I 155.000 di Porto Alegre
Una testimonianza dal 5° Social Forum Mondiale.
L’aereo plana leggero sfiorando la palude e le mille anse, i cento rivoli con cui il fiume Guaiba si insinua, si distende e si dipana, costringendo la terra ad adeguarsi al suo corso. Il fiume verde che dà il nome alla regione, verde come le cime tondeggianti degli alberi della "Mata" Atlantica che lo contiene, la foresta misteriosa, la sierra dai mille segreti. Ci sono - penso con malcelata emozione, sono dall’altra parte del mondo.
Il tempo di atterrare, lasciare velocemente i bagagli ed eccomi immersa, sommersa e rapita dalla più bella e colorata manifestazione a cui abbia mai partecipato. Ancora compresa come sono nel mio inverno appena lasciato, coi vestiti pesanti e il cuore molto leggero, nel sole e nella luce abbagliante di Porto Alegre.
Il corteo sfila rumoroso e gioioso e tutto cattura la mia attenzione: i visi scolpiti nel basalto delle montagne degli antichi schiavi, la bellezza dei bambini e dei giovani, l’energia dei gruppi di anziani che danzano e picchiano forte sulle pentole di alluminio, la manifesta solidarietà delle persone che ci salutano dai balconi, che invadono i ponti e le gradinate delle chiese. E’ quasi uno spettacolo teatrale, uno sfoggio di arte visiva ed espressiva, oltre che un manifesto politico, in cui ciascuno riesce a collocarsi: le ragazze vestite da sposa che rivendicano il diritto alla parola e all’uguaglianza di opportunità, i visi impenetrabili degli indios senza sorriso, che sfilano con i colori della foresta sulla pelle lucida e scura, i corpi seminudi ammantati di verde e marrone, i copricapo di piume.
Sono nel mondo, al centro del mondo, nel punto più alto di questa bio-diversità culturale, naturale e umana. Questa la mia prima impressione.
La città ospita per la quarta volta il Social Forum Mondiale, l’ultima edizione si è tenuta in India, e si è preparata con sapienza, forte delle esperienze passate, all’evento planetario che vede la presenza di 155.000 persone, con una maggioranza di asiatici, africani e nord americani, di cui 35.000 nelle tende al Campo della Gioventù.
L’82% dei cittadini di Porto Alegre, interpellati, si dichiara favorevole alla riproposizione di questa manifestazione anche negli anni futuri, a dimostrazione che le sue peculiarità esulano dalle convinzioni politiche o ideologiche e che la simpatia che ci circonda è reale. Porto Alegre è fiera del prestigio internazionale che il Social Forum le ha regalato e il ritorno di immagine, la crescita culturale e politica, oltre al riscontro economico, sono indubbi. C’è un livello alto di compenetrazione e di arricchimento vicendevole.
Da qualche anno, proprio nella zona dove si organizza l’evento, davanti al fiume che sembra un mare, è nata una scuola per ragazzi di strada. Il fine è quello della scolarizzazione e della costruzione di legami che rendano possibile per il futuro un ritorno alle famiglie di origine e alla comunità. Sono 45 ragazzi tra i 13 e i 18 anni che, quando non sono in aula, partecipano ai laboratori di ceramica, informatica, riciclaggio della carta, navigazione. L’integrazione della scuola con lo spazio del Forum dovrebbe propiziare l’amicizia e la relazione con i tanti giovani che discutono di democrazia, di accesso all’istruzione e all’informazione, per la socializzazione delle conoscenze e la costruzione di nuovi saperi.
Gli eventi si susseguono a ritmi frenetici, sono oltre 2000, ed è necessaria un’attenta lettura del mastodontico ed intrasportabile programma per scegliere quelli più importanti o più adatti alle proprie aspettative. Ogni nazione, ma anche ogni regione del mondo o singola realtà, istituzione, associazione, gestisce spazi autonomi di approfondimento e discussione e si sforza di farli conoscere. Il rischio, palpabile, è di disperdersi, anche fisicamente, camminando per ore sotto il sole a picco, da un padiglione all’altro. Passato il primo momento di scoramento, e di smarrimento, ci si rassegna ai propri umanissimi limiti, come l’assenza del dono dell’ubiquità che pure farebbe tanto comodo, e si accetta di condividere, come è possibile, questo incredibile luogo di partecipazione diretta, operando scelte oculate e, purtroppo, selettive. Un’adesione personale, dunque, non mediata da capi, da enti o istituzioni: responsabile e non rappresentativa che di se stessi, se non in qualche raro caso. E’ questo infatti l’immenso e originale significato di Porto Alegre. In mezzo c’è di tutto, davvero di che sbizzarrirsi: la musica, il teatro, la vita comunitaria - soprattutto per i giovani -, il cinema, la tecnologia, i media, il cibo, i mercatini. A me basterebbe anche solo guardare, annusare questa varia e bella umanità, catturare espressioni, emozioni, sentire i diversi idiomi e la loro musicalità, capire qualcosa, sfiorare scampoli di gioventù ostentata con gioia e sfrontatezza. Bello. Vorrei una foto per ogni faccia, per ogni sguardo incrociato.
Ciò che caratterizza questo Forum è soprattutto l’ingresso in massa delle nuove generazioni sudamericane e la mancanza dell’Europa, presente in modo decisamente meno significativo che nelle altre edizioni.
L’altro dato che si coglie immediatamente è quello che i giornali brasiliani hanno definito "la lotta contro la frammentazione dei temi", una sorta di crisi d’identità probabilmente fisiologica. Il passaggio ad un livello superiore. I temi forti sono la lotta al mercato finanziario, in aperta contrapposizione con Davos, la pace, la guerra in Medio Oriente e la cancellazione totale del debito per i paesi del Sud-Est asiatico colpiti dall’immane tragedia dello tsunami, sia di quello costituito dai crediti di aiuto che di quello commerciale. Diritti umani, dunque, a cui la politica e l’economia mondiali sono tenuti a dare una risposta. La critica al modello attuale è serrata, non è più solo il Forum dei testimoni eccellenti e degli assi tematici indipendenti, dove i richiami alla lotta infiammano i partecipanti, in particolare contro la politica americana, ma una ricerca forte e convinta di alternative. Si rimarca, quasi come un merito, l’assenza di personaggi politici di un certo peso, a parte i due presidenti Lula e Chavez, e si sostiene che per cambiare il mondo sarà necessario cambiare prima l’agenda del Forum. Il parallelismo cercato da Lula tra Porto Alegre e Davos non è ben recepito: là ci sono capi di stato e istituzioni, qui ci sono persone.
La soluzione più ovvia sembra quella della decentralizzazione e regionalizzazione degli incontri: il 2005 forse segnerà la fine di un’era del Social Forum, centralizzato sotto un’unica grande bandiera, a favore di una serie di eventi itineranti. La sensazione per molti partecipanti è che il Forum perderà la sua forza. In tanti si dichiarano favorevoli all’esplicitazione di un’agenda minima che racchiuda il senso del "portoalegrismo": utopia e politica. Si controbatte a questa tesi il fatto che l’evento deve rimanere quello proprio di uno spazio aperto dove ognuno, cittadino o cittadina, possa esporre la diversità di opinioni, non una ricerca di sintesi a tutti i costi. Altri sono i luoghi deputati. Eppure, come vedremo, di sintesi se ne faranno molte. Degli intellettuali, degli organizzatori, dei presidenti, dei diversi gruppi di partecipanti.
L’annuncio che il Venezuela si propone come ospite di uno dei Forum regionali (gli altri possibili saranno la Corea e l’Europa, nei quali si dividerà l’edizione 2006), probabilmente a Caracas e con l’appoggio del presidente Chavez, getta nello sconforto molti degli organizzatori brasiliani. Ma la decisione ultima e definitiva verrà presa ad Amsterdam tra il 30 marzo e il primo aprile prossimi, quando si riunirà il Consiglio Internazionale del Forum. L’Africa invece sarà quasi certamente il continente che ospiterà il Social Forum unificato che si terrà nel 2007. Per i brasiliani è una specie di sconfitta. Il comitato africano spinge per il Marocco, ma non sono escluse altre possibilità. Gli eventi decentrati, nel 2006, saranno simultanei e concomitanti con il WTO di Davos in Svizzera.
Tra le azioni significative vi è da segnalare una manifestazione di Greenpeace a Monsanto, Porto Alegre, per denunciare il piano di controllo dell’agricoltura da parte delle imprese di biotecnologia che pretendono di espandere la coltivazione dei transgenici in Brasile, Argentina, Paraguay e Bolivia. La polizia circonda con un cordone di isolamento i manifestanti, ma il clima resta pacifico. La multinazionale contestata produce sementi di soia transgenica. Sui muri della sede viene posto un enorme striscione con la scritta "Consulado da Repubblica da Soia".
In questo Social Forum, per la prima volta, sono state presenti più di 20 etnie indigene del Brasile, gli indios, che hanno dimostrato la loro insoddisfazione per le politiche governative messe in atto nei loro confronti. Il loro manifesto, presente in tutte le occasioni di maggior rilievo, accusava il governo di scarsa attenzione nella ricerca di soluzioni ai loro gravi problemi, soprattutto in relazione alle misere condizioni di vita e alla garanzia di avere una terra su cui vivere con dignità. Tutto ciò sta causando alla popolazione indigena "conflitti, miseria, fame, distruzione e malattie".
Ovazioni di vari minuti accolgono due scrittori, il premio Nobel portoghese Josè Saramago e l’uruguaiano Eduardo Galeano. Provocatorio, Saramago smentisce chi lo ha preceduto sul tema dell’utopia e della politica, affermando di non credere nell’utopia. Considera questa idea tanto inutile e ingenua quanto quella di pensare che quando moriremo andremo tutti in Paradiso. L’utopia non dice nulla ai milioni di persone che muoiono di fame. Ma anche la democrazia non se la passa tanto meglio. "Tutto si discute tranne ‘lei’, che se ne sta sull’altare come una santa. Il potere dei cittadini si limita, nella sfera politica, alla presa in giro di governi che prendono altrove le proprie decisioni: le organizzazioni mondiali che governano il mondo non sono democratiche, basti pensare al Fondo Monetario Internazionale o alle grandi corporazioni".
Galeano, dal canto suo, pensa all’utopia come ad una linea che si sposta insieme a chi tenta di raggiungerla. Ricorda le vicende di Cervantes, autore di Don Chisciotte, che scrisse il libro in carcere, "imprigionato per debiti, come tutti i paesi del sud del mondo". Il donchisciottismo è dunque la dimensione eroica dell’antieroe e l’utopia è la realtà vista con gli occhi del folle don Chisciotte.
Galeano cita Gorge Bernard Shaw: "C’è chi guarda la realtà e si pone dei perché, e c’è chi la immagina diversa e pensa: ‘Perché no?… Qui siamo in molti, Chisciotti e Chisciotte, pronti a sottoscrivere il manifesto di domani: una tassa mondiale di solidarietà contro la fame e la miseria, la soppressione dei paradisi fiscali, la cancellazione del debito estero per i paesi poveri, l’acqua potabile per tutti, una tassa di solidarietà sulle enormi ricchezze private". Mi riconosco nelle immagini visionarie, poetiche, colte, di questi anziani letterati dal cuore giovane. Per questo sono venuta a Porto Alegre, per questo siamo qui in tanti.
La grande manifestazione di apertura del Social Forum allo stadio Gigantinho, alla presenza del presidente Luiz Ignacio Lula da Silva, invita alla chiamata globale d’azione contro la povertà, a regole certe per un commercio più giusto, all’aumento della cooperazione internazionale e umanitaria, a nuove forme per finanziare lo sviluppo.
Le migliaia di militanti delle camicie rosse, con la scritta "100% Lula" devono però fare i conti con qualche decina di oppositori che costringono il presidente brasiliano ad un intervento interno alla sua realtà, ad una difesa serrata del proprio operato. Lo fronteggiano con asprezza, chiamandolo traditore, il Blair dei Tropici. Sul palco, la senegalese Coimba Tourè alza il braccio sinistro di Lula mostrando la fascia bianca, simbolo della campagna contro la fame e la povertà. E questa fame si materializza all’improvviso nelle parole dell’indio John Samuels: "Il grande terrore del mondo oggi corre dentro i nostri stomaci".
Ma è Chavez la vera stella del Social Forum 2005, lui si schernisce e risponde: "Io sono Hugo e nulla più. Le stelle sono i popoli; come diceva Napoleone, ‘è la fanteria la regina delle battaglie’".
Il presidente venezuelano raccoglie gli esiti entusiasmanti del referendum del 2004 che ha sancito la sua permanenza al governo, dopo aver sventato un colpo di stato. Per Chavez, quello attuale, "è un mondo che se continua su questa strada è destinato all’autodistruzione e perciò il Social Forum è diventato l’evento politico più importante sul tema del debito e sulle possibili alternative. Ma il Forum, dopo cinque anni, deve fare un salto in avanti: è già una meravigliosa piattaforma di dibattito, molto creativo, molto diversificato, molto allegro e inclusivo. Ma ha ancora paura di questo salto in avanti e di fare proposte nel senso di un’agenda sociale mondiale: una strategia che includa il lato politico ed economico". Districandosi abilmente tra la dialettica creatasi tra la sua figura e quella di Lula, afferma che non è possibile incastonare il Forum in una ideologia che si riconosca in un paese piuttosto che in un altro, perché è mondiale ed è il risultato della confluenza delle diverse correnti ideologiche, progressiste, riformiste, umanistiche e rivoluzionarie. Il futuro del mondo è qui. Modestamente l’avevo pensato anch’io in queste giornate speciali. Ma è ovunque noi portiamo la nostra passione civile e sociale, la voglia di cambiare, la messa in discussione dei nostri privilegi. Questa è la politica ma è anche la vita.
E’ l’ultimo giorno. Ariana Marinico, 17 anni, india guaranì, ha diviso con il rappresentante del movimento "negro",Valerio Lopez, la relazione finale del Social Forum 2005, mentre a lato del palco alcuni giovani aprivano la "Bandiera delle Bandiere" che riunisce le bandiere di tutte le nazioni aderenti. Iniziano a suonare alcuni gruppi musicali dalla Palestina, dall’India, dallo Zambia e dal Marocco, mentre i venditori ambulanti cercano di vendere le ultime mercanzie. Tutti sono stanchi, sfiniti, ebbri di quel pieno di emozioni che caratterizza momenti di rara intensità anche emotiva, e nel contempo dello svuotamento che segna la fine di un’esperienza così forte e coinvolgente.
I rappresentanti delle tribù indigene d’America si rivolgono agli spiriti del rispetto della terra e della fratellanza tra gli uomini.
Tutti rendono omaggio agli spiriti degli antenati che hanno popolato questa bellissima terra, sterminati e umiliati senza pietà. Sono gli "indigenas ancestrais". A loro chiediamo benevolenza e perdono: l’augurio affinché buoni auspici accompagnino in terra d’Africa il Social Forum 2007.
Anch’io sono arrivata, "stanca ma felice", alla fine di questa straordinaria esperienza.
Io ci sono venuta da privata cittadina, era un sogno che coltivavo da tempo, un regalo che mi sono fatta.
Ne valeva la pena.
Ho salutato con affetto Porto Alegre, l’oceano grigio e imponente con le sue onde spumeggianti, in una giornata di vento e di sabbia finissima che caricava le dune, la simpatica famiglia di macachi della sierra che mi hanno fatto ritornare bambina, il verde brillante degli immensi alberi e il fragore delle cascate, i fiori di ibisco e le orchideee, le farfalle grandi come fazzoletti in continuo movimento per sfuggire alle mie foto invadenti.
Il cobra verde che per fortuna non ho incontrato e le iguane che mi osservavano incuriosite.
Ma soprattutto la folla di uomini e donne, che come me credono che un altro mondo, migliore, è possibile, ed hanno popolato e dato un senso a questo mio breve tempo nella bellissima terra del Rio Grande do Sur. Tutti loro saranno sempre nei miei pensieri e nel mio cuore.