Il boss blindato eppure incrinato
Come Diego Schelfi ha raggiunto un quarto immeritato mandato. E come ora un’opposizione vera sia possibile, e doverosa
Diego Schelfi ha vinto. Il 75% dei presenti all’assemblea della Federazione delle Cooperative ha votato per il quarto mandato del superpresidente. Gli bastava il 66%, ha avuto 70 voti in più.
I nostri lettori sanno come QT abbia valutato negativamente questo quarto mandato: perché indice di un’ossificazione del potere, di una chiusura a riccio dell’establishment cooperativo, e per una valutazione molto negativa dei nove anni di presidenza Schelfi, caratterizzati dall’abisso tra le promesse e i fatti: non riforme, ma immobilismo; centralità non dei soci, e neanche delle cooperative, bensì dei consorzi; nessuna trasparenza, ma copertura delle operazioni più sospette (vedi LaVis); nessuna difesa dell’autonomia cooperativa, bensì pelosi rapporti subalterni con i poteri forti, a iniziare da Isa (casi Piedicastello e ancora LaVis). E invece Schelfi è stato rieletto. Come mai? Cosa significa?
Anzitutto va meglio capito il meccanismo elettorale. La Federazione ha da tempo abbandonato lo storico principio “una testa un voto”. A ragione o a torto assegna più voti, fino a un massimo di 5, alle cooperative e ai consorzi più grandi. Ha inoltre aperto la possibilità, a ridosso delle elezioni, di comperarsi voti, acquisendo quote societarie della Federazione. Così, da aprile a giugno, abbiamo assistito a un lievitare dei voti da parte delle realtà più grosse, per un totale di 70 voti, quasi tutti ascrivibili a supporter di Schelfi.
Non solo: l’articolo 5 dello Statuto, stranamente, ammette come soci, oltre alle “società cooperative e mutualistiche aventi sede nel territorio provinciale”, anche “società, associazioni ed altri enti che integrano il sistema cooperativo”. Sono le cosiddette “società di sistema”, che cooperative non sono, non hanno soci, anzi sono srl o spa, che hanno rapporti economici molto stretti, talora di dipendenza con i colossi cooperativi: società assicurative, informatiche, di trattamento dati, ecc., fino a Itas Assicurazioni, con Isa il potere forte per eccellenza del Trentino.
Bene, queste società, direttamente dipendenti o in ogni caso organiche ai boss della Cooperazione, pur non avendo alcuna base sociale, votano anch’esse, naturalmente pro Schelfi, e sono altri 50 voti. Tutti concentrati in pochissime mani. Insomma il potere cooperativo ha pensato bene di blindarsi e di far giocare la partita su un campo da gioco in cui era sempre in vantaggio.
Questo discorso però è fin troppo ovvio. Che chi ha il potere lo eserciti per mantenerlo, magari con qualche disinvoltura, non è una novità.
Le verità innominabili
La domanda vera ci sembra un’altra: come mai tante coop (almeno la metà) che formano la base, nell’assemblea del 15 giugno hanno comunque votato Schelfi? A commento della votazione, ci sembra corretto il duro titolo del Corriere del Trentino: “Vince Schelfi, perde la cooperazione”. Ma allora, come è successo?
Per capirlo, torniamo all’assemblea. E all’intervento del principale contendente di Schelfi, Sandro Pancher. Che ha occupato quasi tutto il suo lungo intervento rivolgendosi a “Diego”, almeno dieci minuti a leggere una lettera scrittagli alcuni mesi prima. Il senso era: “Scusa, Diego, se mi candido contro di te”. Il messaggio esplicito: “Non intendiamo fare alcuna rivoluzione”. Quello implicito: “Diego Schelfi è il centro del movimento”. Se aggiungiamo che non c’è stato alcun attacco vero, che non si è voluto neanche accennare agli scheletri nell’armadio tipo LaVis, così orridi (la cooperazione che impoverisce i contadini soci per arricchire i finanzieri del vescovo) da risultare innominabili, è evidente il messaggio arrivato all’assemblea: il potere schelfiano è troppo saldo per essere messo seriamente in discussione. E la base coop, di solida cultura democristiana, ha pensato bene di allinearsi.
È un peccato. Perché Sandro Pancher (e con lui i suoi sostenitori, Giuliano Beltrami e Marina Mattarei) hanno dimostrato, nel corso di una difficile campagna elettorale, rettitudine, dedizione, e soprattutto capacità di analisi. Ci auguriamo che ora non desistano, forti di un seguito che pur nelle condizioni descritte ha registrato un quarto dei voti e quasi la metà dei cooperatori (se non consideriamo le farlocche attribuzioni di voti). E che portino avanti una opposizione vera e decisa.
È molto importante. La cooperazione trentina ci ricorda il Monte dei Paschi di Siena. Entrambi con una storia gloriosa, meriti immensi rispetto alla popolazione, con gruppi dirigenti che, facendosi scudo dei meriti storici, si sono blindati, inamovibili e irresponsabili. Abbiamo visto dove questa dinamica ha portato il Monte, a un passo dalla bancarotta, e Siena con esso. Non vorremmo che la cooperazione trentina, e le nostre valli con essa, seguissero la stessa amara strada.
Il signorotto cooperatore
All’assemblea della Cooperazione ha fatto il suo debutto il Commissario della LaVis Marco Zanoni. Nel ruolo, per lui inusitato, di cooperatore. Ma che c’entra Zanoni con la cooperazione? Niente, ma l’uomo è in rotta di collisione con la Camera di Commercio, di cui non per molto sarà ancora segretario, e come comoda via d’uscita ha individuato appunto la LaVis: a settembre scadrà il suo mandato commissariale, e lui aspira a tramutarsi in amministratore delegato, grazie all’appoggio di Schelfi e Dellai.
Ed ecco quindi lo Zanoni cooperatore, che appoggia (ne dubitavate?) Schelfi, e all’uopo indossa le vesti dell’agnello: “In questi mesi alla Cantina ho capito i valori della cooperazione... l’importanza dei soci...”, e bla bla tutta la retorica cooperativistica. Che stride particolarmente in un personaggio che invece si comporta da signorotto feudale: pone ai soci mille ostacoli e ritardi nell’accesso ai documenti contabili, alle assemblee si asside su un palco un metro e mezzo sopra i villici e quando qualcuno di questi, per parlare, vorrebbe salire anche lui sul palco, lo ricaccia giù. Come si giustifica? “Il Commissario ha l’obbligo di intervenire e reprimere comportamenti dei soci idonei a turbare il regolare svolgimento dell’assemblea e a generare condizioni di caos o disagio”. Della serie: voi state ad ascoltarmi e basta, chi volesse anche lui parlare, è un disturbatore.
Ma come può il signorotto, che tratta a pesci in faccia i contadini, pensare di essere eletto amministratore da loro, che lo detestano (in proposito vedi gli interventi sul blog a commento dei nostri articoli)?
La risposta è sconfortante: Zanoni è il plenipotenziario di Dellai, e i soldi pubblici sono visti come l’unico mezzo per salvare la cantina.
E così la cooperazione, nata per dare sicurezza e dignità ai nostri valligiani, oggi invece, con Schelfi e Dellai, la svende.