Trento in riva al fiume? Difficile…
Dopo la consulenza Busquets, in attesa di Renzo Piano, vengono silurati i “tre saggi”, i consulenti del Prg al di sopra di ogni sospetto. Che qui ci parlano del loro contributo (“vanificato per salvaguardare equilibri politici”) degli orientamenti della città (“sarà un caso che noi urbanisti dovremo studiare”) delle sue prospettive (“il prevalere degli interessi delle immobiliari”).
La viabilità come progettata dai consulenti: si noti il boulevard nei pressi della stazione, il nuovo ponte in prossimità dello stadio Briamasco, via San Severino spostata all'interno dell'area Michelin, la tangenziale spostata dietro Piedicastello.
"Questo Piano Regolatore di Trento sarà un caso che noi urbanisti studieremo. Un PRG che esce non da studi, ma da emozioni: una città che si innamora di un’idea, e su questa base si orienta per il futuro" - è il commento, sarcastico e amaro di Alberto Mioni, docente di Tecnica Urbanistica al Politecnico di Milano.
"Per salvaguardare equilibri politici si è vanificato tutto il lavoro tecnico; e si è d’improvviso sposata un’altra idea di città" - afferma Renato Bocchi, docente ad Architettura a Venezia.
Mioni e Bocchi sono due dei "tre saggi" (il terzo è l’arch. Bruno Zanon, docente a Ingegneria di Trento, che esprime perplessità più contenute) a suo tempo incaricati di predisporre il PRG del capoluogo. Terminata una prima - e ultima, a questo punto - fase del proprio lavoro, ci esprimono con toni di grande delusione il disappunto per come questo è stato accolto ("Non ha mai interessato a nessuno; credo che non servirà a niente" - afferma Mioni), e di preoccupazione per una città che sembra non saper progettare con razionalità il proprio sviluppo.
Così, ingloriosamente, si chiude la breve parentesi dei "tre saggi", i tre urbanisti "sopra ogni sospetto" (e per questo invisi al partito della speculazione) prima chiamati dalla giunta di centro-sinistra a disegnare la città del duemila; poi offuscati dal "grande nome", l’arch. Busquets, chiamato per affiancarli; infine messi in un canto. A un’ultima, vigorosa lettera di protesta di Renato Bocchi al sindaco Pacher, non è stata data fin qui alcuna risposta.
Al di là della correttezza in termini di rapporti professionali, questo cosa comporta per la città? E’ quanto cerchiamo di illustrare in queste pagine.
L’impostazione iniziale del lavoro data dal Comune era ottima, - spiega Mioni - con un documento programmatico che impostava i temi di fondo: fine della crescita urbana, recupero della qualità perduta, attenzione alle fasce sociali disagiate, utilizzo delle opportunità offerte dalle aree Michelin e Trento Nord per riqualificare in questo senso la città."
Invece poi...
"Invece si finisce con migliaia e migliaia di metri cubi di terziario di cui nessuno sente il bisogno".
"L’amministrazione ha attivato una serie di strumenti e competenze di rilievo: ma poi li sottoutilizza - dice Zanon - Così per il piano strategico, i cui consulenti (guidati dal preside di Economia Zaninotto, n.d.r.) non sanno se qualcuno li ascolta, per il piano sociale, per il nostro lavoro al PRG. Mi sembra di vedere una sopravvalutazione del momento della scelta politica, a scapito dello strumento tecnico."
Questo è un ritornello noto: si attivano le consulenze, ma poi, in nome della "sintesi politica", le decisioni vengono prese prescindendone alla grande.
"Un esempio: esce l’idea dello Science Center - prosegue Zanon – Il che vuol dire lavorare per avere un afflusso di 200.000-300.000 visitatori l’anno. Ma poi c’è qualcuno che li accoglie, li gestisce, oppure stanno fra i piedi? Questo è il problema della città turistica; ma è lo stesso per la città universitaria e per la città fieristica. Il punto su cui noi abbiamo lavorato è proprio questo: scindere il momento delle scelte strategiche da quello delle scelte operative."
Questo sarebbe, nella giungla della terminologia urbanistica, il cosiddetto Piano strutturale, cui hanno lavorato Zanon e Mioni. Sentiamo quest’ultimo: "Si trattava di passare, anche a Trento, a un sistema di decisioni di fondo, vincolanti, sull’orientamento della città; decisioni che non hanno forza normativa (come le prescrizioni urbanistiche) ma politica. Poi, sulla base di questo piano di struttura, si decidono, di volta in volta, le cose da fare, in base alle urgenze, alle occasioni, attraverso piani regolatori, questi sì vincolanti."
Questi erano i propositi...
"Invece il risultato è l’attuale variante, nella quale non si dicono le cose da fare adesso (su Michelin e Trento-nord si rinvia) ma si pongono tutta una serie di ipotesi non verificate: l’ospedale (che si farà tra 20 anni, e di cui è dubbia la reale esigenza), un albergo a Trento-nord (chi l’ha chiesto? Chi lo finanzia? Non importa niente: qualcuno disegna una bella torre, e subito la si prevede in mappa); e ancora a Trento-nord, si prevede di costruire di più che nella vecchia convenzione, quando invece si sarebbe dovuto tagliare, anche perché questa domanda di nuovo terziario, di nuova residenza, semplicemente non c’è. Per non parlare dell’interramento della ferrovia: nel Piano strutturale avevamo scritto: ‘Nessun progetto di rilievo verrà introdotto senza seri studi preliminari’; bene, qui non c’è nessuno studio, siamo a livello di tesi di laurea, eppure attorno a questo progetto si orienta tutto lo sviluppo della città."
L’arch. Bocchi ha invece lavorato sul parco fluviale e, al suo interno, sull’area Michelin. La filosofia di Bocchi era questa: Trento è una città storicamente organizzata attorno a una serie di flussi che attraversano la valle dell’Adige in direzione nord-sud, il fiume, la ferrovia, la statale, l’autostrada. Si può assecondare questa naturale inclinazione, realizzando una porzione di territorio, sempre da nord a sud, da piazza Dante a Ravina, destinata a parco, luogo della natura, dello svago, dello sport, della cultura.
"L’idea di fondo è stata recepita, almeno a parole - sostiene Bocchi – Ma all’atto pratico ne vengono fatti saltare tasselli fondamentali".
I punti dolenti sono due. Il primo è l’area Michelin, dove è venuta al pettine l’ambiguità di fondo, di un’area strategica svenduta ai privati (in cambio dell’appoggio dei poteri forti alla campagna elettorale dell’allora sindaco Dellai), che ora rivendicano di poterla far fruttare. "A me era stato assegnato l’incarico di dare delle linee guida sull’area; ora si rinuncia a dare qualunque linea e i privati avranno carta bianca."
Il marchingegno è stato il solito: il "grande nome". Come il lavoro complessivo dei "tre saggi" è stato delegittimato attraverso la superconsulenza a Busquets, così quello di Bocchi è stato accantonato, per lasciare carta bianca al "grande nome" (si parla di Renzo Piano), incaricato ad hoc da Iniziative Urbane, il pool dei proprietari.
"Il ‘grande nome’ sarebbe la garanzia della qualità del progetto. In realtà è una garanzia fasulla. Innanzitutto perché il grande nome risponde al committente, che è Iniziative Urbane. E poi perché farà sì un progetto pregevole, e di sicuro rispettoso dell’ambiente; però i rapporti di quest’area cruciale con le Albere, con l’Università, con il centro, con la viabilità... non saranno di sicuro in cima alle sue preoccupazioni, né alle convenienze di Iniziative Urbane."
E così sia la maggioranza, sia l’opposizione di centro-destra (che tanto aveva sbraitato contro supposte collusioni dello stesso Bocchi con Iniziative Urbane, con cui in realtà anela essa ad avere rapporti preferenziali, oggi riservati alla Margherita) siluravano come "dirigiste" le linee di Bocchi.
Il secondo punto è il nuovo ponte sull’Adige. I "tre saggi" ne avevano spostato l’originaria collocazione (in asse a via Verdi, secondo le previsioni del vecchio PRG) prevedendola in corrispondenza dell’attuale stadio Briamasco (spostato a Ravina). Il centro-destra faceva opposizione, e la maggioranza ingranava il dietro-front: il ponte ritorna su via Verdi.
"Il che configura un’idea di città molto chiara, quella propugnata dall’ex-sindaco Goio, e messa in carta nel vecchio PRG: la città si espande oltre la ferrovia e arriva al fiume, senza cambiare. Ma io avevo avuto un preciso incarico, e su questo ho lavorato con un consenso che sembrava solidissimo, attorno a tutt’altra ipotesi: la linea della ferrovia/boulevard segna il limite della città tradizionale, e oltre, fino al fiume, c’è una città diversa, innervata nel parco fluviale. Con il ponte al Briamasco si sarebbe canalizzato il traffico verso la tangenziale da una parte, verso il boulevard dall’altra; invece con il ponte su via Verdi si interrompe il parco fluviale, si impedisce la pedonalizzazione della zona universitaria, si creano enormi problemi a Sanseverino e alla nuova biblioteca..."
Per finire Piedicastello e la zona Italcementi: "Io ho avuto l’incarico di predisporre un piano per un’operazione legata al pubblico, coerentemente alle attuali previsoni del Piano Regolatore - ricorda Bocchi - Di punto in bianco si passa a un’operazione in cui deve esserci il privato. Perché? Si ricrea lo stesso meccanismo già visto alla Michelin?"
"Lì gli attuali proprietari, la famiglia Pesenti, sono in una situazione inattaccabile: macinano ancora qualche pietra per poter rivendicare lo status di area per attività produttiva, quindi non espropriabile. - afferma Zanon - L’ente pubblico deve avere le idee chiare: decidere cosa fare (Museo Archeologico o quant’altro) e andare a trattare. Invece non credo che l’ente pubblico debba mettersi a supportare iniziative che poi finiscono per andare sul mercato immobiliare. Il quale ha i suoi problemi di invenduto, che poi finiscono con l’essere riversati sull’ITEA che - regolarmente comperando gli alloggi invenduti - sembra avere la funzione di garantire il profitto alle immobiliari, e di mantenere alti i costi degli alloggi".
Questo discutibile ruolo viene assunto dall’ITEA anche grazie a un solido alibi: i PRG non prevedono aree per l’edilizia pubblica. Né questo PRG sembra discostarsi da tale linea. In particolare non ha previsto il meccanismo della "perequazione", in vigore per esempio a Bolzano: quando un privato realizza una costruzione su un lotto, è obbligato a cederne una parte tra il 40 e il 60% all’ente pubblico, per la realizzazione di verde o edilizia pubblica.
"Su questo non abbiamo lavorato molto - ammette Zanon - anche perché il Piano sociale ha previsto altri meccanismi, nell’ottica di non creare quartieri-ghetto: delle costruzioni del privato una parte viene ceduta per edilizia pubblica, a prezzi concordati in partenza".
Meglio degli acquisti effettuati per coprire gli invenduti; ma ci sembra sempre una filosofia tesa a dare una mano alle imprese, più che a calmierare i prezzi.
"Si era partiti da un discorso rivolto alle esigenze sociali e si è arrivati alle esigenze degli interessi immobiliari - commenta duro Mioni - Il non quantificato (ma comunque ingente) investimento dell’interramento si tradurrà in un grande incremento di valore degli edifici che si affacceranno sul boulevard (e difatti ne sono previsti a dismisura). E i soldi per il sociale, per le aree deboli della società? E’ questa una politica da centro-sinistra?"