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QT n. 15, 14 settembre 2002 Servizi

Riforma elettorale: il colpo di coda della nomenklatura

Il Consiglio provinciale sta cercando di fare a pezzi la “norma transitoria”. Con un obiettivo preciso: salvarsi la seggiola.

Per dare la misura di quanto sta accadendo a Palazzo Trentini, sede della commissione speciale istituita per esaminare i disegni di legge in materia elettorale, basta un piccolo raffronto. Nei quattro anni trascorsi dall’inizio di questa legislatura, il Consiglio provinciale è rimasto a tal punto paralizzato da non riuscire a varare che pochissime leggi, e non certo le più importanti. Il disegno di legge sulla riforma istituzionale, quello che dovrebbe abolire i comprensori e conferire maggiori poteri ai comuni, è ancora bloccato in commissione, nonostante lo si ritenga urgente ed improcrastinabile da almeno un decennio. Sull’urbanistica, all’inizio della legislatura l’Ulivo si era posto due obiettivi: subito la variante per le cose più urgenti, poi la revisione integrale del PUP. Ebbene, la variante non è ancora approdata in aula, essendo ferma in commissione, mentre della revisione integrale del PUP non si parla ormai più.

Ma non basta. La materia elettorale è da sempre una delle più controverse, il cui percorso di approvazione è sempre lungo e incerto: in Regione, la piccola modifica alla legge elettorale dei comuni presentata dalla Giunta Cogo è tuttora bloccata, oggetto da ben 4 anni dell’ostruzionismo delle opposizioni. La stessa modifica dello Statuto recentemente approvata, che con la norma transitoria ci consentirà di votare alle prossime elezioni provinciali con un nuovo sistema elettorale (sempre che il Consiglio provinciale non approvi prima una propria legge) ha avuto un travaglio durato quasi dieci anni.

Cosa sta accadendo, invece, sulla legge elettorale per l’elezione del Consiglio provinciale (quella che dovrebbe prendere il posto della norma transitoria)? Ebbene: nella prima seduta della commissione speciale, si sono esaminati i sei disegni di legge presentati sulla materia ed entro la stessa sera erano già pronti due testi unificati, che hanno fuso in un solo disegno di legge le tre proposte contenenti l’elezione diretta del presidente della Provincia e le due proposte di ritorno al proporzionale puro (è rimasta fuori la proposta di Morandini, che prevede il premio di maggioranza senza l’elezione diretta del premier).

Una velocità supersonica. E la commissione speciale si è data ritmi frenetici, fissando in calendario un’infinità di riunioni, impegnando i consiglieri ad un vero e proprio tour de force. Di questo passo, entro la fine di settembre potremmo già avere una nuova legge elettorale approvata dal Consiglio.

E’ una fretta paragonabile solo a quella che hanno gli avvocati di Berlusconi nel far approvare dal Parlamento il disegno di legge Cirami sul legittimo sospetto. E anche qui sorge un sospetto più che legittimo: non è che i nostri consiglieri provinciali stiano cercando di salvarsi la seggiola?

Sia chiaro: il meccanismo della norma transitoria non è certo il migliore sistema elettorale possibile. Anzi. Col Presidente della Provincia eletto direttamente ed il Consiglio eletto col proporzionale corretto con premio di maggioranza, la norma transitoria ricalca il sistema in voga nel resto d’Italia - ed anche nei nostri comuni - da circa un decennio. È’ un sistema già frutto di un pesante compromesso: è stato ideato per conciliare l’inconciliabile, ossia la stabilità di governo (vale a dire il diritto dei cittadini di scegliere da quale schieramento politico farsi governare) e la frammentazione dei partiti (leggi: le seggiole). Il tutto a scapito dell’equilibrio tra i poteri: di fatto, tutto il potere finisce nelle mani del premier eletto direttamente, mentre il Consiglio, iperframmentato, è condannato a non contare un fico secco. Per migliorare il meccanismo della norma transitoria, garantendo al contempo stabilità di governo ed equilibrio tra i poteri, gli spazi sarebbero dunque molti: basterebbe lavorare sulla riduzione della frammentazione dei partiti, dando così vita ad un Consiglio forte ed autorevole, capace di equilibrare il potere del presidente. E invece …

Il testo elaborato dalla commissione speciale che ha unificato le tre proposte contenenti l’elezione diretta del premier (quella di Dellai, quella di Leveghi/Benedetti e quella di Fontana), e che sarà il testo con più probabilità di giungere ad approvazione, va in direzione opposta. Anziché rafforzare il Consiglio, indebolisce il presidente. Insomma, non è che butta via il bambino (la governabilità) con l’acqua sporca (la frammentazione): si tiene l’acqua sporca e butta via il bambino! E dire che delle proposte rimaste in campo, questa è pur sempre la migliore.

Eppure, la partenza non era stata delle peggiori. Il disegno di legge presentato da Dellai, infatti, era un buon testo. Anzi, date le condizioni, un testo eccellente. D’accordo: rispetto al meccanismo della norma transitoria non prevedeva variazioni di grande rilievo (ma già questo costituiva un buon segnale). Tuttavia, conteneva delle innovazioni degne di nota. Anzitutto sulla rappresentanza femminile: secondo il testo Dellai, se nel Consiglio uscente le donne sono meno del 30%, tutte le liste devono contenere almeno il 40% di donne, nella scheda elettorale hanno precedenza le liste con maggiore presenza di donne, sui manifesti elettorali è indicata la percentuale di donne presenti in ciascuna lista e, infine, l’ordine di lista deve alternare uomini e donne. Nemmeno la commissione pari-opportunità avrebbe sperato tanto. Una innovazione del genere costringerebbe lo stesso partito di Dellai a rivoluzionare la propria rappresentanza in Consiglio, niente male per uno che avrebbe potuto tranquillamente ignorare la questione per evitare grane interne con la Margherita.

L’innovazione più significativa, ai fini del discorso sin qui fatto, sta però in un altro punto, laddove il testo Dellai affronta la questione degli strumenti di democrazia diretta. Si introduce, oltre al referendum abrogativo, anche quello propositivo e, soprattutto, il quorum dei votanti per dichiarare valida la consultazione referendaria è ridotto al 25%. Meglio sarebbe stato abolirlo del tutto, il quorum, ma la portata di questa innovazione è comunque evidente: immaginiamoci come finirebbe un referendum sulla Val Jumela.

Perché è importante questo punto? Perché l’esercizio della democrazia diretta diventa un vero e proprio strumento per riequilibrare il potere del presidente eletto direttamente: se per riequilibrare il potere del presidente non si riesce a rafforzare il Consiglio (perché quest’ultimo non vuole rinunciare alla propria frammentazione interna), allora si riconosce questo ruolo direttamente ai cittadini.

Rimane da spiegare per quale curioso motivo Dellai, anziché presentare la propria proposta come Giunta, abbia preferito depositarla come semplice consigliere della Margherita. Dellai dice che la sua maggioranza ha, su questo argomento, opinioni troppo diverse al proprio interno. Tuttavia, agendo in questo modo, Dellai ha involontariamente dato alla sua stessa maggioranza un segnale preoccupante: sulla legge elettorale, sciogliete le righe. E così è stato.

Puntualmente, il testo unificato presenta già dei passi indietro sia rispetto a quello di Dellai, sia rispetto alla norma transitoria. Le innovazioni sulla rappresentanza femminile sono andate in fumo, le preferenze sono passate da due a tre, ma soprattutto gli assessori, che nel testo di Dellai e nella norma transitoria potevano essere scelti anche tutti tra non consiglieri, dovranno essere per almeno la metà scelti tra persone appartenenti al Consiglio provinciale.

Quest’ultimo è il punto più grave, rivelatore dei reali motivi che stanno dietro l’alacre lavoro della commissione. Chiariamo una cosa: la possibilità di scegliere i membri dell’organo esecutivo tra persone non appartenenti all’assemblea legislativa è un elemento caratteristico non soltanto dei sistemi maggioritari, non soltanto delle democrazie dell’alternanza, ma di tutte le democrazie tout court. Anche nell’Italia della prima Repubblica, i ministri potevano essere dei tecnici, al pari di come avviene in tutto il mondo. Era il Trentino ad essere un’anomalia, che la recente riforma statutaria ha finalmente superato. E qui appare evidente come si stia muovendo la commissione: anziché migliorare la norma transitoria rendendo il sistema più simile a quello delle altre democrazie dell’alternanza, butta via le innovazioni migliori, quelle che cancellano le anomalie del nostro sistema. Anche nei comuni trentini esiste questa stramberia che obbliga i sindaci a scegliersi almeno la metà degli assessori tra i consiglieri comunali, ma proprio il disegno di legge Cogo, quello tuttora paralizzato in Regione, puntava a togliere questo limite ed oltretutto quell’articolo è già stato approvato dal Consiglio regionale, segno che sul piano teorico anche i nostri consiglieri ammettono che si tratta di una stupidaggine.

Perché è così importante che gli assessori possano (si tratta di una possibilità, non di un obbligo) essere scelti tra non consiglieri? Perché questo è l’unico modo per assicurare che gli assessori svolgano il loro ruolo nell’interesse della generalità della popolazione, anziché solo con l’obiettivo di farsi rieleggere, ossia facendo clientelismo. Infatti, se un assessore sapesse che, per essere riconfermato, deve passare attraverso la rielezione in Consiglio, è inevitabile che sia spinto a fare l’assessore con l’obiettivo di procacciarsi le preferenze. Ma per i membri della commissione queste considerazioni non contano: in una legislatura caratterizzata da maggioranze nelle quali (quasi) tutti fanno gli assessori, è inevitabile che la logica degli assessori laici faccia tremare molti. Se il prossimo presidente potesse scegliersi come assessori gente come Bernabè, Egidi o Bonvicini, che fine farebbero i vari Muraro?

Il potere del presidente di nominare e revocare gli assessori e la possibilità di scegliere tutti gli assessori anche tra persone non appartenenti al Consiglio, sono poi due elementi ancor più essenziali nella logica della democrazia dell’alternanza: che me ne faccio dell’elezione diretta del presidente della Provincia se poi questi è costretto a farsi la giunta, anziché badando alle reali competenze, ancora col metodo Cencelli, subendo i ricatti dei partiti, dei partitini e dei singoli consiglieri, tutti in cerca di rappresentanza e visibilità?