Congresso Ds: i problemi non si affrontano
Il partito è in stato confusionale. Ed ha un problema grande come una casa: quali rapporti con il centrismo politico (cioè Dellai) e sociale (il mix di contributi e clientele)? Ma di questo non si osa discutere.
Quando dopo un’ora di manfrine politichesi la bionda Giovanna Melandri chiese con fare soave a Berlusconi: "Ma voi, con questo vostro programma di tagli, che ne fareste della sanità pubblica?", e il grande comunicatore si impappinò davanti alle amate telecamere - perché non sapeva che dire, e lo si vedeva - allora l’Ulivo vinse le elezioni. E per un attimo anche i burocrati riscoprirono che la politica non è il giochetto delle alleanze, ma il progetto di una comunità.
In questa stagione di congressi dei partiti trentini spicca invece l’assenza della politica come progetto: si discute tanto sugli alleati esterni al partito, tantissimo sulle alleanze interne, zero della società, se non per qualche stanco paragrafo nei programmi, ripreso da millanta altri documenti con il metodo del copia/incolla. Eppure l’episodio della Melandri avrebbe dovuto far capire...
Qui ci occupiamo della sinistra, o meglio dei Ds, per i quali il problema è particolarmente stringente e preoccupante.
I Democratici di Sinistra escono infatti da una stagione contraddittoria. Rimasti l’unico vero partito, a livello nazionale sono pervenuti alla guida del paese, in Trentino hanno piazzato sindaci in tante amministrazioni e raggiunto i massimi storici nei risultati elettorali. Eppure molti pensano che questo non basti, temono di aver buttato al vento un’occasione storica; o meglio, di non essere stati all’altezza del momento. Quando la società trentina, smarrita dalla crisi democristiana, cercava nuovi punti di riferimento, la sinistra, pur pervenendo da una positiva esperienza di governo che ne aveva evidenziato le capacità, si è come ritirata. E invece di proporsi come forza trainante di una nuova stagione riformatrice, si è accodata all’alleato di centro, la Margherita, riconoscendone egemonia e leadership.
E’ stata l’incredibile stagione del "riconosco in Dellai il nostro leader", con cui parte cospicua dei Ds ha promosso una campagna elettorale a favore degli alleati/concorrenti, dimostrandosi nulli dal punto di vista tattico ("A questo punto, perchè l’elettore dovrebbe votarci? Voterà Dellai!" - commentò un desolato dirigente); ma soprattutto dimostrando di non avere un proprio progetto per la società trentina, e di non credere nella praticabilità delle linee riformiste che pur si erano abbozzate e portate avanti ("Con le riforme non si prendono voti" - è stato il vero slogan con cui da via Suffragio si sono impostate le elezioni).
Si sono così venuti a sommare tre ordini di problemi: una gestione tattica del partito disastrosa (delegando tutto, anche in sede di trattative, a Dellai, che ovviamente faceva i propri interessi); una situazione di allarmante disorganizzazione (per cui si sono persi i rapporti con la società, con le sezioni, con gli elettori, e anche con l’opinione pubblica: gli interventi sui media dei diessini sono una rarità, come riferiscono impietosi i rilevamenti statistici); un appannarsi della proposta politica, per cui incomincia a essere difficile capire cosa distingua la sinistra dal centro, quando non dalla destra.
Sul fondo inizia ad avanzare un vago sospetto: non è che la sinistra ritenga la società trentina post-democristiana immodificabile? O in ogni caso, non si ritenga essa stessa all’altezza di un rinnovamento (contro il clientelismo, il modello economico ecc) troppo difficile? E che quindi, in mancanza di meglio, si acconci a convivere con la società attuale, accettandone - in base a un supposto realismo - anche le pecche più vistose, a suo tempo condannate?
Ecco infatti i sindaci di sinistra - quello di Trento in testa - dimenticare la speculazione edilizia. Ecco perfino Solidarietà buttare al macero i propri "Libri bianchi" sui poteri forti in Trentino (abbiamo visto perfino l’ineffabile Bonfanti sostenere gli acquisti dallo speculatore Tosolini). Ecco gli amministratori del Mart non accorgersi delle assunzioni clientelari di segretarie invece che di tecnici qualificati. Ecco in giunta provinciale passare un piano strade da 2.000 miliardi di cui "due terzi pienamente giustificati" secondo il vice-presidente Pinter, ossia un terzo - 700 miliardi - potevano essere investiti altrove che non nel soddisfare il partito dell’asfalto. Ecco ancora i sindaci di sinistra chiedere anch’essi, come gli altri, più strade, più impianti...
"E’ vero. Di tutto questo si occuperà il congresso" - hanno più volte risposto i dirigenti diessini a chi poneva questi interrogativi.
E invece il congresso parla d’altro.
La precarietà di un partito in siffatto stato confusionale non era sfuggita ai dirigenti diessini, che avevano pensato di risolvere il problema scaricando tutto sul segretario Stefano Albergoni. Il quale è indubbiamente il principale responsabile (per l’incapacità nelle trattative, la subalternità agli alleati, l’indifferenza ai contenuti), ma non il solo. E quindi non è stato al gioco, non si è fatto da parte, trovando una relativa solidarietà da parte della base, contraria ai facili capri espiatori.
Ne è seguita una situazione vieppiù confusa. Ci sono due candidati segretari: l’avv. Ottorino Bressanini, sostenuto da Albergoni, Pacher, dal sindacato; e l’avv. Mauro Bondi, presidente del partito e già assessore agli Enti locali, sostenuto dai deputati, da Wanda Chiodi, da Margherita Cogo.
Il problema è che nel dibattito congressuale i problemi veri non si affrontano: il discorso si è avvitato attorno a come unirsi con Solidarietà e Rete; dei rapporti con il centro, del superamento del doroteismo, della valutazione delle esperienze già in atto, a iniziare dall’amministrazione di Rovereto, non si parla.
Gli argomenti veri sarebbero motivi di scontro interno ai compositi schieramenti che sostengono i due candidati; Bondi a suo tempo si espresse contro la subalternità della sinistra alla visione centrista della società, ma oggi non lo può dire, perchè tra i suoi sostenitori annovera Schmid e Cogo che di fronte a Dellai si sono prostrati; così Bressanini, da sempre comunista attento all’identità del partito, oggi si presenta supportato da Albergoni, e incentra la sua proposta su un’ipotesi di federazione delle sinistre francamente fumosa.
Insomma, il dibattito è diplomatizzato. E come sempre succede in questi casi, lo scontro, non più limpido, diventa sotterraneo.
E velenoso. I supporter di Bondi sostengono che se vincesse Bressanini, il partito soffrirebbe di un nuovo appiattimento su Dellai di stampo albergoniano, a questo punto esiziale; viceversa i supporter di Bressanini, se passa Bondi descrivono una rapida rottura con Rete, Solidarietà, con Dellai, e conseguente emarginazione.
E questo è ancora niente: ci si accusa di fare tessere facili (Olivieri in Rendena) o addirittura gratuite (Albergoni a Trento), gli avversari vengono bollati come carrieristi, affaristi, ecc. Niente di nuovo, si dirà: è vero, è la classica deriva di un’organizzazione quando non intende più la politica come progetto della società, ma come occupazione del potere.
Abbiamo assistito a un’assemblea congressuale a Rovereto. Tanta gente, tanti interventi. Un po’ troppo incentrati, secondo noi, sui temi interni di come rapportarsi alle altre forze della sinistra; ma in genere erano interventi lucidi, di gente che si documenta e che ragiona. E che comincia ad accorgersi del rischio di perdersi, se ci si limita a enumerare le poltrone di sindaco, di assessore, di consigliere, su cui poggiano glutei di sinistra. Ci sarà un’inversione di tendenza?