Il primo dietro-front di Dellai
Perchè la gestione dei rifiuti è emblematica del modello di sviluppo: inquinante, sprecone, sorpassato; oppure attento all’ambiente e al cittadino, efficiente e moderno. Il Trentino è al bivio di questa scelta; e anche super-Dellai è costretto a rivedere i suoi piani.
"Dimmi come smaltisci i rifiuti e ti dirò chi sei". E’ con queste parole che Walter Ganapini ha iniziato il suo lungo intervento nella recente assemblea organizzata a Trento dal Coordinamento per la corretta gestione dei rifiuti. Cattolico-popolare, amico di Romano Prodi e di Beniamino Andreatta, Walter Ganapini è attualmente membro onorario (old fellow, precisa lui) della Commissione scientifica dell’Agenzia Europea per l’Ambiente. E soprattutto è stato, tra il 1998 ed il 2001, Presidente dell’ANPA (l’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente), incarico affidatogli da Prodi e poi revocatogli da Berlusconi.
Grazie all’appassionata introduzione di Maddalena di Tolla, combattiva leader dell’ambientalismo trentino, quella serata è stata l’occasione per affrontare il problema dei rifiuti allargando lo sguardo, non limitandosi cioè al confronto tra diverse tecnologie, ma interrogandosi su come le diverse scelte si ripercuotano su problemi più generali.
I rifiuti domestici, infatti, sono solo la parte finale, e neppure la più importante, di quel complesso di "effetti collaterali" del nostro modello di sviluppo. Solitamente si affronta il problema dei rifiuti occupandosi solo dell’ultima fase: come ci si libera dei prodotti dopo il loro utilizzo. In realtà, ciascuna fase della vita di un prodotto (estrazione delle materie prime, loro trasformazione, commercializzazione ed utilizzo finale) produce rifiuti, disperde energia, depaupera l’ambiente, devasta il territorio.
Facciamo un esempio. Per produrre le lattine di Coca-cola si parte dalle miniere di bauxite, che stanno magari nel Terzo mondo, devastando per sempre quei territori, consumando enormi quantità di energia, immettendo nell’ambiente sostanze nocive, ammassando materiali di scarto, affamando la popolazione. La bauxite viene poi trasportata verso le industrie siderurgiche, che stanno magari negli Stati Uniti. L’estrazione dell’alluminio dalla bauxite avviene in enormi forni elettrici, che consumano quantità bibliche di energia. E la produzione di energia elettrica comporta elevatissimi costi ambientali, essendo ancor oggi ottenuta in gran parte dalla combustione del petrolio o del carbone, oppure cancellando interi territori con la realizzazione di laghi artificiali (per non parlare delle centrali nucleari e delle relative scorie radioattive). In nome dell’energia, è bene ricordarlo, si scatenano guerre. L’estrazione dell’alluminio dalla bauxite, oltre a consumare energia, produce a propria volta materiali di scarto e inquinamento. Una volta ottenuto l’alluminio lo si trasporta in altre aziende, magari nel Regno Unito, che con quell’alluminio ci produce le lattine, attraverso processi ancora una volta energivori ed inquinanti. Le lattine vanno poi trasportate in una delle aziende che imbottigliano la Coca-cola, magari nel Lazio, e da lì, coi camion nelle autostrade, sui banconi dei nostri negozi in Trentino.
Ebbene: tutto questo sconvolgimento planetario – guerre, impoverimento dei Paesi del sud del mondo, buco nell’ozono, cataclismi climatici, tumori e quant’altro, fino alle targhe alterne a Trento - avviene al solo scopo di consentirci di compiere due gesti: strappare la linguetta della lattina e fare glu-glu-glu. Tutto qui, pochi secondi di utilizzo.
Ora forse è più chiaro per quale motivo, dopo aver gustato quella bevanda, gettare la lattina vuota in una discarica, anche dopo averla sciolta in un inceneritore, è - senza enfasi - un crimine contro l’umanità. Recuperare quell’alluminio, attraverso la raccolta differenziata, significa invece ridurre drasticamente gli effetti collaterali del nostro modello di sviluppo.
Ad esempio, produrre un oggetto di alluminio partendo dall’alluminio, anziché dalla bauxite, significa abbattere il consumo di energia della metà: meno guerre, meno buco nell’ozono, meno povertà nel sud del mondo, meno tumori. E se la Coca-cola la acquistassimo nelle bottiglie di vetro, abbatteremmo gli sprechi di un’altra metà. Questo è un aspetto importante: perché la lattina di Coca-cola la si può differenziare, ma il tetrapak, che è fatto anch’esso con l’alluminio, oltre che con la carta e la plastica, no. Il tetrapak, una volta prodotto, è destinato a finire inevitabilmente in una discarica, dove rimarrà per qualche migliaio di anni, oppure in un inceneritore (e le ceneri, ancora, in discarica).
Walter Ganapini, nel corso della serata, ha più volte richiamato l’attenzione anche su un’altra questione, spesso trascurata: il rischio di desertificazione di vaste aree del pianeta, causato dal mancato recupero del materiale organico. L’agricoltura e l’allevamento estraggono continuamente risorse dal terreno: se quella materia non torna nel terreno, attraverso il compostaggio, il terreno s’impoverisce, andando verso un rapido inaridimento, che è l’anticamera della desertificazione. Se fino a qualche anno fa si riteneva che si potesse compensare questa perdita attraverso qualche intruglio chimico, i fertilizzanti artificiali, oggi è assodato che questo metodo non può funzionare a lungo. Bisogna ripristinare l’equilibrio spezzato alcuni decenni fa, quando l’allevamento è stato separato dall’agricoltura e quando l’organico ha iniziato ad essere trattato come rifiuto, gettato in discarica o distrutto negli inceneritori.
Irifiuti: quello di porsi soltanto l’obiettivo di liberarsene (e allora l’inceneritore è forse una valida alternativa alla discarica), oppure quello di porsi l’obiettivo di ridurne la produzione (non soltanto con la pur encomiabile raccolta differenziata, ma soprattutto investendo sulla cosiddetta bioprogettazione, ossia indirizzando l’economia verso modelli di sviluppo ecologicamente sostenibili). Che questa seconda strada sia poi anche economicamente molto più redditizia è ovvio, vista la sua maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse, e dovrebbe esserlo soprattutto per l’Italia, che energeticamente dipende dall’estero, che non ha materie prime e che ha fondato il proprio sviluppo sulla loro trasformazione.
Ed invece, mentre in altri Paesi europei queste idee si sono già fatte strada, con l’introduzione di legislazioni all’avanguardia (marchi di qualità ambientale) e forti investimenti sulla bioprogettazione, l’Italia - ha raccontato uno sconsolato Ganapini - è rimasta in Europa fanalino di coda e rischia oggi di rimanere tagliata fuori dal progresso economico a causa di un sistema produttivo obsoleto ed inquinante.
In questo quadro, la realizzazione dell’inceneritore significherebbe per il Trentino rincorrere un modello già oggi contrastato dai vertici dell’Unione Europea. L’inceneritore, infatti, per funzionare ha bisogno di rifiuti. Una volta realizzato un inceneritore da mille tonnellate al giorno, bisogna "nutrirlo" coi rifiuti, altrimenti va in fallimento. E siccome i costi per la realizzazione di un inceneritore sono immensi, si finisce per infilarsi in un meccanismo perverso, che disincentiva ogni politica di riduzione dei rifiuti. L’esperienza di Brescia è lì a dimostrarlo.
Il vantaggio del bioessiccatore rispetto all’inceneritore, oltre che nel minore costo di realizzazione, sta proprio qui: non ha bisogno di andare a ciclo continuo. Se e quando arrivano rifiuti, il bioessiccatore li tratta, trasformandoli in mattonelle di CDR (combustibile derivato dai rifiuti), che possono essere stoccate senza problemi per essere poi utilizzate come combustibile in appositi impianti. Al di là della tecnologica scelta, ciò che conta, in ogni caso, è adottare un sistema che non si riveli incompatibile con una politica di riduzione dei rifiuti, ma che anzi, magari, la incentivi.
E’ su questo aspetto, ben più che su quello strettamente
sanitario, che si è consumato in questi mesi lo scontro tra le associazioni ambientaliste e la Giunta provinciale.
E alla fine, quando meno ce lo si aspettava, il Presidente Dellai sembra aver ceduto, ribaltando la posizione che difendeva ostinato da più di un anno, per giungere alla conclusione più ovvia e scontata: prima di scegliere, è bene confrontare tra loro le diverse soluzioni.
Annunciata in una frettolosa conferenza stampa da Dellai e Pacher, la decisione di dar vita ad un gruppo di studio composto da rappresentanti della Provincia, del Comune, dell’Università e delle associazioni ambientaliste, per approfondire i risvolti ambientali, gestionali ed economici della bioessiccazione, è nata sulle ceneri di una settimana terribile per il governo provinciale.
Il dietrofront di Dellai va infatti ricondotto alle tensioni interne alla sua maggioranza. Le prime avvisaglie si hanno mercoledì 19 febbraio, quando un’infuocata riunione del centrosinistra - con Berasi da una parte e il duo Passerini-Chiodi dall’altra - fa presagire la spaccatura dell’Ulivo sulle mozioni presentate dal centrodestra, primi firmatari Plotegher (AN) e Mosconi (FI), che in soldoni chiedono la prima di realizzare celermente uno o più impianti di compostaggio, la seconda di fermare l’iter del VIA e di procedere ad una comparazione tra bioessiccatore ed inceneritore.
Quando si tratta di votare, il venerdì successivo, Dellai ripropone il solito ritornello: "La bioessiccazione inquina - dice, anche se è a conoscenza dei risultati dello studio dell’Istituto Mario Negri di cui nella pagina a fianco- ma durante la VIA ci sarà l’opportunità di esaminare tutti i progetti". Parole ancora una volta vaghe, che Passerini stigmatizza con un intervento durissimo: voterà col centrodestra, perché - come dice lui - l’inceneritore non è né di destra né di sinistra, è semplicemente sbagliato. La più imbarazzata è la diessina Chiodi, stretta tra i "lealisti" alla maggioranza (Pinter e Bondi in testa) e le pressioni degli esponenti comunali dei Ds, capitanati da Stefano Albergoni e Sara Ferrari. Sono loro a sollecitare la Chiodi, visto che la posizione della sinistra cittadina è molto simile a quella contenuta nella mozione Mosconi.
In quest’atmosfera di fibrillazione si va al voto: la maggioranza, salvo Passerini, rimane compatta contro la mozione Mosconi, che viene bocciata. Quando si tratta di esaminare la mozione Plotegher, Dellai ottiene la votazione per parti separate, chiedendo di rigettare la premessa e di accogliere il dispositivo. A quel punto la maggioranza si sfalda: i Ds (ad esclusione di Pinter) votano anche la premessa, che sottolinea l’inopportunità dell’incenerimento a fronte di un’efficace e capillare raccolta differenziata. Dellai a quel punto abbandona l’aula infuriato. Il campanello d’allarme è troppo evidente per essere facilmente chiuso in un cassetto.
E’ probabilmente a questo punto che in Provincia si comincia a prendere in considerazione un cambio di strategia. Anche perché incombe un referendum che, fatti due conti, vedrebbe una vittoria schiacciante degli oppositori all’inceneritore: una mina troppo pericolosa, alla vigilia delle elezioni provinciali.
Qualche giorno più tardi, oltretutto, Legambiente svela che le emissioni di acido cloridrico dall’inceneritore supererebbero di ben tre volte i limiti fissati dalla legge provinciale: a poco serve l’ipocrita invito della Berasi ad essere europeisti fino in fondo (i limiti europei, meno restrittivi di quelli provinciali, sarebbero rispettati), visto che il giorno seguente spunta fuori un altro documento UE, nel quale si sconsiglia la realizzazione di inceneritori in zone di montagna.
Insomma, l’opinione pubblica, supportata dal bel lavoro del quotidiano l’Adige, non molla la presa: i cittadini rimangono ogni giorno più stupiti di fronte all’ostinazione del Presidente, che sembra non voler ascoltare neppure il discreto ma insistente invito del Sindaco Pacher ad ammorbidire la propria posizione. E’ proprio il Sindaco della città capoluogo, destinata ad ospitare il megainceneritore, a giocare un ruolo fondamentale nel corso di questi mesi. Il Comune di Trento, seppur nell’occhio del ciclone, ha sempre mantenuto una posizione moderata ma aperta al confronto: ha organizzato dibattiti in Consiglio Comunale, ha costantemente tenuto aperto un canale di dialogo con le associazioni ambientaliste, ha attivato diverse iniziative per il contenimento dei rifiuti e per l’estensione della raccolta differenziata.
Non è quindi un caso che Dellai abbia voluto proprio il Sindaco al suo fianco nel momento in cui comunicava il cambio di rotta della Giunta provinciale. Pacher, l’alleato sempre fedele, è la patente di credibilità di cui il Presidente aveva bisogno. Solo il Sindaco di Trento, proprio per la posizione critica in cui si trova, può fornire delle garanzie sul percorso indicato: un gruppo di studio che valuti vantaggi e svantaggi della bioessiccazione, per cercare di comprendere se sia davvero necessario realizzare un inceneritore o in ogni caso per ridurne le dimensioni. Il tutto entro due mesi.
La partita si è quindi riaperta e l’occasione va colta fino in fondo. Non basterà limitarsi ad un confronto tra soluzioni ingegneristiche, ma bisognerà pretendere dal governo provinciale maggior coraggio per rendere il Trentino una terra all’avanguardia sulla gestione dei rifiuti, sulla raccolta differenziata, sulla bioprogettazione, insomma su un modello di sviluppo sostenibile.
Perché da queste scelte - come ha detto Ganapini - si capisce di che stoffa siamo fatti.