute repressione e demonizzazione. Il corteo incriminato aveva commesso qualche intemperanza assolutamente veniale, ed esemplarmente fronteggiata dalle forze dell’ordine. Un momento di pressione sui cancelli dell’Arcivescovile, subito risolto con un moderato agitar di manganelli. Un lancio di uova alla vernice contro la scuola privata, risoltosi in alcune macchie sui muri, nell’insozzamento dei vestiti delle prime file dei manifestanti (come ben sanno diverse mamme) e dei poliziotti. Un blocco simbolico – da parte dei docenti della Cgil – alla macchina del Ministro, allentato quanto basta da alcuni robusti colpi di spalla della polizia. Poi, quando tutto era finito, il Ministro di ritorno a Roma, gli studenti in assemblea, l’improvviso intervento delle forze dell’ordine, con rapido pestaggio di alcuni malcapitati giovani. Del fatto riportiamo di seguito una serie, secondo noi impressionante, di testimonianze. Dopo di che, il senso di tutta la giornata, per i media e per l’opinione pubblica, è stato in quelle manganellate. La responsabilità delle quali, in un processo di inversione delle parti, si è cercato – e in parte si è riusciti – ad attribuire ai manifestanti. O attraverso falsi ("stavano forzando il presidio") o attraverso motivazioni risibili ("avevano lanciato delle uova": sì, tre ore prima!). Insomma, gli adulti hanno lanciato un segnale greve, e non è la prima volta (vedi Giornalisti contro studenti: la grande montatura, su QT del 5-XII-’98): il giovane che protesta ha sempre torto. Una bastonata gli sta bene. Perché tutto questo? A chi serve, che senso ha? Di questo discutiamo in queste pagine. Con le testimonianze degli studenti e i commenti del giorno dopo sulla stampa; con un resoconto, secondo noi illuminante, di un’assemblea al Liceo Da Vinci; e, nell'editoriale, con un commento di Renato Ballardini sulla nostra piccola Genova.
“E’ chiaro che se ti arriva un uovo in faccia, puoi perdere la pazienza." E’ stata questa frase a gelare l’uditorio e a segnare l’incontro. L’assessore provinciale e gli studenti: l’uno seduto sulla cattedra, in maniche di camicia; gli altri accovacciati per terra. L’adulto paternalista, convinto delle proprie ragioni e della propria capacità di spiegarle, proponendosi come un fratello molto maggiore e molto più esperto; i giovani desiderosi di apprendere e capire, eppur diffidenti. Poi la frase, infelice e proprio per questo rivelatrice: vi hanno picchiato? ve la siete meritata. Lo Stato, la Polizia, hanno sempre, comunque, ragione; voi invece contate zero.
E fra il politico e gli studenti si apriva un solco non più colmabile.
L’assemblea al Liceo Da Vinci con l’assessore provinciale Tiziano Salvaterra era stata programmata da tempo; eppure un regista teatrale non avrebbe potuto farla cadere in un momento più critico: all’indomani delle manifestazioni contro il ministro Moratti, proprio fra gli studenti malmenati dai poliziotti, nella scuola adiacente, l’Arcivescovile, a stridente esempio delle predilezioni nei contributi, con i soldi pubblici che vanno a finanziare la scuola privata modello, inaugurata nel confortevole teatro-aula magna dal ministro dell’ (ex-Pubblica) Istruzione, mentre quella statale soffre di degrado e sovraffollamento, con i ragazzi ad ascoltare l’assessore per terra, in una palestra in qualche maniera ricavata da un prefabbricato.
E’ logico che i giovani si sentano trattati come i figli di un dio minore. E che non ci stiano. E che accolgano con disappunto la visita del Ministro ("alla Pubblica Distruzione"), che prima se ne va per gli affari suoi (incontro con Forza Italia, pranzo nella comunità di San Patrignano), e poi ostenta la predilezione per l’adiacente, privilegiato istituto cattolico. Ed è anche normale che siano diffidenti nei confronti dell’assessore, che dopo tutto incarna a livello locale quella politica.
"E’ chiaro, basta guardare al di là della rete, e la differenza tra le due scuole salta agli occhi - ammette Salvaterra - Non ci siamo. Mi impegno a fare del Da Vinci una scuola come si deve. A realizzare i vostri progetti".
Sale un applauso caldo e convinto, mentre il preside Dellaira con sorridente enfasi presenta all’assessore una cartella con il progetto pluriennale di ristrutturazione dell’intero edificio. E’ bello vedere degli studenti prendersi a cuore la propria scuola, anche per progetti che si realizzeranno anni dopo il loro diploma; ed è confortante vedere su questo la sintonia con il preside. E su tale tema l’assessore, nel collaudato ruolo di dispensatore di contributi, fa centro.
Ma non basta.
Ci sono altre questioni. La prima, più ingombrante, è proprio quella degli incidenti di due giorni prima. Che per i giovani significa soprattutto una cosa: quale è la loro dignità, il loro posto nella comunità. Hanno portato in pubblico le loro idee, la loro giovane passione, e in cambio hanno ricevuto le manganellate; e il giorno dopo la demonizzazzione sui giornali.
"Lei assessore, da che parte sta?"
Salvaterra non è all’altezza: "Se ti arriva un uovo in faccia, puoi perdere la pazienza." Anche se l’uovo è stato tirato tre ore prima, e da altre persone. Il poliziotto che picchia il ragazzo ha sempre ragione.
Nella palestra scende il gelo.
I ragazzi sono educati, non contestano. Si sentono spiazzati. Si parla in termini generici di scuola. Salvaterra fa il gigione: "Vieni qui vicino a me, appoggia anche tu le chiappe su questa cattedra" - dice allo studente che gli pone una domanda, prendendolo per un braccio e costringendolo a sederglisi a fianco. La platea ride della scenetta, ma è un riso tirato.
Ci pensano gli interventi di alcuni professori a riportare, con una certa durezza, le cose nella loro dimensione. "Non facciamo gli amiconi, diamoci del lei, noi non andiamo al bar assieme". Poi, nella sostanza: "Non si può mettere sullo stesso piano il ragazzo che tira delle uova e il poliziotto che picchia il primo che capita"
L’assessore cerca l’appiglio per difendersi: "Lei ha visto con i propri occhi quello che è successo?"
"Glielo può raccontare quel ragazzo lì davanti che è stato picchiato, e quell’altro dietro a destra; e quella ragazza seduta in prima fila, che ha la madre a casa con le ossa rotte".
"Nessuno ha perso la pazienza. Sono usciti tranquilli degli agenti dall’interno della scuola a picchiare i ragazzi fermi fuori".
"Non nascondiamoci dietro un dito: non è mai il celerino che arrabbiato decide la carica, è un funzionario in borghese, che sta dietro. E’ stata una decisione a freddo: del tutto ingiustificabile".
Dapprima Salvaterra cerca, malamente, di contrattaccare ("Mi sorprende un linguaggio tanto violento da parte di un insegnante") ma il sordo Booooh degli studenti gli fa capire che non è aria. Di incidenti e Polizia non parla più, eludendo le relative domande.
oi c’è il tema più specifico: la riforma Moratti, vista come ritorno alla scuola di classe, la scuola per i ricchi. Attraverso la centralità delle private; la differenziazione precoce, a 13 anni, e definitiva tra il percorso che porta all’università e quello alla scuola professionale e al lavoro subordinato; l’attacco al tempo pieno; un primo colpetto perfino all’obbligo scolastico.
Sulla credibilità dell’assessore pesa la firma del Presidente Dellai al protocollo che ha anticipato in Trentino la riforma Moratti. Salvaterra ripete: "Lo abbiamo fatto proprio per poterla gestire questa riforma, per non farcela cadere dall’alto e basta... In effetti ci sono punti di questa riforma che non ci piacciono".
Qui l’assessore dà il meglio di sé. Parla dell’importanza, nella scuola come nella vita, di non perdere "quelli che non ce la fanno": e quindi – tutto il contrario della Moratti – di prevedere continue possibilità di passaggi da un tipo di scuola all’altro, per permettere ad ognuno di trovare la propria dimensione. Parla con passione. La platea ascolta attenta; ma un po’ scettica.
"Non serve un’opposizione preventiva. Prendiamolo in parola, vedremo cosa fa" - sussurra il preside.
E questa è la conclusione - implicita - dell’assemblea, che giustamente si ritiene incapace di valutare i tecnicismi dei protocolli d’intesa. E che si chiude con un modesto applauso. A un assessore rimandato a settembre, che forse dalla giornata ha imparato qualcosa.