Valle dei Mocheni, quando l’incanto sparisce
Che senso ha voler vendere una “valle incantata” ad un turismo mordi e fuggi?
Attraversando il passo del Redebus dall’altopiano di Pinè, proprio dove la strada inizia a scendere per arrivare a Palù del Fersina, si incontra un enorme tabellone in legno che dà il benvenuto nella val dei Mocheni. Orgogliosamente è stato scritto in italiano ed anche in mocheno, il dialetto germanofono che viene parlato dagli abitanti i quali, non a caso, sono tutelati in quanto minoranza linguistica.
Si tratta in effetti di una valle particolare, non solo dal punto di vista paesaggistico e naturalistico, ma anche storico-culturale. L’isolamento che l’ha caratterizzata e sul quale si sono costruiti anche molti dei luoghi comuni sui "mocheni" (falsi ed erronei come molto spesso sono i luoghi comuni) è stato, paradossalmente, un limite ma al contempo anche una risorsa.
Se infatti da un lato ha ridotto la possibilità di incontro e di scambio e quindi limitato fortemente le occasioni di crescita e sviluppo; dall’altro lato ha creato una sorta di enclave tale da meritare una particolare tutela normativa ed economica ed ha preservato la zona, almeno fino ad ora, da speculazioni che invece hanno trasformato irreversibilmente altre località di montagna.
Non sta certo a me valutare se oggi la specificità culturale che le popolazioni mochene rivendicano abbia o meno un senso ed un fondamento; né ho motivo di dubitare che essa possa ancora costituire la base della coesione sociale e rappresenti, per chi abita la valle, un elemento così importante da essere all’origine della decisione di rimanerci, nonostante le mille difficoltà ed ostacoli che si incontrano nella vita quotidiana (si pensi solo alla mancanza di servizi).
Prescindendo da questa questione, non si può fare a meno di cogliere una contraddizione piuttosto forte tra il modo in cui viene "commercializzata" l’immagine della valle e le scelte concrete che le varie amministrazioni locali, con il nulla-osta della Provincia, hanno portato e portano invece avanti.
Si tratta, a onor del vero, di una prassi piuttosto consolidata e adottata ormai un po’ dappertutto, ma questo non può essere preso come argomento di giustificazione.
Gli operatori turistici e chi per essi, compresi ormai interi settori della pubblica amministrazione che hanno tra i propri compiti istituzionali la promozione turistica, sempre più spesso si trovano a "vendere" il territorio come "paesaggio da cartolina" intatto ed incontaminato e allo stesso tempo ad essere promotori o sostenitori di scelte urbanistiche o linee di sviluppo che vanno nella direzione diametralmente opposta.
Per quanto riguarda la val dei Mocheni, l’immagine evocata dallo slogan adottato e cioè quello di "valle incantata", rimanda direttamente a paesaggi popolati da gnomi e fatine che si rincorrono nei boschi a dorso di cerbiatto.
Un’immagine di purezza, calma e lentezza dei ritmi naturali; un mondo da favola, tanto sembra irraggiungibile e lontano dalla realtà di oggi, dove infatti l’incanto lascia il posto a ben più concrete e solide opere come strade, parcheggi e strutture turistiche che, sulla base di una non ben definita esigenza di sviluppo locale, di fatto, stanno lentamente snaturando il territorio.
Nel solo comune di Palù del Fersina, che rappresenta forse più di altri l’intera valle, circa un anno fa sono stati bloccati quasi a furor di popolo i lavori già avviati per la realizzazione di una strada di servizio verso il rifugio Lago di Erdèmolo, fortemente voluta dai gestori per potervi arrivare in fuoristrada.
Si sta inoltre realizzando un intervento di rilevante allargamento della strada che dalla località Battisti arriva in località "Frotten", dove è stato anche creato un enorme parcheggio, il tutto per realizzare un collegamento con bus verso la miniera-museo, una delle attrazioni della zona, che si trova a circa 15 minuti di cammino.
A tale proposito si è anche provveduto, negli ultimi anni, ad allargare e in parte a realizzare ex novo una strada forestale, piuttosto larga, che dalla località Frotten arriva, appunto, fino alla miniera-museo, per poi proseguire più in alto verso alcune baite private.
E’ infine di questi giorni la notizia che l’attuale amministrazione comunale ha inserito nel Piano Regolatore la possibilità di costruire 14 case con 28 appartamenti complessivi in un comune che conta appena 185 abitanti (non tutti regolarmente e stabilmente residenti) e con decine di appartamenti o case disabitate nei centri storici delle varie frazioni. Ognuna di queste opere è stata motivata, almeno ufficialmente, dalla giusta necessità di offrire qualche opportunità economica in loco e contrastare lo spopolamento anche attraverso la realizzazione di servizi ed infrastrutture.
In effetti sembrano però servire prevalentemente interessi privati o comunque estremamente circoscritti e soprattutto perseguono un’idea di sviluppo obsoleta e nel lungo periodo perdente, non considerando minimamente la saturazione del territorio che ormai è stata raggiunta.
Inoltre portano a considerare lo scarso sfruttamento turistico che fino ad oggi ha avuto la valle nell’ottica miope e predatoria del "serbatoio pieno" da svuotare, piuttosto che come responsabilità di evitare una rapida ed irreversibile dilapidazione di un capitale, come l’ambiente, che appartiene a tutti noi.
Ad essere insostenibile anche economicamente è l’idea che si possa ancora puntare ad un tipo di turismo che, se mi si permette la semplificazione e la forzatura, va a cottimo.
Ore 11: salita in auto al rifugio con relativa abbuffata. Dalle ore 13 alle ore 13,30: passeggiata di 200 metri a piedi per scoprire le bellezze della zona. Pomeriggio: degustazione di prodotti finto-tipici. Ore 20: serata danzante in discoteca con ballo in costume locale ed infine ritorno a casa per essere pronti e tonici alla ripresa del lavoro.
Un turismo insomma del tutto disinteressato alla dimensione storico-culturale così come alla difesa e tutela del territorio e tutto orientato alla ricerca delle stesse attrazioni offerte ormai da quasi tutte le mete del turismo di massa, in una devastante omologazione in grado di rendere, in definitiva, ogni posto uguale a tutti gli altri.
Solo per citare un esempio, un paio di anni fa, proprio nelle montagne della zona, al ritorno da un’escursione con amici abbiamo incrociato un gruppo di turisti che arrivavano "stremati" da una camminata di ben 15 minuti e chiedevano informazioni sulla "strada per la vetta".
Al mattino la comitiva aveva raggiunto in auto una malga in quota e dopo aver trascorso tutta la giornata tra polenta e lucaniche, a pomeriggio inoltrato aveva deciso di assaporare l’ebbrezza dell’alpinismo.
Abbiamo fatto presente che il sentiero dove eravamo portava solo ad un’altra malga posta più in alto e a nessuna vetta in particolare. Nel gruppo a questo punto si sono incrociati gli sguardi; uno degli uomini, con aria visibilmente sbigottita e quasi con imbarazzo, ci ha chiesto a nome di tutti che cosa fosse la malga, aggiungendo, come una sorta di giustificazione: "Sapete, noi di solito andiamo in spiaggia a Rimini".
Ora, viene da pensare che forse un turista senza occhi per guardare il mondo che visita e senza alcuna curiosità e voglia di capire quello che incontra, non è esattamente quello che potrebbe risolvere in prospettiva i problemi della valle, anche se purtroppo è esattamente il tipo di turista sul quale si sta puntando, perché è quello che riempie i ristoranti e spende i suoi soldi in dozzinali souvenir da mettere in soffitta.
Si tratta più in generale di un modello di turismo che vuole riprodotti ovunque gli stessi luoghi, o "non luoghi" secondo celebre la definizione di Augé, gli stessi modi di divertirsi e gli stessi svaghi.
La val dei Mocheni non può certo competere su questo piano anche perché sarebbe una gara persa in partenza.
Volendo fare una provocazione mi verrebbe da dire che se si vuole investire veramente sul patrimonio che la valle possiede e cioè la storia, la gente e l’ambiente che la caratterizza, occorrerebbe pensare a qualcosa che anche nel concreto sostenga e valorizzi questi aspetti e rilanci un’economia locale che prima di ogni altra cosa punti a invertire la tendenza all’abbandono del territorio anche in una prospettiva di turismo sostenibile e culturale.
Se invece si decide che la priorità deve essere quella di offrire occasioni di crescita e sviluppo economico rapido, allora coerentemente si lasci perdere l’identità mocheno-cimbra e si proceda con asfalto, cemento e nuove costruzioni, creando così posti di lavoro, magari a vendere biglietti di un parcheggio a 1600 metri o qualche cartolina di un posto che era bello... una volta, quando c’erano anche i mocheni.