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QT n. 16, 1 ottobre 2005 Servizi

Di nuovo la Sloi

L’ iniziativa di un gruppo di giovani riporta la vita e il dibattito nell’antica fabbrica della morte.

Alessandro Franceschini

L ’associazione e l’utopia. Nel luglio del 1999, a Trento, un gruppo di studenti di laureati e dottorandi della Facoltà di Sociologia dava vita all’associazione culturale "Laboratorio sul Moderno". Scopo dell’associazione è trovare i modi e le forme per sviluppare e diffondere una nuova interpretazione di quel progetto utopico sul quale, ormai da anni, era in corso un forte dibattito: la Modernità. Nel corso degli anni il gruppo si è allargato inglobando anche altri soggetti e collaborando con altre associazioni, organizzando numerosi eventi a tema, rassegne cinematografiche, e la pubblicazione di una rivista periodica: "Fogliedarte".

Per l’associazione il 2005 è stato un anno dedicato al tema dell’Utopia. Nel corso della primavera si sono susseguite iniziative per sondare la storicità e l’attualità dell’Utopia nei vari settori del sapere e nelle diverse dimensioni della percezione. Così nell’urbanistica come nella sociologia, nell’arte, nella filosofia. Cineforum, dibattiti, incontri culturale, riviste monografiche, feste.

Riportare la vita: la vera utopia. Cosa c’è di più utopico di riportare la vita in una fabbrica abbandonata da quasi trent’anni? La Sloi era diventata, nel nostro immaginario, l’obiettivo da perseguire per affrontare fino in fondo il tema dell’Utopia. Con l’andare dei mesi diventa sempre più pressante l’idea di effettuare tre giorni di "occupazione culturale" della Sloi, organizzando conferenze, dibattiti e una festa giovanile.

Durante tutta l’estate abbiamo effettuato diversi sopralluoghi e ricerche per poter preparare l’evento. Ma c’erano numerose questioni di carattere logistico e organizzativo da risolvere: anzitutto il problema dell’inquinamento dell’area; quindi la possibilità di ricorrere ad un’occupazione illegale; la costruzione di un palinsesto teorico con tavoli di lavoro e occasioni artistico-culturali.

Martedì 20 settembre, alle 18, con una cinquantina di persone, amici e simpatizzanti del laboratorio, entriamo pacificamente nello stabilimento della Sloi. Avvisiamo la polizia e i giornali. Durante la conferenza stampa indichiamo l’obiettivo dell’evento e le modalità di svolgimento.

Siamo con il fiato sospeso. Sappiamo di muoverci in un territorio pericoloso e illegale. Ma lo sentiamo altresì fortemente simbolico. La Sloi, infatti, rappresenta il peggio della nostra città. Dalla sua apertura fino ad oggi, in essa si sono consumati abusi sui lavoratori, fallimenti sindacali, crimini ambientali, prostituzione, spaccio di droga, segregazione degli emarginati dello spazio urbano. E la città è sempre stata ferma a guardare.

A Trento! A Trento! Dopo tre giorni di febbrili preparativi (che sono proseguiti anche durante le notti), venerdì 23 settembre alle 17 l’occupazione entra nel vivo.

Il tema della prima giornata è quello dell’ inquinamento ambientale della Sloi. La conferenza è presieduta da Sergio Bernardi della rivista Uomo Città Territorio. Dietro il tavolo dei relatori, la sociologa Odillia Zotta, lo psicoterapeuta Giuseppe Raspadori e il giornalista Luigi Sardi. A quest’ultimo tocca il compito di raccontare, per grandi tappe, l’evoluzione storica del "caso Sloi": dalle prime timide proteste degli operai nel 1964 fino alla chiusura della fabbrica.

Zotta invece approfondisce il tema della sconfitta sindacale degli eventi della Sloi e il carico di ingiustizia silenziosa che copre tuttora la vicenda.

Raspadori fa una riflessione psicoanalitica sul senso della responsabilità che coinvolge, con diverse gradazioni, i sindacati, gli operai, i padroni, le istituzioni e tutti i singoli cittadini.

La tavola rotonda è l’occasione per presentare un libro, che avrà come autori gli stessi relatori – che uscirà, per i tipi di Uomo Città Territorio nei prossimi mesi e che vuole essere la storia della Sloi dopo la sua chiusura: dal 1978 ad oggi.

Dopo le relazioni segue un partecipato dibattito che fa emergere la possibilità (e forse la necessità) di ricordare i morti della Sloi su una lapide di marmo, come si trattasse di caduti in guerra. La serata prosegue con un monologo dell’attore Andrea Brunello che anticipa, in forma di frammento, uno spettacolo di denuncia dedicato al "caso Sloi" e che debutterà nel tardo autunno di quest’anno. Poi musica dal vivo, servizio bar (il senzapiomBar), e deejay fino a notte inoltrata.

Il giorno dopo le attività sono concentrate sul problema urbanistico. Gli ospiti sono Beppo Toffolon e Giorgio Rigo di Italia Nostra. Ne emerge il delicato quadro della situazione urbanistica trentina, la necessità di scelte forti, l’inefficienza delle istituzioni e la consapevolezza che c’è un vuoto culturale che permette a pochi soggetti di manipolare le scelte politiche. Dopo le conferenze, una performance artistica di Gigi Zoppello "La notte della Sloi" è quindi la volta del trittico curato da Teatro Obliquo e Universidanza: "Che cosa abbiamo fatto?". Poi la festa meno impegnata con musica dal vivo e un finale reve-party fino all’alba.

Don Vittorio Cristelli durante il suo discorso di ricordo e protesta.

Domenica, l’ultimo giorno, le attività sono iniziate nel primo pomeriggio. Nella piazza della fabbrica si è tenuto un rito religioso in ricordo delle vittime e degli intossicati della Sloi. E’ don Vittorio Cristelli a tenere un breve ma intenso discorso di ricordo e di protesta. Seguono alcune testimonianze di ex-operai e alcuni ricordi di figli di operai. Il tardo pomeriggio è stato dedicato alla questione dei senza fissa dimora. Le comunicazioni sono state tenute dal sociologo Charlie Barnao, dal sindacalista Antonio Rapanà e da Federico Zappini dell’Officina Sociale di Trento. Ne è uscita una forte denuncia nei confronti delle Istituzioni che hanno permesso per più di un decennio, pur sapendo, la segregazione nell’area della Sloi di gran parte dei senza fissa dimora della città.

La serata è poi proseguita con concerti e con la performance di tre pittori: Marco Adami, che ha lavorato in un atelier appositamente allestito nei muri della fabbrica, Paolo Dolzan, che ha dipinto un quadro seguendo il ritmo di una batteria jazz, e Matteo Angeli, che ha decorato alcuni frammenti delle pareti della Sloi con dei graffiti metropolitani.

Lunedì l’occupazione viene chiusa, come annunciato. Smontiamo le attrezzature e gli impianti, chiudiamo i cancelli nella speranza che l’area venga al più presto bonificata e recuperata.

E adesso la città. Per la riuscita dell’evento è stato determinante che la spinta arrivasse da un gruppo giovanile. L’aggancio con gli esponenti della società civile è stato un secondo importante passo. Questi si sono fatti coinvolgere dall’entusiasmo potendo così superare quel vicolo cieco della loro storia generazionale.

La Sloi può essere l’inizio di una feconda collaborazione reciproca fra generazioni diverse, fra soggetti diversi. Ma non c’è stato solo lo spazio per i dibattiti seriosi. In questi tre giorni abbiamo dato spazio a tutti: dalla danza, al teatro civile, alla musica dal vivo, al rave-party. E domenica è stato bello vedere entrare le famiglie in bicicletta, infischiandosene dell’ordinanza del sindaco, per vedere dove lavorava il nonno, dove si è ammalato e dove, forse, è morto.

Non è stata un’occupazione dura, ma nemmeno la conferenza in una sala circoscrizionale. E’ stato un evento con forti connotati simbolici.

E se c’è stato il muro alzato da parte delle istituzioni, dall’altra c’è stato un dialogo entusiasmante con la città. E si è avuta la consapevolezza che la classe politica non è onnipotente e che la gente sta prendendo sempre più consapevolezza delle mancanze strutturali degli interventi politici.

Il futuro ci vedrà sicuramente lavorare in rete con i soggetti che in questa occasione abbiamo conosciuto e con cui abbiamo trovato delle questioni comuni.

Chiudiamo la Sloi con grande entusiasmo, ma servirà un po’ di tempo per riflettere su quello che è successo. C’è, ad esempio, nella nostra città, un potenziale sociale desideroso di intervenire in maniera impegnata e creativa sul proprio tessuto fisico e antropologico.

Abbiamo molto da lavorare. A Trento non c’è solo la Sloi.