Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 20, 23 novembre 2002 Servizi

Social Forum, tra Firenze e Trento

Le entusiasmanti giornate di Firenze: la fine del pensiero unico liberista, le grandi ragioni di un pur acerbo movimento.

Immaginate un grande capannone, illuminato da fredde luci al neon; a un’estremità un tavolo, con una ventina di relatori e assistenti; e il resto dello spazio occupato da due-tre-quattromila persone, sedute o assiepate ai lati e in fondo, assorte nell’ascoltare e prendere appunti: al di la di quello che si dice, delle tesi più o meno condivisibili, impressiona ed esalta questa sete di conoscenza, di confronto, che è fenomeno di massa e accomuna, nella grande sala, giovanissimi e sessantenni, provenienti da tutta Europa e oltre, aiutati, per quel che è possibile, dalla conoscenza delle lingue, o dalle insufficienti cuffie della traduzione simultanea. Poi moltiplicate tutto questo per due o per tre, perché sono tanti gli appuntamenti in contemporanea, e aggiungetevi le sale da 500 posti, quelle da 200 e 100, le discussioni, non improvvisate, in luoghi improvvisati, separati da precari pannelli, oppure quelle che nascono sul momento, con cinque-dieci persone che in un angolo si mettono le sedie in circolo e iniziano a confrontarsi su questo o quell’argomento.

Questo è stato il Social Forum di Firenze.

L’emergere di un’esigenza di confronto, di una voglia di sapere e di capire, sorprendente e inusitata. Il tutto alimentato da un insieme di valutazioni pessimistiche, ansiose quando non cupe, sull’oggi; bilanciate da un ottimismo della volontà verso il domani: come esemplarmente espresso dallo slogan "un altro mondo è possibile". Che vuol dire, questo mondo proprio non ci piace; ma non ci vogliamo rassegnare.

E’ stato Romano Prodi quello che meglio ha sintetizzato il senso di queste giornate: "E’ finito, punto e a capo. E’ finito il pensiero unico liberista. Del mercato come paradigma di tutto." Ora, a livello di consapevolezza di massa, si aprono nuovi spazi per una politica che intenda governarlo il mondo, non adeguarvisi.

Queste sono state le giornate del Social Forum. E allora non stupisce la scelta del movimento di chiudere spazi e legittimità alle sue fasce più estreme. Quando operi un così grande sforzo di riflessione collettiva, non puoi rovinare la tua immagine andando a fracassare vetrine. Se pensi di avere qualcosa da dire al mondo, non ti presenti incappucciato in passamontagna, la mazza in mano.

Per questo, oltre la lezione della drammatica esperienza di Genova; oltre il pur decisivo fecondo rapporto con le forze dell’ordine, questa volta tese a prevenire, non a infiltrare con provocatori; è stato basilare l’atteggiamento del movimento. Che semplicemente non ha tollerato la presenza di disturbatori: in due occasioni nel corteo si sono materializzati una trentina di giovinotti incappucciati, desiderosi di passare un sabato adrenalinico; svillaneggiati dai manifestanti, sono stati rapidamente convinti con metodi spicci dai nerboruti operai del servizio d’ordine a cambiare programma.

E allora, tutto ha assunto un nuovo significato. O meglio, si è tornati al significato vero. Da Genova, luglio del 2001, ad oggi, autunno del 2002, la storia ha detto che il movimento new-global ha ragione. Ha ragione nel denunciare lo squilibrio nord-sud, l’arroganza dei paesi ricchi su quelli poveri: nodo cinicamente sottovalutato, e esploso nel dirompente fenomeno del terrorismo. Ha ragione nel porre il problema di un governo politico – cioè più ragionevole, complessivo ed umano – delle dinamiche economiche e finanziarie mondiali: e lo hanno confermato le crisi che percorrono devastanti i vari angoli del pianeta.

Ma queste ragioni erano state oscurate dall’incapacità del movimento a disciplinarsi e a respingere occhiute provocazioni. Firenze probabilmente ha confermato il punto di svolta; confermato dalla saggezza con cui si è finora risposto alle successive sgangherate iniziative giudiziarie della Procura di Cosenza.

Certo, non tutto è idilliaco, come vorrebbero far credere le immagini ora solo pittoresche dei cortei, con tanti bei visi colorati di ragazzi a sostituire i torvi cappucci neri. Né tutto è maturo. Anzi, a chi scrive per molti versi il movimento pare affetto da una diffusa immaturità. Una unilateralità che ne sembra tarpare le capacità di riflessione.

Porto due casi. A Firenze una delle più affollate conferenze è stata quella sulla "Democrazia partecipativa", le nuove forme di aggregazione e decisione politica che tendono a integrare e superare la democrazia rappresentativa, attraverso un processo di larghissimo coinvolgimento della popolazione. Le esperienze più significative ci sono state in Brasile (vedi Brasile, il riscatto degli esclusi ) dove in diversi stati e città le spese pubbliche sono state decise attraverso i "bilanci partecipativi"; ma in questi posti – tra cui Porto Alegre – alle ultime elezioni, nelle presidenziali ha sì vinto Lula, ma nelle amministrative sono stati mandati a casa i governanti locali, promotori della democrazia partecipata. Bene, al dibattito fiorentino, dopo dotte prolusioni di studiosi, è intervenuto Tarso Gerso, il mitico sindaco di Porto Alegre: ma non per parlare dei chiaroscuri della propria evidentemente difficile esperienza, lì invece osannata, bensì delle prossime magnifiche sorti del governo di Lula.

E così sul tema centrale della guerra: un coro continuo, polifonico, ma da cui sono escluse, senza alcun diritto di cittadinanza posizioni divergenti, come quella di Adriano Sofri (con cui concorda chi scrive: la risposta armata a regimi dittatoriali e razzisti è in certi casi doverosa, come ad esempio lo è stato in Bosnia) o magari, dello stesso Ghandi (che approvò la seconda guerra mondiale) vedi Le spine del pacifismoe L'Occidente, la sinistra, l'uso della forza.

Insomma, il movimento new-global è grande. Ha anche saputo proporre obiettivi concreti (come la Tobin-tax per ridurre l’impatto delle transazioni finanziarie, e sostenere i paesi poveri). Ma è tuttora un movimento acerbo.

Crescerà nelle articolazioni locali?

Siamo andati a un’assemblea trentina che doveva fare il punto dopo il grande successo di Firenze. Significativa affluenza di tante persone, entusiaste e incuriosite. E brutto dibattito: tutto incentrato su come ci si organizza, con le micro-organizzazioni tese a marcare il proprio territorio. E con scarsa o nulla volontà di affrontare i problemi locali, meno grandiosi della pace o fame del mondo, ma in cui ci si può spendere per incidere; ma dove anche non si può essere pressapochisti, proprio perché gli interessi in gioco sono più concreti.

In conclusione, per ora il merito dei new-global è aver messo in crisi le certezze del liberismo.

Non è poco, anzi è tantissimo. Se saprà crescere ancora, tanto meglio.