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QT n. 13, 26 giugno 1999 Servizi

Ds, la linea politica e lo psicodramma

Scontro nei Ds: il segretario Albergoni perde la fiducia dei maggiorenti, ma viene salvato dalla base. Il punto vero è la mancanza di strategia, e ora anche di una guida. Ma per il congresso di ottobre...

Quando nella sede di via Suffragio l’on. Sandro Schmid, già segretario della Cgil, comunista da sempre, esplicita un suo intervento che mette in discussione il segretario Stefano Albergoni, dalla sala gli si levano contro numerosi, duri, gli interventi a favore del segretario.

La crisi dei Ds precipita nello psicodramma: il partito annaspa su tutti i fronti, gli organi dirigenti sono paralizzati, i maggiorenti cercano una via d’uscita ridimensionando il segretario, ma il partito difende a spada tratta il giovane Albergoni, che pur non apprezza al punto da trombarlo alle elezioni.

Una situazione contradditoria e inestricabile, in cui, sotto il viluppo di vicende personali e stati d’animo, si agitano differenti impostazioni politiche; dalla cui soluzione dipenderà l’attuale incerta stagione dei riformisti trentini. Per questi motivi, le altrimenti modeste vicende di via Suffragio sono pur importanti. Cerchiamo di vederle meglio.

Il declino di Albergoni inizia con le trattative per la Giunta provinciale. Allora diventa macroscopicamente visibile l’errore di fondo della sua linea politica: l’annullarsi su Dellai, il concepire il centro-sinistra come un tutto unico, come se tra la sinistra e il centro non ci fossero differenze (anche vistose) di orientamento, di prospettiva. Differenze logiche in un’alleanza tra diversi, che si cerca di superare in una sintesi (se va bene) o in una serie di mediazioni (se va male); Albergoni invece le rimuove, nascondendo sotto il tappeto tutte le questioni - dall’ambiente ai comprensori - fonti di attrito con l’alleato, peraltro eletto a "nostro leader".

Questa impostazione, finché tocca solo i princìpi, trova poche contestazioni (e anzi, tra i suoi propugnatori ci sono i vari Schmid, Olivieri, Cogo, oggi avversi al segretario); ma quando, inevitabilmente, si traduce in perdita di incisività, e quindi di potere (anche perché viene a sommarsi alle scarse capacità di Albergoni di condurre trattative, per di più con una personalità, Dellai, cui è subalterno), allora il discorso cambia. E così, alle critiche delle personalità più direttamente coinvolte nel percorso riformista o ambientalista (gli ex-assessori Mauro Bondi e Wanda Chiodi, il leader dei cristiano sociali Giorgio Tonini, l’ex-vicepresidente Walter Micheli) si aggiungono quelle dei parlamentari, della Cogo, e - anche attraverso altri percorsi - di personalità storiche del Pci, come l’ex capogruppo provinciale Alberto Rella e l’ex-segretario Rino Sbop.

Albergoni reagisce malissimo alle critiche: non convoca, o convoca il meno possibile, gli organismi del partito, e decide da solo. Il risultato è il disfacimento del partito come momento di elaborazione collettiva, mentre gli amministratori e i consiglieri vanno avanti per conto proprio, più autonomi ma anche più deboli. E in parallelo aumentano i malumori.

Così si arriva alle ultime tornate elettorali: gli esiti sono mediocri (vedi tabelle), i Ds perdono voti rispetto alle non esaltanti elezioni provinciali, il segretario stesso viene poco votato.

Aquesto punto la situazione precipita. Quattro su otto membri dell’esecutivo si dimettono; secondo il collaudato principio del lavare i panni sporchi in famiglia, le motivazioni pubblicamente espresse in una lettera ai giornali sono fragili, mentre invece durissime sono quelle esposte a voce in direzione: il segretario non ci convoca, decide tutto per conto suo, in questi termini non ci stiamo più.

I maggiorenti del partito decidono (o si accorgono?) che la stagione di Albergoni è terminata. E individuano una via d’uscita indolore: a ottobre ci sarà il congresso, allora si cambierà segretario; nel frattempo il partito verrà gestito collegialmente, affiancando Albergoni con un esecutivo in cui siano rappresentate le personalità di maggior spicco.

Tutto risolto? Per niente. Quando il presidente Mauro Bondi propone ad Albergoni questa soluzione, ne riceve una risposta sdegnata: questa è un’offesa ("non intendo essere cinturato"); dimettetemi, se ci riuscite.

Ed ecco lo psicodramma. Per i militanti il segretario è il partito; nella tradizione comunista i segretari, come i papi, abbandonavano il posto solo con la morte; l’evoluzione diessina ha portato a un più fisiologico ricambio del segretario non più adeguato (vedi Natta e Ochetto), ma solo attraverso un percorso consensuale. Se il segretario vuole rimanere sulla sedia, vi rimarrà: una sua destituzione non è una cosa pensabile, sarebbe vissuta come un regicidio.

E così è per Albergoni: la base non lo vota, non lo rieleggerebbe al congresso, ma lo difende.

Il fatto è che la base non capisce appieno l’opposizione ad Albergoni: su quali contenuti? Quali particolari responsabilità avrebbe? E difatti l’amplissimo fronte degli oppositori si è sempre guardato dall’esplicitare, nero su bianco, le proprie motivazioni. Per due motivi: perché, con le parole scritte, la divisione sembrerebbe lacerante, come dar vita a una vera corrente. E perché il fronte anti-albergoniano, sui contenuti veri, è a sua volta troppo eterogeneo.

Il motivo di fondo - il rapporto con il centrismo e con Dellai - non può essere impunemente agitato da una serie di esponenti che al "Dellai nostro leader" si sono più volte prostrati. Sulla necessità di una proposta politica netta (Bondi) o indefinita per essere più agili nelle trattative (Alberto Rella) ci sono idee contrapposte. E così tra Micheli e Olivieri sulle questioni ambientali. E allora quali sono le colpe di Albergoni? Lo stato comatoso dell’organizzazione? Sì, d’accordo: ma è solo lui il responsabile?

E così è scattata la difesa, a livello quasi di solidarietà umana, del segretario attaccato. Il quale alfine dichiara: "A ottobre, al congresso, non mi ripresenterò". E allora, cosa si vuole? La sua umiliazione?

In effetti gli anti-albergoniani non proponevano niente di drammatico "Non capisco Stefano - ci dice Wanda Chiodi - Guidare collegialmente il partito, avere un esecutivo con personalità capaci e riconosciute, mi sembra una ricchezza, non una cosa di cui offendersi. Questa impuntatura mi sembra solo infantile." Ma le cose sono andate diversamente.

Il fatto è che i Ds sono pesantemente incartati.

Discutono all’infinito delle modalità di aggregazione con Rete e Solidarietà; mentre invece urgono problemi di fondo nelle amministrazioni.

L’esperienza di Rovereto versa in una crisi preoccupante; in Provincia la giunta tende a caratterizzarsi per il dinamismo cementifero dell’assessore Grisenti; su un problema come l’aeroporto si interviene solo di rimessa; su uno macroscopico come l’ospedale non si interviene affatto; e anche sulle riforme istituzionali (vedi pagina 7) si subiscono pesanti interventi dellaiani dalle dubbie finalità.

In conclusione, i Democratici di Sinistra mancano di linea, non si vede una strategia. Né si vedrà, ormai, da qui al congresso, cioè all’autunno.

"Dovremo scontare questa situazione - ammette Mauro Bondi, che nel frattempo è stato indicato come uno dei possibili segretari al congresso autunnale - Per intanto quello che dobbiamo fare è affrontare, con un documento e con un successivo dibattito, i nodi della politica e del governo del Trentino.

Per arrivare a un congresso imperniato non sul tema del ‘con chi’ stare assieme, ma su quello del ‘cosa fare’, delle priorità."