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Lo scandalo dell’Alto Adige

Trento Nord: la lunga storia di soldi e veleni sui terreni inquinati; e il conflitto d'interessi locale, con uno speculatore che è pure proprietario di un quotidiano.

Trento Nord, lo scandalo dei veleni è il perentorio titolo di una campagna stampa lanciata dall’Alto Adige sui terreni inquinati di Trento Nord. Partita domenica, sempre in prima pagina fino a quando scriviamo, mercoledì. Toni preoccupatissimi, allarmanti: "bomba ecologica... urgenza non più trattabile… diritto alla sicurezza, subito". E così via, una o due pagine al giorno a martellare che su Trento c’è una minaccia incombente, colpevolmente rimossa dalla solita politica inconcludente.

Mercoledì l’intervista con il sindaco Pacher, che doverosamente precisa: "le falde acquifere non sono minacciate dai veleni. La cittadinanza non rischia nulla. Il piombo all’ex-Sloi è immobile." Che poi sono le acquisizioni di alcuni anni di perizie e di interventi di contenimento.

Insomma, tanto rumore per nulla?

Mica tanto.

Il problema, nelle aree inquinate, non è il pericolo – come scopre l’Alto Adige – ma i soldi. Quei terreni erano destinati a servizi pubblici, ma non furono acquisiti dall’ente pubblico, bensì da cordate di privati, che – più veloci delle burocrazie – si impadronirono delle aree, e a prezzi di svendita, sia perché destinate al pubblico, sia perché inquinate.

"Come mai degli imprenditori acquistano aree destinate al pubblico e quindi espropriabili?" ci si chiese. Calma e gesso. Infatti dopo alcuni mesi il Comune – ohibò - scoprì che di quelle aree non aveva più bisogno, e che quindi erano destinabili alla normale edificazione. Salvo verifiche sull’inquinamento.

Ma qui, per il nostro gruppo di speculatori, arrivò la sorpresa. L’inquinamento era così esteso, che le opere di bonifica non sarebbero costate i cinque miliardi di cui si parlava, ma una cifra immensamente superiore, 100 o 200 miliardi, si dice oggi.

E allora chi paga?

"I proprietari delle aree esercitano un diritto ineccepibile: hanno investito, cercano il giusto profitto" ci dice l’Alto Adige in uno dei suoi indignatissimi articoli. E qui non ci siamo proprio. Perché il problema del mancato disinquinamento risiede proprio nel tentativo di far quadrare il cerchio: recuperare i soldi per la bonifica, e far guadagnare i proprietari. I quali sembrano aver contratto presso l’ente pubblico un’assicurazione: se sbagliano i conti, se gli va a male un affare arrischiato, la collettività deve intervenire, Pantalone deve mettere mano alla borsa, per impedire che i tapini siano privati del "giusto profitto".

Ora sia QT che alcune forze politiche, hanno indicato la strada più logica: l’ente pubblico espropri le aree al loro valore di mercato nelle condizioni date (che è praticamente zero), disinquini, e poi le usi per le sue finalità, tra cui primaria quella di un riordino di Trento Nord.

Invece no: bisogna garantire agli speculatori il "diritto ineccepibile", il rientro dei capitali. E quindi si favoleggia di permettergli di costruire, in un’area congestionata, diverse centinaia di migliaia di metri cubi, in modo che ci saltino fuori e le spese di bonifica, e il "giusto profitto". E così si va avanti per anni.

Fino a quando, poche settimane fa, Lorenzo Dellai, notoriamente vicino allo speculatore Pietro Tosolini, attuale proprietario delle aree, non ha avuto il coraggio di presentare in Provincia la proposta indecente: sia l’ente pubblico a pagare per intero il disinquinamento, naturalmente lasciando le aree ai privati, che vi realizzino "il giusto profitto". Nell’attuale obnubilamento della sinistra poltronista, dobbiamo all’opposizione di centro-destra, e in particolare all’orrida Lega Nord, se l’incredibile proposta è stata ritirata.

Ma giace lì, per venire rispolverata al momento opportuno. Magari a seguito di acconcia campagna stampa.

E qui è il caso di sottoporre un’ulteriore notazione. Pietro Tosolini, celeberrimo e ammanicato speculatore edilizio, è tra i proprietari dell’Alto Adige.

Sommessamente diciamo alla redazione del quotidiano: certe campagne non fanno bene all’immagine e al ruolo della stampa. Il conflitto d’interessi non si limita a Berlusconi.