Menù
Home
QT
Questotrentino
Mensile di informazione e approfondimento
Utente
Cerca
QT n. 16, 26 settembre 1998 Servizi

Burocrazia e comuni: Trentino fermo al palo

Mentre nell'Ulivo trentino ci si accapiglia sul futuro dei Comprensori, la pubblica amministrazione e gli enti locali del resto d'Italia fanno passi da gigante verso livelli di qualità europea.

Lo sapevate che i certificati di nascita e di morte, o quelli riguardanti i titoli di studio, se fino a ieri duravano solo tre mesi, ora non hanno scadenza?

E lo sapevate che per l'autocertificazione d'ora in poi, in moltissimi casi, non servirà nemmeno l'autenticazione della firma, ma basterà una banale dichiarazione? E che tra poco si potranno pagare le tasse in comune con il bancomat o la carta di credito, mentre carte e timbri stanno per lasciare il posto ai documenti informatici e alla firma digitale?

Sono solo alcune delle novità introdotte dal ministro diessino Franco Bassanini che stanno letteralmente cambiando il volto della pubblica amministrazione italiana.

Rotando Mora, la think tank della quercia trentina su enti locali e pubblica amministrazione, ha ora prodotto un'agile guida a questi grandi cambiamenti avvenuti a livello nazionale, indicando cosa si applica sin da subito in provincia e cosa invece dovrà attendere le leggi di recepimento, ma cercando anche di spiegare per quali motivi il Trentino è così in ritardo rispetto al resto d'Italia su queste materie.

L'opuscolo, dall'emblematico titolo "La rivoluzione italiana e i ritardi del Trentino nella pubblica amministrazione ", ha poco o nulla a che vedere con la valanga di spazzatura elettorale che invaderà le nostre case da qui alle elezioni di novembre. Si tratta infatti di un vero e proprio vademecum, scritto con un linguaggio semplice e leggero, indirizzato agli addetti ai lavori ma anche ai comuni cittadini, nel quale le considerazioni politiche -che pure non mancano- sono però circoscritte alla parte finale. Insomma, si tratta in gran parte di uno di quei libricini a scopo informativo che ci piacerebbe veder pubblicare dagli enti pubblici e che, prodotto invece dal gruppo consiliare regionale dei Democratici di Sinistra, era il segno evidente di quanto la sinistra ritenga (ancora) importante la questione delle riforme della pubblica amministrazione e degli enti locali.

Il fatto che ci sia bisogno di rimarcare questo punto fermo parrebbe un paradosso, dopo che sulla questione riforme si è guerreggiato in Consiglio provinciale e regionale per cinque anni, senza peraltro riuscire a portare in porto le due riforme più importanti, quella elettorale e quella istituzionale.

Eppure, da quanto emerge dal dibattito politico di questo inizio di campagna elettorale, sembrerebbe proprio che per le riforme tiri davvero una brutta aria, se è vero che a fatica si è riusciti ad inserirle nel programma dell'Ulivo.

Il fatto è che, come ha detto Giorgio Fossa con una efficace espressione, nel nostro paese esiste un metodo tutto particolare per non affrontare i problemi: continuare a parlarne fino a quando l'opinione pubblica si stufa e si provoca il rigetto. E oggi, in Trentino, pare che per le riforme sia proprio scoccata l'ora del rigetto.

Prendiamo quella elettorale. Alle scorse elezioni regionali, nel '93, si era freschi del referendum di Segni, che aveva fatto man bassa di si. Pressoché tutti i partiti avevano tra i primi punti del programma la riforma elettorale per il Consiglio regionale, nel dibattito politico volavano paroloni come "modello Westminster" o addirittura "Partito Democratico ".

Oggi, a riforma non fatta, quelli che parlano di maggioritario sono presi per matti, o tutt'al più sono sommersi dai "che noia!", "basta!", "non ne possiamo più! ".

E' più o meno quello che è successo a Giorgio Tonini a inizio estate, quando aveva tentato di ricordare, con una lettera all'Adige, che fino a quando non si scioglierà il nodo elettorale la politica trentina rischierà di rimanere impantanata. Ebbene, a parte qualche timido riscontro dai sempre bravi Perego e Giuliano (Forza Italia), l'appello di Tonini è rimasto quasi inascoltato o accolto freddamente anche nel suo stesso partito (i DS), che pure su questo argomento aveva versato lacrime e sangue.

Ancor più paradossale è quanto sta accadendo attorno alla cosiddetta riforma istituzionale, vale a dire il decentramento di gran parte delle competenze della Provincia ai comuni abolendo i comprensori.

Sono almeno quindici anni che tutti i partiti organizzano dibattiti e convegni per dire che i comprensori sono dei carrozzoni inutili, buoni solo per coltivare clientele e per tenere sottomessi i comuni. E' un decennio che non si perde occasione per infilare in ogni articolo, in ogni documento, finanche nella chiacchierata al bar, la celebre frase sui comuni trentini di serie B, privi di autonomia e di competenze.

Cinque anni fa tutti i partiti giuravano che la prima cosa che avrebbero fatto con la nuova legislatura sarebbe stato abolire i comprensori. Il Patt si era avventurato addirittura in una raccolta di firme, la Lega prometteva sfracelli.

Nel '95 tutti i partiti del centrosinistra trentino avevano solennemente sottoscritto il programma provinciale dell'Ulivo (quello fatto coi famosi "sette saggi"), che tra i primissimi punti metteva proprio il funerale dei comprensori. Proprio quel programma divenne poi la piattaforma del lavoro di Bondi e Chiodi, nel loro eroico (e disperato) tentativo di tradurre finalmente in realtà quindici anni di chiacchiere.

Come è andata a finire ? Oggi quello che tutti ossequiano come capo dell'Ulivo, Lorenzo Dellai, infila nella sua lista i principali avversari nel tentativo riformatore della giunta Ulivo-Abete. Nel programma dell'Ulivo si cerca di annacquare le proposte riformatrici nel politichese. Ci si salva per fortuna in corner, ma ormai appare evidente che a parlare di abolizione dei comprensori si viene presi per delle teste calde, per estremisti.

Gli stessi sindaci non sono più tanto convinti che i comuni in serie B ci stiano poi così male. Anzi, in molti casi s'inchinano al gran capo Dellai e fanno le pernacchie ai consiglieri uscenti della sinistra. Agli industriali basta che gli fai la PiRuBi e per il resto chissenefrega. Sui giornali l'argomento non fa più notizia.

Insomma, passata la buriana, i Comprensori paiono oggi fuori pericolo, i comuni scivolano verso la serie C, mentre quelli che più si erano impegnati per questa fondamentale riforma. Bondi in testa, rischiano pure di rimanere a casa.

I problemi però, rigetto o non rigetto da parte dell'opinione pubblica, sono ancora lì sul tappeto. Insomma, o le riforme, che si ritenevano indispensabili prima, in realtà indispensabili non erano, o altrimenti, finita la demagogia della campagna elettorale, la loro necessità rispunterà inevitabilmente fuori.

E basta poi seguire con attenzione nella lettura dell'opuscolo di Mora per capire quanto sia urgente mettere mano alla pubblica amministrazione trentina, in particolare sul versante più penalizzato, quello dei comuni.

Avere una pubblica amministrazione efficace nei risultati, efficiente nel funzionamento, snella, veloce, trasparente, responsabilizzata, significa non solo offrire ai cittadini una migliore qualità della vita (la tanto auspicata amministrazione a misura del cittadino), ma soprattutto contribuire in maniera determinante a creare quelle condizioni "ambientali " in grado di attrarre investimenti, imprese, ricchezza, occupazione. E' evidente, quindi, che perdere il treno delle riforme significa indebolire il proprio tessuto economico, rischiare di essere lasciati ai margini dello sviluppo.

E il Trentino non solo ha beneficiato solo in parte della recente rivoluzione di Bassanini, ma in molti casi deve ancora recepire (con leggi regionali) normative statali vecchie di dieci anni.

I comuni, se alla fine degli anni '80 erano di serie B, oggi paiono scivolati ancora più indietro. Non perché sia peggiorata la loro situazione, ma proprio perché nel frattempo, nell'ultimo decennio, i comuni delle regioni ordinarie sono stati beneficiari di moltissime innovazioni.

Insomma, mentre noi rimaniamo fermi al palo per colpa del caos e dell'insipienza che regna nei consigli regionale e provinciale, il resto d'Italia corre rapidamente verso livelli di efficienza europei. Fino ad oggi questo svantaggio è stato abbondantemente compensato dall'abbondanza di risorse economiche, ma domani?

Chiunque arriverà in Consiglio provinciale dopo il 22 novembre, se vorrà mettere mano davvero al problema e non fingere di farlo, non potrà che ripartire esattamente laddove si è interrotto il lavoro di Wanda Chiodi e Mauro Bandi. Un tentativo che a suo tempo subì l'ostilità delle tante piccole corporazioni che prosperano proprio sull'inefficienza della pubblica amministrazione (fino al punto di assistere a scene patetiche di qualche politicante senza un briciolo di dignità). Ma soprattutto subì l'avversione del mondo ex dicci, che negli anni aveva fatto dei comprensori un proprio orticello elettorale.

Eppure, se quella riforma fosse stata approvata, non avremmo solo anticipato di diversi anni ciò che comunque sarà prima o poi necessario fare, ma ci saremmo messi all'avanguardia rispetto al resto d'Italia sul versante dell'autogoverno dei comuni.

Per ora, leggere il libretto di Rotando Mora è già un buon inizio.