Prove di regime
Il regime? Ancora non c’è. Però ci si sta lavorando...
E’ vero che non c’è ancora un regime, ma ci stanno provando ed anche con grande alacrità. Non aggrediscono, per ora, la Costituzione formale. Si applicano con intenso fervore ed una strategia a largo raggio ad erodere la cosiddetta costituzione materiale. Vale a dire quel complesso e bilanciato sistema formato da distinti centri di potere che, nelle istituzioni o nella società, di fatto costituiscono la struttura e la fisiologia di una comunità democraticamente equilibrata. Il concetto, così enunciato, è forse un po’ oscuro.
Ma bastano pochi esempi per illustrarlo.
L’ordine giudiziario, al quale è affidato il terzo potere dello Stato, è soggetto solo alla legge, quindi è indipendente dagli altri poteri. Ma se il ministro di Giustizia trasferisce un giudice che forma il collegio di un processo in corso, scioglie il Tribunale impedendogli di giudicare. Se con legge si avoca al Parlamento la scelta della priorità dei reati da perseguire, o si priva il pubblico ministero del potere di indagine tramite la polizia giudiziaria, o si mette in crisi l’efficienza dell’organo di autogoverno della magistratura riducendone i membri, il risultato finale sarà inevitabilmente una perdita di autonomia del potere giudiziario rispetto agli altri poteri dello Stato.
L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che garantisce la reintegrazione del lavoratore licenziato senza giusta causa, ha di fatto una applicazione assai rara. Non solo: la riforma peggiorativa proposta dal Governo è destinata ad alcuni limitati casi e provvisoria nel tempo. E tuttavia su di essa assistiamo ad un braccio di ferro fra governo e sindacati apparentemente non giustificato dalla portata pratica della riforma voluta dal governo e contrastata dai sindacati. Gli è che l’art. 18 attribuisce al lavoratore la dignità di persona. Senza di esso il lavoratore diventa un elemento anonimo dell’azienda, sguarnito di diritti, alla mercé del padrone, quindi come tale sprovvisto di qualsiasi attitudine reattiva. L’indebolimento dell’art. 18 dunque mira a spogliare il lavoratore della sua qualità in persona e quindi ad intaccare la sua organizzazione collettiva, cioè il sindacato. Dividere il movimento sindacale e svuotarlo del suo ruolo protagonista nel processo produttivo è un altro preciso obiettivo perseguito dal governo.
Il controllo della RAI da parte dell’attuale maggioranza realizza il monopolio, diretto o indiretto, del più potente mezzo di comunicazione di massa, la televisione, in capo ad una sola persona, il primo ministro. Un tale monopolio rende inutile vietare il dissenso, ciò che invece dovettero fare i "regimi" del ventesimo secolo, poiché esso basta ad assicurare un consenso telecomandato. La concentrazione in una sola mano del quarto potere, appunto i mezzi di comunicazione di massa, elide un elemento essenziale di una società democratica, il pluralismo dell’informazione.
Le leggi pro domo sua approvate in rapida successione nei primi dieci mesi di questa legislatura, grazie a una maggioranza parlamentare docile e compatta, rappresentano un caso estremo di privatizzazione, perché con esse sono stati piegati a scopi personali del premier e dei suoi consorti addirittura gli organi costituzionali dello Stato. Coronando l’operazione con la legge cosiddetta sul conflitto di interessi che, anziché vietarlo, lo ha addirittura legalizzato.
Tutto ciò è accompagnato da un fenomeno che è ancora più inquietante dei fatti ricordati. Mi riferisco al culto della personalità, che è un dato che contraddistingue tutti i "regimi" storicamente conosciuti. Il rapporto fra il leader di Forza Italia ed i suoi seguaci è caratterizzato da un culto totalmente acritico della sua persona. Abilmente costruito, radicato in un sistema di valori che grosso modo si identifica con la cosiddetta cultura di impresa, tale culto è assoluto e non ammette riserve. Trova riscontro, in una miniatura più grossolana, nell’identico rapporto fideistico che i leghisti hanno con Bossi. La presenza di questi personaggi variamente istrionici conferisce un’altra pennellata allarmante ad un quadro di incipiente regime.
Ci ripara la cornice europea, che rende difficile se non impossibile instaurare un "regime" in un paese solo. E’ per questo che Bossi recalcitra contro l’Europa, sproloquiando nel suo gigionesco linguaggio. Non vi sarebbe motivo di preoccuparsene troppo se fosse il buffone di Corte. Ma è un ministro della Repubblica premurosamente coccolato dal capo nel governo.
Ci rassicura anche il risveglio del popolo di sinistra che abbiamo visto affollare i teatri e le piazze in questi ultimi giorni (Le emozioni di Roma). Sia i moti spontanei o autoconvocati, sia la grande manifestazione dell’Ulivo hanno rivelato l’esistenza di un insospettato fervore civico di vaste dimensioni. Evidentemente le prove generali di "regime" messe in atto da questo governo hanno scosso dall’apparente torpore moltitudini insperate di cittadini, tanto da indurli a scrollarsi di dosso l’inerzia soporifera generata dai partiti di opposizione ancora frastornati per la sconfitta elettorale.
Non so se l’Italia s’è desta. Certamente si è fatta avanti un’Italia diversa da quella berlusconide. Ancora una volta possiamo dire che la politica è una cosa troppo importante per lasciarla fare solo ai politici.