Da Roma a Bruxelles, la stessa miopia
Dalla pessima legge sulla procreazione assistita al fallimento della Costituzione europea: la stessa mancanza di visione complessiva.
Persino il presidente del Senato Marcello Pera, sempre allineato ai voleri della maggioranza, commentando il voto del Senato sulla procreazione assistita, ha sostenuto che si poteva fare di più. Che la logica della contrapposizione e dei semplici rapporti di forza ha portato a varare una legge, ma non una legge di qualità.
La maggioranza, con il dissenso sparuto di qualche senatore di lontana matrice laica, ha scelto di cavalcare la questione, imponendo di fatto ai propri parlamentari la disciplina di gruppo. L’Ulivo si è spaccato, si è spaccata la Margherita, si è rivisto uno schieramento vecchissimo, un "amarcord" di trent’anni fa. I laici a sostenere le buone ragioni della coppia e della scienza, i cattolici le ragioni di una morale confessionale e - i più moderati - la convinzione che, pur di avere una legge su un tema delicato e controverso, andava bene anche la mediocrità della legge votata.
In discussione anche in quest’occasione non è ovviamente il diritto dei cattolici (e dei laici) di praticare le loro convinzioni etiche e il votare secondo coscienza. Quello che ha reso sconcertante il comportamento dello schieramento parlamentare vincente è stato il ritorno ad una sorta di richiamo della foresta, che lo ha portato a respingere in blocco tutte le ragioni degli altri, in nome di una ritrovata unità confessionale che - come’è successo tante volte nella storia d’Italia - si confonde in questi casi con la formazione di uno schieramento politico con forti connotazioni reazionarie. Basti pensare che subito dopo il voto sulla fecondazione assistita sono partite le proposte per rimettere in discussione la legislazione sull’aborto.
Qualcuno fra i parlamentari del centro sinistra che hanno votato la legge si è accorto di avere aperto una falla gravida di conseguenze, qualche altro nel centro destra ha ritenuto di dover porre qualche argine al dilagare di una stagione controriformista che dal voto del Senato voleva prendere gli auspici.
Il ruolo più infausto è stato espresso dai senatori della Margherita e dall’on. Rutelli (che non aveva dalla sua nemmeno il possibile riferimento culturale alla tradizione cattolica). In essi è prevalsa la necessità di una legittimazione della gerarchia rispetto alla necessità di costruire insieme agli alleati, una posizione comune dell’Ulivo anche su questioni delicate, come appunto era quella della fecondazione assistita.
Certo è che lo strappo tra il paese legale rappresentato questa volta dal risuscitato "partito cattolico" e il paese reale è apparso in quest’occasione lacerante. Abbiamo una legge, ma sarà difficile che le donne, le famiglie che ad essa dovranno fare riferimento, possano in essa riconoscersi.
Negli stessi giorni in cui l’Italia, programmava temi delicati del suo futuro con spezzoni di passato, lo psicodramma europeo si consumava a Bruxelles. Anche qui alcuni Paesi hanno pensato di progettare l’avvenire della Comunità dei 25, guardando all’indietro, ai veti in nome dell’orgoglio e dell’interesse nazionale. Ed è successo il patacrac che gli annunciati miracoli da avanspettacolo di Berlusconi non sono ovviamente riusciti ad evitare, ma nemmeno a rendere meno plateali.
Certo l’Europa non si sfascia perché il voto sulla sua Costituzione è rinviata, ma si è palesata l’assenza di una missione condivisa: dal maggio 2004 l’Europa sarà più estesa, ma non per questo più grande e incisiva. Non è guardando alle politiche di forza dell’Ottocento, con tanti piccoli nani che si sentono per un giorno giganti, che si potranno mobilitare energie per rendere utile e attiva l’Europa nello scenario politico e planetario mondiale. La settimana scorsa la picconata è venuta da Spagna e Polonia per difendere un velleitario, quanto inevitabilmente transitorio bonus decisionale. Il mese scorso, sui terreni pregnanti della stabilità economica, lo strappo era stato voluto da due "grandi", Francia e Germania, imponendo il superamento delle regole con la forza della loro incidenza sulla Comunità Europea (che senza di loro ovviamente non è).
In questa situazione vale la sempre più preoccupata valutazione del Presidente della Commissione Europea Romano Prodi che, con la sensibilità di chi i guasti di un simile operare li sta vedendo da vicino, ha parlato del "bicchiere Europa" rimasto vuoto.
Questo è avvenuto quasi in contemporanea a Roma e a Bruxelles. Per arroganza e chiusure d’orizzonti a Roma, dove la maggioranza parlamentare non ha voluto sentire altre ragioni che quelle dei numeri.
Per incapacità di aprire strade nuove a Bruxelles, dove la dura legge delle posizioni cristallizzate ha messo a nudo la scarsa arte del piccolo prestigiatore italiano.