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QT n. 20, 26 novembre 2005 Servizi

“Sloi Machine”

Nel ricordo della fabbrica della morte, l’elegia operaia di Andrea Brunello. In un Teatro Sociale colmo di pubblico commosso ma disertato dalle autorità.

Franco Ianeselli

La memoria fa giri strani. Ci sono eventi su cui per anni cala il sipario, e che poi d’improvviso si riprendono la scena.

E’ successo in queste settimane per la Sloi, la "fabbrica dei veleni" di Trento Nord. Prima, a fine settembre, con la tre giorni di occupazione promossa dai giovani del Laboratorio sul Moderno; poi, a novembre, con "Sloi Machine", lo spettacolo teatrale di Andrea Brunello e Michela Marelli che ha riempito il teatro Sociale per due giorni consecutivi, sabato 12 e domenica 13. Ma l’"effetto Sloi" non si ferma qui: c’è il testo teatrale di Gigi Zoppello (cui è dedicato il sito www.lanottedellasloi.org), c’è il volume collettaneo uscito sempre in questi giorni per le edizioni Uct, che porta la prefazione di Guglielmo Epifani e contiene contributi di Luigi Sardi, Odilia Zotta, Charlie Barnao, Enrico Spagna e Giuseppe Raspadori.

Ma a catalizzare l’attenzione è stato soprattutto il monologo di Brunello, che nella pièce si immagina nipote di Nino, operaio Sloi, la fabbrica che produceva il piombo tetraetile, l’antidetonante per benzina dal dolce sapore di mandorla. Voluta dal gerarca fascista Achille Starace, la Sloi ha prodotto il piombo tetraetile per quasi quarant’anni, fino all’incendio del 14 luglio 1978, quando si rischiò una catastrofe di proporzioni immani.

Il titolo dello spettacolo, "Sloi Machine", è un gioco di parole che ben chiarisce la logica perversa che ha accompagnato la storia della fabbrica. Perché un operaio Sloi guadagnava il doppio del salario normale, come baciato dalla fortuna. Ma la vincita era pura apparenza: l’unico jackpot possibile aveva il volto della morte, delle terribili malattie fisiche e mentali portate dal contatto quotidiano con il piombo tetraetile.

Ai milleduecento trentini che si sono recati al Sociale lo spettacolo è piaciuto. Ai molti giovani - e probabilmente non solo a loro - è piaciuto prima di tutto perché è stato un’occasione di conoscenza: sapevano poco o niente dei fatti narrati e sono usciti da teatro commossi e sorpresi. A chi oggi ha venti o trent’anni è stata finora consegnata un’immagine della recente storia trentina ridotta a ben poca cosa: la Democrazia Cristiana e Sociologia, preti e sessantotto. Il resto lasciato all’irrilevanza e dunque all’oblio.

Brunello, che non è di origini trentine, questo lo ha capito. Nel corso del 2005 Bruno Dorigatti, Paolo Burli ed io lo abbiamo incontrato diverse volte, dopo che la Cgil aveva deciso di finanziare lo spettacolo e di inserirlo nel calendario delle iniziative per celebrare il centenario dalla nascita della Confederazione. Aveva gli occhi sgranati di chi da due anni sta raccogliendo documenti e testimonianze attorno "ad una storia incredibile, ad un vero e proprio incubo", e si accorge che la città in cui tale incubo si è prodotto un po’ non lo conosce, un po’ lo ha dimenticato.

Ne è uscito un monologo intenso proprio perché semplice e privo di orpelli, la voce e le mani che danno vita - come ha scritto il critico Franco Cordelli - ad una vera e propria elegia operaia. Forse è stato il modo più efficace per non far diventare il dramma della Sloi una sorta di rievocazione pulp sulla fabbrica dei morti viventi. I toni quasi familiari della narrazione hanno permesso di rendere omaggio all’umanità degli operai e delle loro famiglie, alla dignità di chi quell’incubo lo ha vissuto.

La vicenda della Sloi parla più in generale della storia industriale del nostro Paese, dove in molti casi la strada dello sviluppo è stata percorsa sacrificando i diritti di chi lavora, compreso quello alla vita e alla salute. Per quarant’anni Trento ha convissuto con una fabbrica-bomba in grado di raderla al suolo, ma la classe politica non è mai intervenuta, fino a quando non si è sfiorata l’ecatombe.

Ci si poteva aspettare che gli attuali amministratori (mentre ancora non si sa come sarà possibile bonificare l’area) sarebbero come minimo tutti accorsi al Sociale, per ribadire il loro "mai più". E invece non si è fatto vedere quasi nessuno, come da copione.