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QT n. 11, novembre 2022 Servizi

La foresta dopo Vaia

Gli eventi meteorologici, il bostrico e alcune idee per il bosco del futuro.

Quattro anni fa le foreste delle Alpi sud-orientali hanno subìto danni inattesi dalla violenza della tempesta Vaia. 42 mila ettari di territorio denudato, ai quali si sono aggiunti gli schianti diffusi delle nevicate bagnate dell’inverno 2019 e del 2020. Oggi questi spazi stanno subendo l’attacco del parassita Ips typographus (bostrico).

Quanto avviene fa parte degli sconvolgenti effetti che la crisi climatica ci sta imponendo, una crisi ormai non più emergenziale. La meritoria opera della Protezione civile può intervenire solo a catastrofe avvenuta e nel sostenere il ripristino di quanto danneggiato.

Questo susseguirsi di eventi che stanno colpendo le nostre foreste dimostrano, assieme alla crisi idrica, ai fenomeni meteo sempre più intensi e frequenti, alla avanzante aridità dei suoli, che il tema dei cambiamenti climatici è di assoluta priorità per la politica: la crisi climatica è strutturale. Ma nella campagna elettorale appena terminata, anche in provincia di Trento, e nella discussione parlamentare che ha portato alla nascita del governo delle destre non si è avuta alcuna percezione della gravità di quanto sta accadendo.

Il gruppo di 26 associazioni che ha dato vita al documento “Green deal delle foreste trentine”, sostenuto da UNIPOL Sai Assicurazioni, ha opportunamente convocato i responsabili forestali dei quattro ambiti regionali e provinciali coinvolti da Vaia per valutare quanto è stato fatto e come si preveda di affrontare la ricomposizione delle strutture forestali del domani.

La gestione della raccolta degli schianti è stata difforme sui territori. La provincia di Bolzano è risultata efficiente anche perché, fin da subito (7 novembre 2018), ha messo attorno a un tavolo il corpo forestale provinciale, l’assessorato, i sindaci, gli attori del mondo produttivo ed i proprietari di boschi. Da quella riunione sono scaturiti i contributi a sostegno degli operatori forestali, una pianificazione mirata del recupero della viabilità, una visione dell’agire su tempi medio–lunghi. Il risultato è evidente: il 95% del materiale recuperabile è stato venduto, quanto rimasto sul territorio, circa 820mila mc. risulta non raggiungibile.

La Provincia di Trento ha messo invece la sua attenzione al potenziamento più che discutibile della viabilità forestale, costringendo i proprietari di bosco a lasciare a terra gli alberi per oltre un anno; poi la pandemia, quindi due anni persi. Il Veneto è intervenuto con efficacia sull’altopiano di Asiago, ma trascurando il bellunese, territorio che aveva subito enormi danni dovuti all’alluvione, un territorio frantumato in millesimi di proprietà e privato di una gestione forestale efficace causa l’assenza di un corpo forestale (Legge Madia, PD).

Il Friuli-Venezia Giulia, che ha subito i maggiori danni nel settore nord–occidentale, ha avuto problemi molto simili al Veneto, nonostante la sua autonomia. E oggi questi ambiti forestali, a causa delle temperature record delle estati 2021 e 2022, sono sconvolte dall’attacco del bostrico. È verosimile prevedere che a fine 2023 questo minuscolo insetto causerà la stessa entità di danni della tempesta Vaia, oltre 10 milioni di metri cubi. Al momento nel Trentino i danni contabilizzati sommano a 1,4 milioni di mc di legname morto.

Lo scopo del convegno di cui dicevamo era mettere in evidenza anche le opportunità che la tempesta Vaia ci ha proposto, tramite esempi concreti di buone pratiche. Come garantire sicurezza alla viabilità e alle infrastrutture? La soluzione sarà sempre la solita, cioè impattanti difese metalliche che sconvolgono terreni e paesaggio? Da passo Lavazè la risposta è diversa. Lasciando a terra del legname schiantato, efficace nella difesa da valanghe o caduta massi per circa 15 anni, si sono risparmiati in soli 1500 metri oltre un milione e mezzo di euro. Il terreno sotto le piante schiantate permetterà in tempi brevi l’affermarsi di rinnovazione naturale, altrimenti distrutta dai lavori.

È possibile trasferire le emozioni negative degli effetti di Vaia in un percorso formativo scolastico e lavorativo?

L’istituto di formazione professionale del legno CFP–ENAIP di Tesero ha portato i futuri falegnami a impegnarsi nell’approfondimento della cultura del bosco: dalla foresta fino al tronco, alla trave, ai mobili. Gli studenti sono diventati protagonisti nell’assunzione di cultura della foresta e specialmente della percezione di come Vaia ci abbia cambiati.

E l’imprenditoria? La ditta XLAM Dolomiti di Castelnuovo ha reso i suoi dipendenti compartecipi della trasformazione del legno nel secondo e terzo livello produttivo. Il tavolame utilizzato in nuove abitazioni e che, grazie ai pannelli strutturali, ha permesso di arrivare, a Rovereto, all’edificio residenziale alto nove piani, che propone 92 appartamenti con l’uso di 2.500 metri cubi di legname tutto proveniente da Vaia. Legno che manterrà imprigionata nella sua struttura per decenni tutta la CO2 catturata nella vita dell’albero. Uno stoccaggio naturale a costo zero.

Non abbiamo ancora parlato di paesaggio e agricoltura. Anche in questo caso l’esperienza (non isolata) del pinetano ci viene in soccorso. La collaborazione fra esperti forestali, le quattro ASUC, il GAL del Trentino orientale e un’azienda agricola, ha permesso il recupero di zone schiantate da destinare a verde, per coltivare foraggio e per il pascolo di allevamento. Costruendo qualità produttiva locale, migliorando il paesaggio, rendendo utilizzabile un territorio altrimenti non produttivo per decine di anni.

Cosa hanno in comune queste esperienze? La volontà di reagire a un evento distruttivo. La valutazione della compatibilità ambientale ed economica dell’intervento, la diffusione sul territorio di valore aggiunto e lavoro, l’investimento in condivisione e solidarietà fra enti e istituzioni diverse, pubbliche e private.

Il bostrico (disegno di Manuel Riz)

Il convegno, oltre a rendere pubbliche esperienze poco conosciute, ha diffuso consapevolezza dell’importanza dei territori alpini. Si tratta di un messaggio rivolto alla politica che a livello nazionale istituisce il Ministero del mare e dimentica la montagna (il 60% del territorio nazionale). Una assunzione di consapevolezza del limite delle risorse naturali. Il dovere di intervenire con una pianificazione multidisciplinare attenta ai cambiamenti climatici, ponendo come prioritario l’investimento nella conservazione della biodiversità e della naturalità dei boschi del futuro. Imponendoci politiche di risparmio severo nella ricostruzione dei boschi, come avvenuto nel dopoguerra. E, a differenza di allora, lasciando lavorare la natura ed evitando il più possibile interventi artificiali. È anche emerso come i dirigenti dei servizi forestali provinciali e regionali siano ancora legati a una concezione della foresta produttiva. Non hanno ascoltato il grido di dolore lasciato dalla tempesta Vaia. Se si vuole biodiversità si devono lasciare diffondere le foreste vetuste. Il loro pensiero è ancorato alla cultura selvicolturale tedesca: i boschi, sempre e ovunque, vanno ringiovaniti, cioè impoveriti.

Una giornata dal grande valore sociale e politico, un percorso di ricerca di nuovi equilibri, non solo naturali ma specialmente culturali, il superamento di una visione antropocentrica nella gestione di un bene naturale. Felice l’intuizione dell'antropologa dell’Università di Trento Marta Villa nel definire il confronto “un’oasi di fraternità”. Nessuno può più fare da solo. Mai come oggi c’è bisogno di confronto e di condivisione.