L’inghippo del parco fluviale
Il PRG di Trento continua a dover fare i conti con l'eredità degli affarismi di Dellai. Ancora alla ribalta l'area ex-Michelin, per un progetto di utilizzo dei Verdi: troppo bello, e quindi "impolitico".
Quando un mese fa hanno presentato le loro "proposte per la città", i Verdi di Trento hanno decisamente rotto le uova nel paniere. Infatti la proposta di un "Parco dell’arte, della scienza e della natura del fiume Adige" ha bruscamente messo in discussione dati che parevano acquisiti, rotto la diplomazia partitica, svelato ipocrisie consolidate.
In questi anni infatti al cittadino si è presentata una realtà addomesticata: si è favoleggiato di Parchi fluviali, di ampie distese dedicate a sport, ricreazione, cultura; ma si è sempre inteso – come nei famosi contratti con le clausole finali a caratteri microscopici - che tutto questo dovesse convivere con migliaia di metri cubi che, nell’area centrale di questo intervento, quella dell’ex-Michelin, devono dare "redditività".
I Verdi invece si sono messi a rompere questo schema: hanno riprogettato (architetti Sandro Boato e Furio Sembianti) l’area Michelin come se si dovessero prendere sul serio – ohibò - le promesse ai cittadini. Quindi niente residenze, bensì un museo della scienza, laboratori e atelier al servizio del museo d’arte, lido, piscina, teatro all’aperto, e tanto spazio verde, per la ricreazione e lo sport.
Il che cozza contro un fatto pesante come un macigno: l’area non è di proprietà pubblica, ma di privati, la società Iniziative Urbane, che pretende ricavarne la famosa "redditività"; e quindi vuole poter costruire migliaia di metri cubi e venderli come residenze di lusso. Il che è normale e anche giusto, nella divisione dei ruoli all’interno della società: il privato cerca il proprio tornaconto, all’interno di un quadro di compatibilità generali definite dall’ente pubblico.
L’inghippo sta proprio in questo: l’area ex-Michelin l’ente pubblico la ha ceduta lui ai privati di Iniziative Urbane. Ha predisposto un nuovo capannone in zona industriale per la società francese (costo 20 miliardi), ha ottenuto un prezzo di favore per l’area di via San Severino, ha rinunciato alla prelazione che vi aveva, e ha fatto subentrare i privati ad hoc costituitisi, che per 49 miliardi hanno incamerato gli 11 ettari di pregiatissimo terreno. Con un vincolo: sull’area si potranno costruire "solo" 200.000 metri cubi, secondo le indicazioni che avrebbe fornito il Comune.
Che senso aveva questa manovra? "Non abbiamo i 100 miliardi per comperarlo noi!" disse l’allora sindaco Dellai, barando anche sul prezzo. In realtà l’inghippo, consumato in una serata di fine luglio ’98, alla vigilia delle elezioni provinciali, servì a cementargli attorno il consenso dei poteri forti (tutti coinvolti in Iniziative Urbane): per alcuni mesi i quotidiani locali montarono un’inaudita campagna-stampa a favore del grande leader Lorenzo Dellai.
Ora, tre anni dopo, lo stesso Comune può fare marcia indietro? Può dire: ci siamo sbagliati, per la città non ha senso costruire lì 200.000 metri cubi, vogliamo davvero fare un Parco fluviale?
Volendo può. Tecnicamente è possibile.
Ma politicamente significa denunciare l’inghippo di Dellai. Che, per quanto in declino, è tuttora presidente della Giunta provinciale, in cui siedono tremebondi gli stessi Verdi; ed è sempre il nume politico cui fa riferimento il suo vicesindaco, e attuale sindaco, Alberto Pacher.
Quindi è facile prevedere che le cose sostanzialmente non cambieranno. I consulenti del Prg hanno già previsto di disegnare la zona a Parco non nell’area Michelin, immediatamente disponibile e a ridosso del centro, ma alle attuali Caserme, più decentrate e disponibili tra un paio di lustri.
Il loro lavoro e la sollecitazione (in ogni caso positiva) dei Verdi riusciranno a ridurre i danni.
Ma Trento non ha ancora imparato a fare i conti con l’intreccio affarismo-politica. E finchè questo non accadrà, saranno sempre guai: ognuno ha i politici che si merita, e la conseguente qualità urbana.