Le macerie del Patt a congresso
Franzinelli e Andreotti si contendono la segreteria delle stelle alpine. Entrambi sono responsabili della caduta verticale del partito. E da questa contesa ci si può aspettare che...
Sarà un congressino quello che adunerà a fine ottobre i resti del Patt. Quello che già fu il Partito autonomista è ridotto al lumicino: i tesserati sono precipitati da 3.000 a 800, le ultime elezioni sono andate di male in peggio, si sono staccati tutti gli amministratori (l’assessore provinciale Pallaoro e i vari sindaci, Penasa, Dalfovo, ecc.); e naturalmente, vista la mala parata, se la sono squagliata gli opportunisti (un gruppetto dei quali è approdato a I Democratici di Di Pietro, e questa è un’altra storia).
E’ precipitata anche la considerazione, e quindi la forza di contrattazione, presso le altre forze politiche: dopo il successo alle elezioni del ’93, non c’era partito che non teorizzasse - con la massima serietà - l’assoluta necessità storica del Trentino di avere, al governo, la componente autonomista, "per la cultura di cui è portatrice" e bla bla...; oggi i consiglieri pattini vengono sbertucciati, e non c’è alcuno dei tanti congressi in corso che parli degli autonomisti come portatori di alcunché.
I motivi della rapida decadenza sono noti, e li avevamo illustrati già un paio d’anni or sono, quando all’apparenza il Patt era in auge. In estrema sintesi: non ha più senso un partito autonomista quando l’Autonomia è compiuta, un partito rurale vecchio stampo quando il lavoro nei campi, l’identità delle valli sono cambiati alla velocità della luce; il Patt era ridotto a un feudo del boss Franco Tretter, persona in realtà di modesta levatura, che regolarmente si faceva intorno terra bruciata, stroncando qualsiasi ipotesi di rinnovamento per non trovarsi a spartire il potere con persone intellettualmente più attrezzate. Di qui l’inconsistenza dei governi a guida autonomista della passata legislatura e il tonfo alle elezioni dello scorso novembre. Quando poi il mese successivo il boss fu sorpreso con le mani nel sacco in una gioielleria di Rovereto, il partito dimostrò tutta la propria inconsistenza: paralizzato - anche fisicamente - dai pasdaran di Tretter, che avrebbero voluto imporre la fedeltà assoluta all’ormai impresentabile ex-capo, non riuscì più a prendere alcuna posizione, né sul caso Tretter, né su alcun argomento dell’agenda politica.
E le persone di buonsenso inziarono a guadagnare l’uscita.
Ed eccoci quindi all’attuale congresso, che nasce senza speranze: vede infatti candidati alla carica di segretario i due co-responsabili dell’attuale situazione: il segretario organizzativo Gino Franzinelli, e l’ex-presidente, del partito e della Giunta provinciale, Carlo Andreotti. Possibilità di rinnovamento: zero.
Gino Franzinelli, avventuriero della politica, già segretario della Cgil e uomo di sinistra, era disinvoltamente approdato al Patt, assunto da Tretter che riteneva di aver individuato in lui la spalla ideale: un bucaniere rotto a tutte le esperienze, duro e cattivo, abilissimo ai tavoli delle trattative, e contemporaneamente impresentabile alla base del partito e quindi impossibilitato a fargli le scarpe. Franzinelli interpretò alla perfezione il ruolo assegnatogli: sabotando con successo qualsiasi linea politica, qualsiasi concorrente interno desse fastidio al boss; e dimostrandosi, attraverso solenni trombature, inappetibile alla base autonomista, che ripetutamente si rifiutava di votarlo.
Eclissatosi il boss, Franzinelli ha continuato a sfasciare, impedendo al partito di arrivare a un dopo-Tretter, e impedendo pure un ingresso decoroso nella giunta Dellai. Adesso Franzinelli cambia ruolo: allontanatisi dal Patt praticamente tutti i potenziali concorrenti, ridotto il partito ai minimi termini, cerca di fare il salvatore della patria.
Di qui la sua candidatura a segretario, supportata da delle "tesi" - un malloppone di 80 pagine - in cui spara su tutto e su tutti: sul concorrente Andreotti, incapace da presidente della Giunta di dare una svolta alla politica provinciale; sulla Svp che svende la regione; su Dellai che flirta con la Svp, sulla popolazione trentina che non sceglie il centro, sul suo stesso supporter Kaswalder, cofirmatario delle "tesi", che era segretario del Patt quando il partito, nel caso-Tretter, palesò "la mancanza di una guida sicura, credibile, affidabile". Prendi e porta a casa.
E il boss di Tuenno? Di fronte a Tretter Franzinelli si prostra: "Nessuno di noi sa come sarebbero andate le vicende politiche del Patt e del Trentino senza i dolorosi fatti (ancora tutti da chiarire sul piano giudiziario, ma anche, a nostro giudizio, su quello politico) che hanno visto coinvolto il 17 dicembre ’98 il leader storico del nostro partito..." Insomma, Tretter è stato vittima di un complotto politico; o meglio, Franzinelli, accreditandosi come erede del leader martirizzato, spera di pescare consensi nella parte più fideistica (e disinformata) della base autonomista, una frazione esigua della popolazione, che per di più, per ragioni culturali e soprattutto anagrafiche, va sempre più riducendosi.
Intortarsi i vecchi pipititini, ammesso che sia facile, non è comunque un’operazione che può portare molto avanti.
Franzinelli, che non è stupido, lo sa. E sa che con questi presupposti il Patt è destinato a diventare un partitino da uno, forse due consiglieri. E quindi, sul versante politico, gli ritaglia lo spazio conseguente: il Patt - dicono le tesi - deve stare al centro, non deve assolutamente scegliere lo schieramento con cui allearsi prima del voto, bensì dopo, perché così si potrà meglio vedere quale dei due schieramenti è più autonomista, in realtà, perché è così che un partitino - in barba alla trasparenza della politica - può avere più forza contrattuale. E di qui anche la posizione intransigente per il proporzionale e contro la norma transitoria che obbligherebbe tutti, fin dalle prossime elezioni, ad aggregarsi in due poli.
Il Franzinelli-pensiero non si ferma qui: ha un’ulteriore evoluzione, a esclusivo uso e consumo del Franzinelli stesso. Un partitino che gioca tra i due poli, ha forza in quanto può contrattare il proprio apporto indifferentemente con l’uno o l’altro fronte: è la famosa teoria dei due forni di andreottiana memoria.
Franzinelli vi rinuncia: con la sinistra non ci si potrà alleare, mai e poi mai. Perché la sinistra è "statalista, anti-autonomista, succube di Roma"; mentre invece la destra, se depurata di An...: questa la risposta ufficiale. La risposta vera sta invece nella persona e nel passato di Franzinelli, che nella sinistra da cui proviene ha lasciato tanti e tali rancori, anzi un autentico sentimento di disprezzo, da non rendere pensabile alcuna forma di alleanza.
Ed ecco allora che anche l’opzione di giocare tra destra e sinistra diventa impraticabile.
Carlo Andreotti è l’altro candidato a segretario del partito, dopo esserne stato presidente. Ricordare la precedente carica non è uno sfizio: Andreotti fu infatti eletto presidente del Patt in contrapposizione a Franco Tretter, con l’esplicito incarico di rinnovare il partito, adeguando gli antichi sentimenti autonomisti e lo spirito localista valligiano alle necessità del Trentino del 2000. Andreotti fallì prima di iniziare: nonostante i suoi lo spingessero, non ebbe mai il coraggio di contrapporsi a Tretter, pateticamente adattandosi a galleggiare tra una sfuriata e l’altra del boss ("sughero" è stato il felice epiteto appioppatogli dal direttore de L’Adige Ghezzi; o "ecografia", (sarebbe l’unico mezzo per individuargli gli attributi), quello più sferzante affibbiatogli dagli stessi autonomisti).
Sparito Tretter, Andreotti aveva campo libero. Ma bastò un Franzinelli qualsiasi, senza seguito nel partito ma che sapeva battere i pugni sul tavolo (e in un caso anche saltarvi sopra), per intimorirlo. Quando dopo due mesi di estenuanti trattative per la nuova giunta provinciale, arrivò al partito avendo ottenuto tutto da Dellai (tre assessori, il presidente della giunta regionale, ecc. ecc.), Franzinelli disse di no.
E Andreotti, invece di zittire il segretario organizzativo, abbozzò e ritornò da Dellai rimettendo tutto in discussione e ricevendone in cambio un doveroso calcione nel sedere.
Fu quello il segnale che il Patt non era un soggetto politico, era una nullità: e iniziò la disgregazione.
Ora Andreotti si ripresenta, ancora contro Franzinelli: siamo sempre allo stesso copione.
Le tesi di Andreotti, rispetto a quelle di Franzinelli, presentano due significative differenze. Manca l’omaggio al boss martirizzato dalla giustizia (Andreotti è del Patt da lungo tempo, non ha bisogno di accreditarsi; e fa riferimento a una base meno primitiva). E pur disegnando anch’egli per il partito una posizione centrista, per lo meno prevede che la scelta dell’alleato vada fatta prima del voto. Per il resto, centro-destra o centro-sinistra pari sono; è un arretramento rispetto all’ultimo congresso (vinto da Andreotti con la chiara opzione del centro-sinistra) e anche questa posizione sembra dovuta a motivazioni personali: da tempo Andreotti ha avviato una (peraltro sterile) contrapposizione personale con Dellai.
Dunque via con la replica: Andreotti contro Franzinelli. Chi vincerà? Al congresso il favorito è Andreotti: Franzinelli sta dandosi da fare, è un lavoratore, gira tutto il Trentino, sa metter mano alle regole in maniera da avere tutti i possibili vantaggi; ma non c’è niente da fare, per gli autonomisti veraci è sempre un alieno, "No l’è dei nossi"; invece per gli autonomisti della seconda generazione, i moderati di valle, è un estremista, sguaiato e inaffidabile. A meno di pur possibili colpi di mano franzinelliani, Andreotti dovrebbe farcela.
Ma solo al congresso. Per il dopo, ci sarà una diuturna battaglia per la gestione concreta del partito: e lì si sa già che "sughero", "ecografia", ecc. è destinato a perdere. Anzi, a non iniziare neanche a combattere.
E in ogni caso il futuro di quel che resta del Partito Autonomista è assolutamente plumbeo.
Da Tuenno il boss, chiuso nel suo appartamento, segue il tutto con grande soddisfazione. Se solo la magistratura gli lasciasse un po’ di respiro...