L’irresistibile attrazione verso l’Occidente
Le cause del conflitto in Ucraina viste da un diplomatico (italiano, anzi trentino) nell’Est Europeo
Guido Larcher è un trentino verace, da giovane presidente della Sezione Universitaria della Sat, di famiglia trentinissima con casa in piazza Italia e villa a Maderno, ma ha intrapreso una carriera diplomatica a Roma e soprattutto all’estero, tra i paesi dell’Africa e quelli dell’Est europeo. In particolare ha ricoperto il ruolo di Consigliere commerciale all’Ambasciata italiana in Polonia e di primo segretario nell’Ambasciata in Cecoslovacchia. Ha avuto quindi l’occasione di conoscere l’evoluzione di quei paesi negli anni del loro distacco dall’Urss, e di rapportarsi con la loro cultura, le loro aspettative nei riguardi dell’Occidente, le loro esigenze di sicurezza.
Uno di motivi scatenanti l’invasione dell’Ucraina è ritenuto lo spostamento verso est dei confini della Nato, vissuto dalla Russia come una sua marginalizzazione e una lesione alla propria sicurezza. Cosa se ne pensa nei paesi a suo tempo satelliti dell’Urss?
Premetto che non ho competenza specifica su queste vicende, che non ho seguito da vicino: la mia esperienza è concentrata nel periodo delle adesioni di questi paesi all’Unione Europea.
Essa era vista come il faro cui rivolgersi, anzitutto per i vantaggi economici. Allora l’adesione alla Nato non era un tema sentito, l’importante era unirsi al carro della UE.
Eppure tra Usa e Russia si concordò che non ci sarebbe stato uno spostamento ad est della Nato
Cosa sia successo tra loro è oggetto di discussioni, ma non ci sono documenti. La situazione si è chiarita nel 2014, dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia. Il memorandum di Budapest di dieci anni prima prevedeva, in cambio della rinuncia da parte dell’Ucraina alle armi nucleari, delle garanzie sulla sua sicurezza e inviolabilità dei confini. E con l’attuale invasione la Russia ha violato non solo i principi generali dell’Onu, ma anche gli impegni assunti con quel trattato.
Ma in Romania e Polonia la Nato ha dislocato dei missili che non a torto possono essere visti dai russi come una minaccia.
Su questo tra Usa e Russia non è mai stato sottoscritto alcun accordo. Pur con la doverosa importanza dei trattati, non ci troviamo soprattutto di fronte a un’irresistibile attrazione dei paesi dell’Est verso l’Occidente?
Ho presente il caso della Polonia. Nel 1989 ho assistito a un incontro tra l’allora presidente italiano Cossiga, Gianni Agnelli e il primo ministro polacco Mieczys?aw Rakowski, comunista convinto e numero 2 polacco dopo il presidente Jaruzelsky: egli fu esplicito nel dire che la Polonia aspirava all’ingresso nel consesso europeo, visto come rientro fra gli stati che contano. E questo soprattutto per motivi economici: l’economia era allo stremo, il Comecom (organizzazione economica e commerciale tra i paesi del blocco sovietico, ndr) era un’entità latitante, l’ingresso nell’Europa sembrava la soluzione dei problemi. Come poi, in effetti, è stato.
Che efficienza aveva la società comunista?
Era una costruzione artificiosa, dalla scarsa funzionalità: in economia si guardava più alla quantità dei prodotti che alla qualità, non c’era cooperazione tra i vari paesi, l’unica cosa che importava era il controllo dell’Urss sugli altri stati, che quindi godevano di una sovranità limitata, come in effetti teorizzato.
Poi c’erano caratteristiche peculiari: la Polonia con la proprietà privata della terra aveva un’agricoltura efficiente, altrove la collettivizzazione aveva portato disastri, vedi in Ucraina la morte per fame di milioni di persone in seguito alla politica di Stalin. In complesso comunque il sistema seppur malamente funzionava, la vita trascorreva ugualmente anche se con gravi difficoltà.
La scossa è venuta con l’89 (la caduta del muro di Berlino, ndr); da allora nei cittadini è cambiato il modo di vedere la propria vita in quel sistema, senz’altro nei paesi in cui ero io, Polonia e Cechia, non ci si accontentava più.
Esisteva allora, ed esiste ancora, una spinta verso la democrazia?
In Polonia senz’altro, non a caso l’esito delle elezioni andò oltre le previsioni e lasciò a secco il partito comunista. Poi ognuno ha la sua storia. La Polonia ha avuto la repubblica, sia pur autoritaria, tra le due guerre, ma le radici presentano dei nodi: nell’89 sembrava che oltre alla fine del comunismo finissero la prima e la seconda guerra mondiale. Il percorso è risultato molto accidentato anche se comunque ora è una democrazia.
La Cecoslovacchia invece, dopo la normalizzazione post 68 (la primavera di Praga, stroncata con l’occupazione del paese da parte dei carri armati sovietici, ndr), ha avuto la rivoluzione di velluto con Václav Havel (drammaturgo e poeta, esponente di spicco della dissidenza sotto il regime comunista, e poi presidente, ndr). La figura di Havel, e in più una tradizione borghese, una struttura economica più solida, la vicinanza alla Germania, hanno reso più scorrevole il transito da paese satellite a democrazia.
La Russia avrà evidenziato un’inaspettata arretratezza militare, però è all’avanguardia nella penetrazione propagandista. Riesce a fare, e da anni - vedi Brexit, Trump, vaccini - una capillare azione disinformativa sul web, cui l’Occidente sembra impreparato.
Non esistono chiari, fondamentali principi di diritto che forniscano le basi per contrastare questo inquinamento della pubblica opinione. È la democrazia che non sa difendersi. Probabilmente lo stiamo capendo solo ora, ma non è facile trovare, senza ledere le libertà fondamentali, i principi giuridici e la tecnica da contrapporre. Su questo piano ancora si stenta.