Olimpiadi 2026: gli ambientalisti se ne vanno
Il “Tavolo di confronto” è stato inutile: pochi incontri, nessun vero confronto e una raffica di no. E le associazioni lo abbandonano
Non sembra essere una notizia. Il fatto che otto associazioni ambientaliste nazionali (CAI, Touring Club, WWF, Italia Nostra, Legambiente, LIPU, Pro Natura, Mountain Wilderness) abbandonino il tavolo di confronto con la Fondazione Milano Cortina 2026 e con la società Infrastrutture (vedi la lettera a pag. 37) non è stato ritenuto meritevole di attenzionedalla stampa nazionale e locale. Superfluo commentare questo ulteriore inchino ai poteri economici e politici. Come del resto questi media non hanno dato notizia della grande manifestazione tenutasi a Cortina il 24 settembre per evitare lo spreco di 124 milioni per una pista di bob che sarà usata da 35 atleti nazionali (solo Il Fatto Quotidiano e il Manifesto ne hanno scritto).
Il tavolo delle associazioni era stato fortemente voluto due anni fa, da Mountain Wilderness e WWF in particolare. Nei dirigenti era forte l’illusione di poter costruire un rapporto di fiducia e collaborazione con gli organizzatori dell’evento. In un primo tempo vi partecipavano anche i rappresentanti dei comitati territoriali. Ma creavano problemi, il loro linguaggio era ritenuto troppo diretto nel definire quali opere erano necessarie e quante, la maggior parte, inutili o che risultavano essere forzature che nulla avevano a che fare con l’evento olimpico. Inoltre, con troppa chiarezza, con intemperanza chiedevano il rispetto di ogni passaggio del dossier di candidatura che ha portato l’Italia alla sofferta vittoria contro l’altra debole candidata, la Svezia.
Allontanati i comitati, le associazioni erano convinte di essere in presenza non di un interlocutore autoritario, ma autorevole e democratico. Il susseguirsi dei rari e sempre più distanziati incontri dimostrava però che il dialogo era solo frontale, che nessuna osservazione delle associazioni veniva accolta, che la macchina olimpica procedeva per i fatti suoi, incurante di obiezioni o sollecitazioni diverse. Fino a quando è risultato evidente quanto i comitati di base sostenevano fin dall’inizio: quel tavolo era utile solo al CONI, alla Fondazione Milano Cortina 2026 per inviare a Parigi (sede del CIO, Comitato Olimpico Internazionale) i verbali degli avvenuti incontri. Thomas Bach, il Presidente del CIO, veniva così convinto che le proteste sulle diverse opere erano isolate e che la Fondazione recepisse un consenso pieno dell’operato da parte dell’ambientalismo nazionale.
Quali sono i punti che hanno portato alla rottura? Uno su tutti: l’evidenza dell’inutilità del confronto; non c’era dialogo. Poi, passaggio devastante, si sono evitate la VAS (Valutazione ambientale strategica) e le singole VIA. Le VAS ora sono state declassate all'ambito regionale; si tratta di una raccolta omissiva di pareri sui diversi progetti da parte dei servizi delle Regioni o Province autonome. Il confronto partecipativo è stato cancellato, le opere sono commissariate, si raccolgono le osservazioni nelle conferenze dei servizi, si offrono trenta giorni di tempo per illudere i cittadini di una condivisione partecipata, e a seguire l’immediata chiusura del procedimento.
Il muro frapposto alle associazioni dalla Fondazione era impossibile da scalfire. Per non essere ulteriormente umiliati, o addirittura diventare complici dello scempio ambientale ed economico che queste olimpiadi imporranno alle Dolomiti e alla città di Milano non rimaneva che la dignitosa strada dell’abbandono del tavolo. Come da oltre un anno chiedevano i comitati, rappresentativi ovunque della base delle associazioni.
L’organizzazione dei giochi nel caos
Altri aspetti riguardavano due opere specifiche. La pista di bob di Cortina, una vicenda che da sola merita l’onore di un libro, e il villaggio olimpico di Cortina. Per la prima opera a oggi nemmeno sono stati affidati i lavori, i costi lievitano ogni tre mesi eppure l’alternativa esiste: andare a Innsbruck spendendo dai 12 ai 15 milioni di euro. Ipotesi che Luca Zaia e Giovanni Malagò rifiutano drasticamente. Ora si valuta seriamente anche l’opportunità (necessità) di ritornare a Pechino. I tempi stringono, non sono più ammessi ritardi.
Il villaggio olimpico è altrettanto scandaloso: lo si costruirà a Fiames, nella grande oasi prativa verso Cimabanche. Costerà oltre 50 milioni di euro e poi verrà smantellato. Cosa rimarrà delle infrastrutture necessarie, tutte da costruire (servizi vari e parcheggi)? Una vasta area attrezzata per imporvi un eliporto e relativi servizi di supporto logistico.
Come ha risposto la Fondazione alla decisione delle associazioni? Come da prassi consolidata. Mentendo, o meglio, omettendo. Infatti nel comunicato di replica non entra nel merito della sostenibilità ambientale delle opere e della legacy. Nemmeno cita questi aspetti. Inoltre alimenta la confusione affermando che i 12 milioni previsti per andare a Innsbruck sarebbero insufficienti. Aggiungendo che vi sarebbero costi aggiuntivi perché gli ambientalisti non considerano come verificare se l’impianto risponderebbe agli standard olimpici. Sulla Fondazione, affermano i dirigenti, ricadrebbero costi esterni come quelli relativi ai servizi funzionali per la creazione di una sede olimpica. Mobilità, sicurezza, comunicazioni, ospitalità di atleti e tecnici, servizi medici, tecnologie e perfino un nuovo villaggio olimpico.
Osservazioni facili da demolire. La Fondazione non ha mai incontrato né amministratori di Innsbruck né i gestori delle piste. Non è pertanto a conoscenza di quanto possa offrire la città austriaca, che già ospita ogni anno gare di coppa del mondo di specialità. Quindi dispone di servizi più che adeguati a garantire ogni aspetto: sicurezza, inclusa quella sanitaria, accessibilità, logistica. Non è vero che servirebbe un nuovo villaggio olimpico: il previsto villaggio di Livigno, località che ospita più di venti gare, è stato cancellato fin dal 2021. Perfino Zaia ha finalmente confermato, ma solo a fine settembre, che mai è stato sostenuto un confronto reale con Innsbruck.
A distorcere la realtà non sono quindi le associazioni ambientaliste, ma proprio gli organizzatori dell’evento. Infatti le associazioni scrivono che l’incontro del 13 settembre è stato “sofferto e inconcludente. Le organizzazioni ambientaliste non sono riuscite a scalfire la roccaforte di segretezza che avvolge tutti i progetti relativi alle opere olimpiche programmate”.
Le opere dell’evento olimpico sono ben 73, i costi complessivi, ora è confermato dal DPCM 8 settembre 2023 firmato dalla Presidente Meloni, superano di gran lunga i cinque miliardi di euro. Dal mio osservatorio, personale ma diretto, posso assicurare che le associazioni tutte, anche tramite incontri diretti con il presidente del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), Giovanni Malagò, e la Fondazione Milano Cortina 2026 (di cui lo stesso Malagò è presidente), hanno tentato tutte le strade possibili per evitare una sconfessione tanto netta dell’operato dell’organizzazione olimpica.
Va anche confermato come nelle due Regioni, Veneto e Lombardia e nelle due Province autonome di Trento e Bolzano, mai nessun progetto è stato presentato in modo ufficiale e in dettaglio alle popolazioni interessate: ovunque i cittadini hanno dovuto subire le scelte e ancora oggi si sta procedendo alla progettazione e appalto di opere inserite nel finanziamento olimpico che nulla hanno a che vedere con lo svolgimento dei Giochi. Bretelle stradali che si avvicinano ai quattro miliardi di costi, opere ferroviarie e aeroportuali, collegamenti sciistici devastanti in Dolomiti e nel Parco nazionale dello Stelvio. Tutti temi taciuti dai media nazionali.
Non poteva esservi conclusione diversa: le associazioni ambientaliste nazionali che abbandonano il tavolo, a muso duro. Nel desolante scenario è evidente come l’organizzazione proceda con approssimazione e priva di una guida che sappia fare sintesi delle esigenze dei territori e dell’urgenza di realizzare al meglio e subito le strutture che ospiteranno le diverse discipline.