Da vittime a oppressori?
La Bibbia può aiutarci a comprendere e a placare l’attuale situazione esplosiva che regna in Medio Oriente?
La promessa della terra, fatta ad Abramo e a Mosè, si ritrova lungo tutto l’Antico Testamento.
Ma, fin dall’origine, il rapporto di Israele con la terra segna una tensione: la terra è data e viene promessa, e questa tensione tra il dono e la promessa sta nell’affermazione fondamentale che la terra appartiene a Dio, che è il Dio del Patto. Dio la dà come una grazia e un segno di benedizione perché gli uomini possano vivere questo dono praticando la legge, godendo dei beni della terra, ma in modo che tutti i membri del popolo possano usufruirne.
La terra di Palestina è situata alla confluenza di tre continenti - Asia, Europa e Africa - i quali vi hanno impresso il loro marchio, al prezzo di invasioni e conflitti.
Se questa pluralità etnica, culturale ed anche religiosa fosse messa al servizio di una politica di riconciliazione, l’avvenire potrebbe illuminarsi. Infine non dimentichiamolo: la condizione del cristiano e dell’ebreo è, sulla terra, quella di uno straniero e di un pellegrino.-
L’ultima opera di primo Levi "I sommersi e i salvati" , saggio sul sadismo dei nazisti e sulla conseguente deumanizzazione delle loro vittime e le analisi taglienti sul silenzio complice del popolo tedesco, hanno una eccezionale carica di attualità. L’Olocausto è un tema storicamente circoscritto, ma i modi con cui Levi lo analizza possono forse aiutare la diaspora ebraica, che guarda ad Israele come "Luce delle Nazioni", a capire fino in fondo come possa avvenire, al di là d’indebiti accostamenti tra la Germania di Hitler e l’Israele di oggi, il passaggio di vittima a oppressore.
Il destino di Israele, dalle battaglie bibliche alla ribellione di Ben Kokhba del 132 d. C. contro i romani (in cui morirono mezzo milione di ebrei e gli altri fuggirono in ogni parte del mondo), via via fino alla resistenza del ghetto di Varsavia e alla fondazione del moderno Stato d’Israele, pare essere un confronto continuo, armi alla mano, con un nemico che cerca di distruggerlo.
Ma occorre distinguere: la battaglia per sopravvivere è animata da un insopprimibile desiderio di libertà che può e deve poter contare sulla solidarietà internazionale; la battaglia invece tesa a sottomettere il nemico rischia di trascinare sempre una democrazia in un regime autoritario.
Il popolo di Israele possiamo dividerlo tra falchi e colombe, cioè occupazionisti e pacifisti. Oggi, i falchi predominano sul cielo del Medio-oriente e le ali della libertà dei popoli non riescono ad innalzarsi. Israele può vincere la guerra della democrazia, dando una risposta concreta al grande desiderio di pace e di giustizia che larga parte della diaspora ebraica sogna per il proprio paese, che in questo momento tutte le nazioni sognano, mettendo fine a tanta violenza subita ed inflitta.