Come deludere i giovani impegnati
Lo sconcerto per una campagna stampa vergognosa, per gli opportunismi della politica. Dopo "l'assalto all'Arcivescovile" gli studenti trentini scoprono le meschinità del piccolo mondo locale. Ma chi più rischia il rapporto con le nuove generazioni è la Chiesa.
A discutere delle autogestioni, del grande successo della manifestazione studentesca del 20 novembre, ma soprattutto delle violente reazioni di media e politici, abbiamo invitato alcuni giovani dell'Uds (Unione degli studenti), l'associazione promotrice delle iniziative: Matteo Maroni (Ite Tambosi), Luca Facchini e Carlotta Happacher (Liceo scientifico Galilei), Elisa Bellè e Simona Casale (Liceo classico Prati). Ne è uscito il dibattito che qui riponiamo, interessante a nostro avviso, perché non solo registra lo sconcerto di chi si affaccia all'impegno civico, e viene respinto con brutale cinismo; ma perché si sforza di andare oltre l'episodio, e di individuare alcuni filoni di fondo della risorgente protesta studentesca. Quando i giovani ci spiegano come la maggior parte di loro veda nella Chiesa un'istituzione che condensa autoritarismo e repressione, dovrebbero far riflettere.
Come valutate il trattamento che vi hanno riservato i giornali, soprattutto in merito alla manifestazione?
Elisa: Prevedevamo che ci sarebbe stato un vespaio, anche per le dimensioni della manifestazione, ma non in termini così pesanti.
Matteo: Quello che ci ha più sconcertato, è che dopo una manifestazione di quel genere, con 4,000 ragazzi provenienti anche dalle valli, il problema si sia concentrato sul lancio di poche monetine, anziché sui motivi della protesta.
Simona: Noi ci dissociamo da certe azioni, che comunque non ci scandalizzano; ma parlare di vandalismo! Anche la favola del cancello sfondato: era socchiuso, qualcuno lo ha spalancato ed è entrato. Poi, appena è comparso il preside. sono tornati fuori. Non c'è stato assolutamente nessun danno.
Elisa: Non si può pretendere che un corteo di 4.000 studenti sfili coi ceri in mano, né che il dibattito e gli slogan siano sempre a livelli articolati e approfonditi, soprattutto dopo anni di silenzio. Un corteo non è una tavola rotonda.
Luca: Questa vivacità dipende anche dai temi al centro della manifestazione: si fosse parlato di autonomia scolastica non saremmo stati così "carichi". E in ogni caso non si può addebitare a tutto il movimento, a tutti quelli che sfilavano, il gesto peraltro innocente di poche persone. Ma il fatto vero è che il tutto si è svolto due giorni prima delle elezioni: il che ha favorito reazioni scomposte e strumentalizzazioni.
Elisa: Non si è più abituati alle manifestazioni degli studenti; per i politici noi siamo buoni e tranquilli, e quindi non siamo un problema. D'altronde, se la Questura ha deciso di non intervenire, significa che la situazione era nei limiti dell'accettabile.
Simona: Per questo la protesta del preside dell'Arcivescovile contro il mancato intervento della polizia è stata decisamente fuori luogo...
Non è stata imprudente consentire che il corteo passasse davanti a quella scuola?
Carlotta: A manifestazione conclusa, quando abbiamo salutato quelli della Questura, sono stati proprio loro a dirci che, visto il numero dei presenti, era andato tutto bene.
Matteo: D'altra parte, davanti all'Arcivescovile ci siamo fermati ben poco...
Elisa: Se avessimo avuto una precisa volontà di provocazione, ci saremmo fermati mezz'ora lì davanti. Il fatto è che si sono ingigantiti degli episodi che, in un altro contesto, sarebbero stati considerati normali. La reazione della stampa e soprattutto del mondo politico è stata spropositata, retriva, una dimostrazione di provincialismo. Forse il messaggio stesso del lancio di monetine ("A voi interessano solo i soldi") ha irritato. In una realtà come la nostra, in cui la Chiesa ha radici profonde, una simile presa di posizione degli studenti proprio davanti a un simbolo della cultura cattolica, è un segnale forte, di rottura. A cui si è reagito con rabbia, senza cercare di capire.
Un altro punto: la reazione degli studenti delle scuole cattoliche, con una serie di lettere ai giornali. Segnalano uno sconcerto reale o sono pilotate?
Simona: No, effettivamente hanno vissuto la nostra manifestazione come un attacco violento, che non si aspettavano. D'altronde sono cresciuti con un certo tipo di cultura: non si può pretendere che la pensino come noi...
Luca: Tra loro, ci sono quelli effettivamente convinti della propria scelta scolastica e da loro vengono le lettere ai giornali, provocatorie e a volte ingiuriose mentre altri sono stati in qualche modo costretti a frequentare un istituto privato.
Elisa: Ci dispiace che uno degli esiti di questa bagarre sia questa antitesi, l'impossibilità di un rapporto con i ragazzi delle private: è sempre stato difficile coinvolgerli, ma dopo questo episodio sarà pressoché impossibile; anche perché non sono abituati alla polemica.
Eppure non sono loro che voi attaccate, ma l'istituzione che li ospita.
Elisa: Sì, ma il messaggio che è passato, fra le banalità dei politici e la manipolazione dei media, è quello di un attacco personale. Se avessimo avuto lo spazio per spiegarci, le cose sarebbero andate diversamente.
Come mai dei giovani che fino a ieri pare si curassero molto poco di problemi nazionali, anche di politica scolastica, hanno avuto una reazione così accesa sul tema scuola pubblica scuola privata?
Matteo: il finanziamento delle private ci tocca più di altre questioni pure importanti come l'autonomia scolastica. E' una cosa che appare più concreta, più immediata, che si presenta con cifre e dati.
Simona: L'informazione che abbiamo fatto circolare su questo tema è stata massiccia...
Carlotta: Ci sono anche da noi alcune scuole che avrebbero bisogno di essere sistemate, e vedere delle risorse dirottate sulla privata ha disturbato gli studenti.
Simona: Sì, il Sacro Cuore con la piscina e il Da Vinci senza aula magna, e il liceo musicale senza sede...
Elisa: Tutto questo è vero; ma reazioni così forti sono dovute anche a un rifiuto, a un malessere nei confronti dell'istituzione Chiesa e dei suoi modelli culturali, etici ed educativi, che ci appaiono anacronistici, lontani da ogni possibilità di rapporto. L'Arcivescovile diventa così l'obiettivo di un rifiuto netto che chiede di essere espresso con forza, con visceralità. Per capirci: il giovane 'clericale ' cresciuto in oratorio, che ha interiorizzato certi modi comportamentali, è un personaggio che si distingue immediatamente all'interno della scuola (la subalternità all'autorità e alla famiglia, la scarsa intraprendenza, il rifiuto del sesso e degli anticoncezionali...), e che i compagni non sopportano, il che è molto triste, perché impedisce ogni possibilità di integrazione, di scambio. Sono questi i nodi grossi: chiediamoci perché la Chiesa non attira più i giovani: altro che le monetine all'Arcivescovile!
Ma questi giovani 'clericali' (come li chiamate), presenti anche nella scuola pubblica, cambiano col passare degli anni?
Elisa: Più che altro mascherano la loro identità dietro atteggiamenti amicali, disinvolti. Un po' si vergognano di essere cattolici, anziché rivendicarlo, soprattutto in un momento come questo privo di punti di riferimento. Anch'io sono credente, ma non ho interiorizzato certi valori anacronistici, e mi rendo conto dell'enorme difficoltà in cui deve trovarsi chi invece lo ha fatto.
Come vi è sembrata la reazione delle forze politiche laiche?
Matteo: Non mi pare ci sia stato molto sostegno alla nostra lotta.
Simona: E' evidente, hanno temuto di compromettersi in vista delle elezioni...
Matteo: Un politico che avesse appoggiato esplicitamente gli studenti non sarebbe stato apprezzato dagli elettori.
Dagli elettori cattolici, semmai. E oltre ai laici, ci sono anche tanti studenti che votano!
Elisa: Ma no: anche i laici moderati potevano essere spaventati dalla manifestazione, per come è stata raccontata. Le prese di posizione politiche sono state molto influenzate dal modo in cui i mass-media hanno raccontato i fatti.
Luca: Dopo un titolo come "Assalto all'Arcivescovile", quale politico avrebbe osato appoggiare gli studenti?
Elisa: Ripeto: c'è una disabitudine al conflitto. Dopo 3-4 cortei come quello, forse si baderà ai problemi anziché alle monetine.
Non c'è invece il rischio che si ammoscino i cortei, prima? Che gli studenti, adesso, abbiano comunque paura di esagerare?
Elisa: Questo in parte è già successo: ci sono degli studenti che si sentono in qualche modo in colpa.
Veniamo all'autogestione: com'è andata?
Simona: Bene: c'è stata una forte partecipazione e soprattutto abbiamo lavorato molto perché l'autogestione non fosse, come altre volte, un rito. Questo non solo a Trento. Io ho seguito la situazione di Rovereto e ho visto un'organizzazione perfetta: lavori in gruppo, redazioni di giornalini, trattazione di temi nazionali e di argomenti specifici di ogni scuola... Anche lì la manifestazione è stata affollata. circa 1500 persona.
Elisa: Lì se la sono presa con le suore e sono stati anche più birichini di noi, ma l'informazione è stata molto meno allarmistica.
Forte partecipazione cosa significa?
Elisa: La situazione non è diversificata fra scuola e scuola: non si può dire che tutti gli studenti abbiano preso parte all'autogestione, anche perché l'organizzazione è sostanzialmente in mano ai rappresentanti d'istituto: 4 persone che trascorrono una settimana sull'orlo del collasso nervoso.
Carlotta: Dovendo quantificare, possiamo parlare di un 60% di ragazzi attivi. Il pezzo forte della discussione è stato il rapporto fra scuola pubblica e privata; quindi il diritto allo studio (libri di testo, mense, studentati, borse di studio), il regolamento d'istituto...
Luca: E ancora il tema dell'autonomia scolastica, in termini concreti.
Simona: E poi temi culturali, sociali, di attualità, a volte anche con interventi esterni.
I presidi come l'hanno presa, come hanno reagito alla circolare del sovrintendente Mengon che poneva la questione delle assenze, anche in vista di un'incidenza negativa sul profitto?
Matteo: Quasi tutti i presidi hanno preferito governare la situazione dialogando con gli studenti, oppure seguendo decisioni già prese in precedenza. Ormai sanno cosa sono le autogestioni. Insomma, la presa di posizione di Mengon ha avuto scarsa incidenza.
Elisa: I presidi, in questa occasione, hanno dimostrato di essere la parte istituzionale con maggior buon senso. Insieme alla Questura. Evidentemente sono due entità che più di altre vivono un confronto quotidiano con la realtà. La sovrintendenza invece, in questo caso ha dimostrato anche scarsa conoscenza delle nuove norme; infatti in base allo statuto firmato dal ministero, viene ufficialmente distinto il profitto dalla disciplina. Insomma non dovrebbe essere più possibile a nessun preside usare l'arma del voto per punire un alunno meritevole seppure non allineato. Mengon invece rispolvera i vecchi armamentari; anzi, raccomandando una sorta di linea dura sulle autogestioni, vorrebbe fare pesare di più queste assenze (in quanto espressione di posizioni che non condivide) di quanto non pesino le "normali " assenze ingiustificate.
E ora?
Simona: Ora non è finita. Faremo in modo di tenere viva l'attenzione, affrontando caso per caso i problemi di ogni scuola.
Elisa: Sulla parità, sappiamo di non poter influire in sede provinciale, dove del resto, i finanziamenti alle private già esistono, ed abbondanti. Come Unione degli Studenti vogliamo però proseguire la nostra azione sindacale. Aspettiamo la nuova giunta provinciale per avere un interlocutore, per vedere qual è la risposta su richieste molto concrete: un convitto laico che manca, l'accesso alle mense universitario, l'accesso facilitato ai luoghi della cultura, agevolazioni sui trasporti, comodato d'uso dei libri di testo, ecc. Speriamo che dopo segnali così forti, ci sia un po' più di attenzione per la scuola.
Matteo: Per il futuro, ci auguriamo che l'autonomia scolastica venga valorizzata e ci sia intanto un po' più di informazione al riguardo.
Elisa: Autonomia scolastica, intendiamoci, non deve significare solo managerialità e concorrenza fra le scuole. Autonomia dev'essere possibilità per le scuole di mettersi in rete, di collaborare con attività comuni, di avere un rapporto col territorio, di istituire gruppi classe flessibili, compresenze e attività di approfondimento al di fuori degli standard ministeriali. Tutto questo consente di avere una scuola più aperta senza che ciò dipenda dalla pura buona volontà di questo o quell'insegnante. Sono discorsi complessi: noi studenti possiamo dare dei suggerimenti, ma ovviamente devono essere le autorità scolastiche ad approfondire la questione, ad impostare il lavoro.