Palestina, fermarli con la forza
La questione non è se schierarsi da una parte o dall’altra. Ciò che conta è che Israele e stato palestinese hanno eguale diritto di esistere. E che devono convivere. Invece Bush e Sharon...
C’è persino qualcosa di peggio di Berlusconi in giro per il mondo. Gorge W. Bush e Ariel Sharon sono l’incarnazione estrema di una concezione ripugnante dei rapporti umani. Sono due capi di stato o di governo, non i capi di minoranze disperate ed emarginate. Hanno alle spalle ricchezza e potenza, una tradizione di cultura e civiltà. E’ vero che sono alle prese con un problema terribile, sconfiggere il terrorismo, cioè la manifestazione massima dell’abiezione umana. Infatti quale che sia il movente che lo ispira, l’atto terroristico è sempre una violenza feroce perché colpisce vittime innocenti, ed anche inutile perché non risolve ma soltanto aggrava i problemi. Ma non può essere combattuto con gli stessi mezzi - cioè rispondendo con la stessa violenza egualmente feroce contro altre vittime innocenti - e pure altrettanto inutile, poiché serve solo ad alimentare l’odio vendicatore. Eppure Bush in Afghanistan ha fatto esattamente questo e con grande ritardo e riluttanza si è deciso a frenare Sharon soltanto perché la guerra in Palestina disturba i suoi piani punitivi contro l’Iraq. Eppure Sharon con ottuso accanimento dispiega ciecamente la sua grande potenza militare in una furiosa rappresaglia, non ascolta le parole moderatrici di Bush ed invece ne emula i bellicosi comportamenti, nella stolta convinzione che la liquidazione di Arafat giovi a far cessare gli attentati suicidi.
Non è facile per noi criticare Israele. Dopo Auschwitz l’ebreo è la vittima. Questo straordinario popolo che nella sua lunga storia, fra tribolazioni inennarrabili, ha conservato una sua inconfondibile identità attorno ad una cultura religiosa monoteista che ha generato l’eresia cristiana e quella islamica, dalla metà del secolo scorso è divenuto un monito per l’intera umanità, per ciascuno di noi. Un popolo che con Marcel Proust, Franz Kafka, Karl Marx, Sigmund Freud, Arnold Schoenberg, Albert Einstein, Charlie Chaplin ha profuso doni immensi al mondo intero segnandone con l’impronta del suo pensiero il civile progresso. Ma è appunto per questa grandezza di Israele, per la immane tragedia che ha sofferto sotto il tallone di Hitler, che è ragionevole attendersi una sua capacità di vincere, oltre che le guerre contro gli stati arabi ed il popolo palestinese, anche la più ardua partita della pace e della convivenza.
Sharon non è all’altezza di questo compito e tradisce la migliore eredità del suo popolo. Sono del tutto insensate le miserabili polemiche attorno al supposto rinascente antisemitismo. La questione non è se schierarsi da una parte o dall’altra, con Sharon o con i kamikaze. Non ci aiuta molto nemmeno la disputa su chi abbia più responsabilità per la situazione che si è creata. Se sia stato prudente erigere lo stato di Israele in mezzo ad un popolo diverso, povero, relitto di domini coloniali. Se sia intollerabile il rifiuto di alcuni stati arabi a riconoscere la legittimità della sua esistenza. Se sia provocatoria l’occupazione da parte dei coloni israeliani dei territori palestinesi conquistati con le guerre vittoriose. Se abbia errato Arafat a non accettare le proposte di Barak.
Non si tratta di fare un processo e dispensare condanne e assoluzioni. Ciò che conta è che Israele ha diritto ad esistere ed eguale diritto ha di esistere un autonomo stato palestinese. E che devono convivere. Questo è il problema che la comunità internazionale è chiamata ad affrontare.
Usa, Europa, Russa e Cina, sotto l’egida dell’ONU devono trovare la capacità di intervenire. Per molto meno si sono mobilitati gli eserciti per le cosiddette guerre umanitarie.
Magari bastassero le iniziative diplomatiche di Colin Powell! Purtroppo la situazione ora è giunta ad un punto tale che solo una robusta forza armata di interposizione può sperare di avere la capacità di imporre una tregua. L’iniziativa è ad alto rischio ma probabilmente inevitabile. Ma sarà inutile se non accompagnata da un consistente sforzo economico per favorire lo sgombero dei territori occupati da parte dei coloni israeliani e per promuovere la nascita di una economia palestinese che renda possibile il ritorno dei profughi. E soprattutto da una iniziativa politica che dia a quella terra santa uno status adeguato alla sua eccezionale condizione. Facendo di Gerusalemme una città libera, magari la sede dell’ONU, il simbolico centro di incontro delle grandi comunità umane che si propongono come le antagoniste del ventunesimo secolo e che in quella città hanno le loro comuni radici.