Il delfino di Schelfi
A capo della Federazione delle Cooperative è stato designato Renato Dalpalù. Una scelta di continuità, disastrosa per un movimento in grave crisi, economica e di identità.a
“Sostanziale tenuta per le sedici Famiglie Cooperative collocate in zone turistiche” - recita un comunicato di FederCoop del 4 febbraio: in perfetto stile Cadorna, “abbiamo mantenuto le posizioni”, ossia “il calo complessivo è stato del 2,24%” si ammette poi. Il fatto è che tutta la cooperazione al consumo è in difficoltà, a iniziare dai Superstore, che macinano perdite su perdite.
“Sono gli effetti della crisi” si dice allargando le braccia. Crisi? In contemporanea il concorrente gruppo Poli chiude il bilancio in attivo e si allarga acquistando per 30 milioni il gruppo Orvea; e Dao-Conad (cooperativa anch’essa, ma mal sopportata in via Segantini, perché concorrente della prediletta Sait) aumenta del 6,5% il fatturato, distribuisce ai soci 14 milioni di utili, e acquista 10 punti vendita dell’ex-Billa in Veneto. Insomma, nella crisi solo Sait e Famiglie Cooperative annaspano,mentre i concorrenti prosperano.
È in tale situazione che il Cda della Federazione delle Cooperative propone, come successore al presidente Diego Schelfi, proprio il presidente di Sait, Renato Dalpalù.
Ora, la crisi verticale di Sait non è tutta attribuibile all’attuale presidente, ma di sicuro Dalpalù non ha certo saputo invertire una tendenza decisamente negativa. E allora, che razza di imprese sono le cooperative, se promuovono chi fallisce?
Il fatto è che la dirigenza del movimento cooperativo sempre più sembra configurarsi come un circolo di persone chiuso, che promuove se stesso, con grande distacco delle tante imprese che ad esso fanno capo.
“Era una dinamica in atto già tre anni fa, quando il movimento invece scelse la continuità, con il quarto mandato a Schelfi. Un grave errore. - ci dice Giuliano Beltrami, già nel Cda di FederCoop - In questi tre anni infatti non si è fatta alcuna analisi dello stato di salute del movimento, né di quale potrebbe essere un indirizzo futuro. Vedi il recente intervento di Schelfi sulla stampa, in cui depreca il nuovo individualismo dei trentini: ma cosa fa la cooperazione trentina per mettere in discussione questa cultura? Nulla. E si va avanti a nominare chi era predestinato, facendo il giro delle valli fingendo di chiedere le opinioni dei cooperatori, pur sapendo che non conteranno niente”.
Marina Mattarei è entrata nel Cda della Federazione tre anni fa: “E in questi tre anni - dice - si è vista una continuità peggiorativa, un’imbarazzante incapacità di un organo a svolgere il proprio ruolo. Siamo stati un momento di presa d’atto delle situazioni, di ratifica dell’esistente, invece che essere elaborazione di pensiero, sul nostro ruolo, su quello delle cooperative di primo grado, dei consorzi e della Federazione. Si interviene solo a spot, sulle singole situazioni, senza avere alcun quadro d’insieme. Di qui una grande frustrazione, anche di diversi colleghi delusi di quest’esperienza”.
La crisi è profonda quindi e non è solo economica. È di senso di appartenenza, a tutti i livelli. “A cominciare da quello dei soci: per gli agricoltori, ad esempio, l’appartenenza è ormai solo convenienza economica, i principi cooperativi hanno poco corso. Perché? Perché se ne è abusato” - sostiene Beltrami.
Quando ti intorti i contadini lavisani con i bei discorsi e poi fai transitare milioni in America o all’Isa e poi arriva Schelfi che per anni difende in assemblea tale andazzo; quando cerchi di far chiudere alla Provincia il concorrente Poli con la scusa che devi tener aperti i negozietti di montagna, e con la stessa scusa apri i Superstore che si rivelano delle sanguisughe, e via così, quando la solidarietà diventa un paravento, è tutto l’impianto della cooperazione che scricchiola.
Discorso analogo per quanto riguarda le innovazioni: “Ci saranno certo degli agricoltori contrari al progetto delle mele in galleria, ma questo perché di fronte alle innovazioni ci sono sempre delle resistenze” - ci ha detto il dott. Granata, amministratore delegato di Melinda, aggiungendo però alla nostra richiesta di pubblicizzare i risultati della relativa sperimentazione, proprio per tranquillizzare i contadini: “Eh no, nessuna azienda pubblicizza le proprie sperimentazioni!” Cioè, i soci devono dire di sì, e fidarsi a scatola chiusa.
“È il grande tema: la mancanza di visione di cosa sia una coop, che ormai coinvolge tutti, dai soci ai manager” - risponde Mattarei.
È fin dai tempi della presidenza Angeli che si agita il tema dello strapotere dei manager, tutto a discapito dei soci.
“Il guaio è che non si è messo a fuoco quali sono i ruoli, oggi, quale il ruolo amministrativo, quale quello politico, quale il rapporto con i soci. Succede che il manager decide lui la strategia politica - prosegue Mattarei - Avere un manager che non viene dal movimento cooperativo può essere una ricchezza, si ha l’innesto di nuove idee, di nuova cultura; ma se il suo ruolo è quello di fare bene impresa, il ruolo del presidente e del cda deve essere quello di inserire il lavoro del manager non cooperatore all’interno di un rapporto col socio visto come centrale, non come un orpello o un fastidio”.
Una struttura verticistica
Questa tensione tra lo spazio del manager e le prerogative dei soci, con le seconde messe in un angolo, si riproduce tra consorzi (Sait, Cavit, Melinda, Cassa Centrale per esempio) e cooperative di primo grado (rispettivamente Famiglie Cooperative, Cantine sociali, Coop di melicoltori, Casse Rurali): una struttura verticistica, con i consorzi, che dovrebbero essere uno strumento, a dominare sulle sottostanti cooperative.
“Tra le Famiglie Cooperative è prevista un’assemblea dei presidenti: una struttura orizzontale, che servirebbe per confrontare problemi e soluzioni - ci dice Mattarei - Ma da Sait è mal sopportata (‘Cosa sono queste riunioni senza di noi?’). La struttura verticale sembra non accettare che ci siano collegamenti orizzontali, da cui si sentono tagliati fuori”.
E la verticalizzazione, la subalternità di chi sta sotto, il predominio di chi sta sopra, è l’esatto contrario dei fondamenti cooperativi. Sono i famosi principi, sempre sbandierati, di fatto pochissimo praticati. Ma allora il movimento perde l’anima, l’identità, perde di senso. Se tra Poli e Famiglia Cooperativa l’unica differenza sta nel prezzo, la partita si fa dura.
“Succede che a capo delle strutture si mettono dei commercialisti, che vanno dietro i loro fini personali - ci dice il cooperatore Sergio Vigliotti - E così finisce che la ricchezza di capitali e di lavoro di una coop, che è ricchezza dei soci, serve invece alla carriera dei capi. C’è il vecchio detto cooperativo: ‘Prendere i migliori e controllarli come fossero i peggiori’. E invece è proprio il controllo che manca”.
Ed eccoci arrivare al ruolo della revisione cooperativa. Essenziale non solo per una corretta dinamica economica, ma proprio per tutelare i soci e le altre cooperative, che dal movimento non devono prendere fregature. Ma abbiamo visto come la revisione, quando invisa a un arrogante amministratore delegato come nel caso della LaVis, non sia difesa proprio dalla stessa Federazione e da Schelfi, chiusisi in un assordante silenzio di fronte alle minacce, alle accuse, alle ventilate querele contro il revisore che aveva osato mettere in discussione comportamenti e bilanci.
Ma allora, quando non si difende neanche la correttezza dei bilanci, che senso ha parlare di solidarietà cooperativa? Perché mai Cavit dovrebbe correre in soccorso di LaVis, e la Cassa Rurale di Rovereto nei confronti di quella di Folgaria, quando i massimi vertici si dimostrano indifferenti di fronte al presupposto basilare, i conti in ordine?
Non ce n’è abbastanza per cambiare un po’ tutto, in via Segantini?
Queste le ragioni, di fondo, che hanno inaspettatamente fatto mancare l’unanimità attorno alla designazione di Dal Palù. Ha votato contro proprio Marina Mattarei, seguita dalla rappresentante dei giovani cooperatori Elena Cetto e si è astenuto perfino il rappresentante della potentissima Melinda.
Si sta lavorando a una candidatura alternativa. “Dobbiamo farlo, perché non abbiamo più tempo - sostiene Mattarei - Non possiamo sostenere un altro triennio in stile schelfiano, in cui queste dinamiche negative vengono lasciate andare avanti come niente fosse. Il movimento si è gravemente indebolito, ora bisogna cambiare rotta”.