Il Parco dimenticato
Stelvio: a sette anni dallo smembramento ancora non c’è il piano parco
?dal 1998 che Questotrentino racconta le misere vicende che interessano il Parco Nazionale dello Stelvio. E nel 2016, non tanto perché forniti di strumentazione profetica, ma per conoscenza dei politici della nostra Regione, avevamo anticipato che lo smembramento del parco in tre ambiti aveva solo lo scopo di facilitare appetiti mai nascosti, che la Provincia di Bolzano aveva pronto l’ampliamento del demanio sciabile, la riduzione dei confini, la semplificazione urbanistica e magari la possibiltà di potere finalmente cacciare anche nel Parco.
Ma ben prima di noi, nel 1974, Italia Nostra in un suo libretto anticipava i rischi su quanto sarebbe accaduto. Il tema del parco “fascista”, era solo una cornice ideologica per fare spezzatino dell’area protetta. Si è sempre sostenuto che i tre ambiti territoriali, tenuta ferma l’impostazione istituzionale nazionale, avrebbero saputo offrire maggiori opportunità ai singoli territori, perfino sul tema della conservazione. Così, dal 2016, il parco è diviso in tre ambiti territoriali, grazie alla Commissione dei 12 presieduta da Dellai e dal centrosinistra: tutti dichiaravano, e stava scritto nella apposita norma di attuazione, che in dodici mesi il parco avrebbe avuto il tanto atteso piano parco, lo strumento guida per la gestione di un territorio complesso e delicato. Il piano parco, su pressioni della SVP, stava chiuso nello scrigno ministeriale dal 2009.
Da allora sono trascorsi quasi sette anni e il piano parco unitario rimane un miraggio. La Regione Lombardia è assente, complice il passato ministero della Transizione ecologica, un fallimento totale del governo dei migliori: in Lombardia si attende l’assalto all’area sciabile della pista Stelvio in vista delle prossime Olimpiadi invernali 2026, come previsto nella recente variante al Piano Regolatore di Bormio.
In Trentino ci si è mossi con più celerità, mentre a Bolzano tutto sembrerebbe pronto. Ma è bene entrare nel merito delle previsioni di pianificazione che Bolzano vorrebbe imporre.
La prima versione del piano altoatesino è datata 2018. Ora sembra esserci in dirittura d’arrivo una proposta di piano che in teoria dovrebbe riferirsi alle norme di attuazione della Regione, grazie al Decreto legislativo 14/2016.
Queste norme sono esplicite. Richiamano il legislatore al mantenimento della configurazione unitaria del parco e la decisione finale del recepimento è di competenza del parere vincolante del Ministero della Transizione ecologica.
La proposta di piano parco del settore bolzanino preoccupa quanti sono interessati alla tutela della biodiversità e del paesaggio, della integrità territoriale di spazi fragili. Vi sono infatti presenti difformità importanti rispetto ai documenti finora elaborati dalle linee guida nazionali approvate nel 2018 all’unanimità dal gruppo di coordinamento nazionale e non vi compare alcuna indicazione su come si attui il coordinamento della gestione nei tre settori. La proposta di piano parco contrasta con la legge quadro nazionale delle aree protette, la 394. Lo stesso regolamento di attuazione viola ancora la legge quadro e le linee guida nonostante queste abbiano valore vincolante.
Le norme tecniche di attuazione o tacciono su alcuni temi strategici o sono in contrasto diretto col regolamento, ad esempio sui temi della regimentazione delle acque correnti e delle captazioni, negli interventi sulle acque superficiali.
Diversi interventi edilizi possono essere attuati in assenza di abilitazione. Si tratta di interventi non minimali come ad esempio la ricerca nel sottosuolo, l’imposizione di serre mobili stagionali, la diffusione delle reti antigrandine, le opere di pavimentazione, le vasche di raccolta delle acque, i locali tombati, i pannelli solari e fotovoltaici, elementi di arredi anche non secondari nelle pertinenze di edifici, i movimenti terra riguardanti l’esercizio di attività agricole. Le strutture abbandonate dell’attività estrattiva, che andrebbero demolite, vengono inserite in cambi di destinazione d’uso.
Nel piano parco era ovvio attendersi un minimo di regole sulla mobilità e la regolamentazione dei transiti sulla statale 38 del passo dello Stelvio. Invece non si trova traccia di regolamentazione di eventi motoristici, di gestione del traffico di attraversamento, di controllo severo della rumorosità. La mobilità sostenibile diventa un tema insignificante - scrivono le associazioni nelle loro osservazioni -, non sono specificati divieti di accesso sulle strade vicinali o criteri d’uso delle mountain bikes, nessun accenno allo storico piano “Auto freies Suldan”.
Si prevede invece il collegamento ferroviario Malles-Bormio in contrasto con la 394, senza alcuna attenzione per la delicatezza del territorio attraversato. Si fa diretto riferimento alla legge provinciale del territorio e paesaggio senza valutare come in molti suoi passaggi sia in diretto contrasto con la legge nazionale 394: si pensi alle semplificazioni degli interventi edilizi per i volumi fino a 1500 metri cubi.
La pianificazione proposta frantuma gli habitat tutelati inserendo in aree D2 (promozione economica e sociale) ampi spazi di aree di tutela A e B, cioè zone di riserva integrale. Queste riserve perdono efficacia grazie alla superficialità normativa del regolamento: vi si impongono attività chiaramente incompatibili con la tutela rigorosa.
Per quanto riguarda il paesaggio, il piano affronta un superficiale riferimento alla Carta europea del paesaggio, superando così i principi più restrittivi del piano paesaggistico provinciale. In tal modo vengono evitate le dovute attenzioni alle morene glaciali e alle forme preglaciali, non si evidenziano i paesaggi degradati da recuperare evitando i dovuti e attesi ripristini. Un ultimo sguardo va riservato alle concessioni idriche sostenibili: non vi si trova alcun accenno, eppure il territorio bolzanino del parco è interessato da 6 grandi concessioni e da 127 piccole. Numeri sbalorditivi, rimasti trascurati.
Si prevede invece il rinnovo automatico delle concessioni, nonostante i cambiamenti climatici in atto stiano modificando in modo considerevole sia la portata di ogni rivo, di ogni sorgente, e si evita accuratamente di valutare nel tempo una verifica del deflusso ecologico in alveo. Eppure la legge quadro è chiara: “Le attività antropiche consentite non devono modificare il regime delle acque con bacini di innevamento, o bacini artificiali“. Anche in zona D queste infrastrutture andrebbero stralciate. Nessuna regola è prevista per la gestione delle manifestazioni sportive e ludico-ricreative.
In Trentino
Il percorso del piano parco dell’area trentina sembra giunto alle fasi finali. Si sono raccolte le osservazioni, le si sta valutando, a fine novembre sembra sarà possibile avere il piano approvato e messo alla prova delle osservazioni raccogliendo gli ultimi suggerimenti dei soggetti interessati. Può preoccupare la maggiore flessibilità che viene demandata in termini di scelte ai Piani regolatori dei comuni coinvolti, un passaggio che viene giustificato con la necessità di superare una divisione tanto netta di norme fra l’interno del parco e le immediate adiacenze territoriali. Si inserirà una specifica scheda sulla mobilità sostenibile tesa a dare certezze al comune di Pejo. Per quanto riguarda le aree sciabili, rimane fermo quanto previsto nel PUP provinciale. Le preoccupazioni riguardano il possibile potenziamento strutturale dei manufatti delle aree sciabili, l’innevamento artificiale, una inadeguata attenzione nelle concessioni del prelievo di acque.
Un tema che scuote il mondo ambientalista concerne la gestione della popolazione dei cervi. Non c’è dubbio, oltre 2000 cervi su un territorio tanto limitato sono un problema per la vegetazione, il sottobosco, l’insieme della tutela della biodiversità. Gli ambientalisti non accettano comunque l’attività venatoria all’interno dell’area protetta, è un principio fermo della legge quadro che dovrebbe rimanere inattaccabile. Specialmente non si accetta che l’abbattimento dei cervi venga attuato dall’associazione dei cacciatori, pur essendo questi ultimi stati abilitati con corsi formativi specifici. Se si deve proprio arrivare agli abbattimenti, dicono le associazioni ambientaliste, il compito spetta al Corpo forestale provinciale.
Della Lombardia abbiamo accennato. La giunta regionale dimostra un totale disinteresse verso il parco. Sta investendo energie solo in vista delle Olimpiadi del 2026, e anche in questo accumulando ritardi. Tutta la montagna non interessata all’evento olimpico rimane abbandonata.
Fontana e suoi assessori ritengono ancora che sviluppo sia sinonimo di turismo invernale basato sullo sci. Gli altri settori, cultura, sanità, gestione agricola del territorio, sicurezza idrogeologica e mobilità pubblica, rimangono perdite di tempo. Le grandi città, partendo da Milano, offrono un bacino elettorale molto più gratificante sul quale investire.
? anche grazie all’assenza della Regione Lombardia che il piano parco dello Stelvio non trova sbocchi. Si spera che la nuova guida del ministero della Transizione ecologica (quello dell’ambiente è stato demolito da Cingolani) sappia imporre tempi brevi e specialmente maggiore qualità conservativa alle diverse pianificazioni che stanno avanzando. E una sintesi unitaria, che offra valore al parco nazionale.