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QT n. 4, aprile 2011 Cover story

Famiglie invisibili

È boom di bebè nelle coppie gay. Sempre più i giovani programmano un figlio all’interno della loro unione, in barba a leggi restrittive e anatemi vaticani. Sospesi tra stereotipi e voglia di uscire dall’ombra.

Silvia e Caterina con Andrea.

Il piccolo Andrea ha due mamme. Sofia e Matteo invece hanno due papà. Sono le nuove geometrie della famiglia. Figli nati all’interno di giovani coppie omosessuali. Figli tanto desiderati ed a lungo pianificati. Oltre centomila bambini in Italia discendono da un’unica metà del cielo. Eppure di queste famiglie nessuno parla. Nessuno le vede. È un’idea da scacciare perché suscita imbarazzo e disagio. Una spirale di solitudine avvolge questi nuclei e li condanna alla clandestinità sociale. Per squarciare questo velo di silenzio e scardinare i luoghi comuni ho vagato lungo tutta la Penisola ascoltando la voce di questi protagonisti. Perché non c’è dubbio che il fenomeno desti una certa curiosità, oltre ad una valanga di domande: chi sono questi genitori? Come vivono il loro ménage quotidiano? Come si percepiscono rispetto alle famiglie tradizionali? Cosa pensano? Silvia, Gianfranco e Marco hanno deciso di uscire allo scoperto e ci aiuteranno, con la loro narrazione, a trovare tutte queste risposte.

Un utero in affitto

Ha suscitato scalpore poco tempo fa la notizia che Elton John, insieme al compagno, sia diventato padre a sessant’anni ricorrendo ad una madre “surrogata”. Sbirciando gli articoli apparsi sui giornali, la scelta è interpretata come il capriccio di una star. “Aveva tutto, ma voleva una famiglia”, esordisce un giornalista nella sua pronta analisi. Nell’immaginario collettivo l’omosessualità è “contro natura” e condannata alla sterilità. Un gay deve riconoscere i suoi limiti senza mettersi in testa di avere dei figli. Anche se i passi avanti della scienza hanno permesso da qualche tempo di scindere la sessualità dalla procreazione con ardite tecniche di fecondazione assistita.

Ascoltando le storie di genitori gay è palpabile quanto il desiderio di un figlio si allontani dal capriccio e si avvicini invece a quella sfera di realizzazione personale che è naturale e comune a qualsiasi uomo o donna. Spesso si tratta di un progetto frutto di lunghe riflessioni. Mettere in cantiere un bimbo non è solo immaginare il colore dei suoi occhi o cosa farà da grande. Significa collocarlo in un contorno più articolato: definire chi sarà la madre biologica, come esporlo all’esterno, creare nuove parole per chiamare “l’altro genitore”. Inventarsi un modo d’essere papà o mamma senza la possibilità di sbirciare alcun copione.

Gianfranco e Tommaso con i figli.

Marco, lo chiameremo così, un giovane impiegato trentino, è legato al suo compagno da diversi anni. Insieme hanno sognato molto i loro due gemelli e fatto mille acrobazie per averli in braccio. Un percorso tortuoso, vissuto lontano dai propri cari, per cercare una madre “in affitto” che, fecondata dal loro seme, porti a termine la gravidanza e restituisca il piccolo. Una pratica che in Italia è vietata dalla legge 40 sulla procreazione assistita.

Appena metti piede nella loro casa, zeppa di ciucci e giocattoli, ti rendi conto del ciclone che ha cambiato la loro vita. Fra pianti, pappe e ruttini fare l’intervista si rivela un’impresa ardua, sebbene i due papà si muovano senza patemi e con gran disinvoltura. “Ci siamo rivolti ad un’agenzia in Canada - narra Marco -. I costi non sono elevati, perché in questo Paese la sanità è pubblica. Qui alle madri di ‘sostegno’ ricorrono soprattutto coppie etero e sterili con una legislazione molto avanzata. Così abbiamo conosciuto la splendida Jennifer, già madre di cinque figli e single, che ha portato in grembo i nostri bimbi attraverso l’ovulo di un’altra donna. Non ha mai pensato che fossero i suoi figli perché non c’è legame biologico”.

Ma come si sceglie una madre surrogata?

“Prepari un dossier ove spieghi chi sei e le tue motivazioni, allegando anche qualche foto. Questa storia personale è letta dalle donne che si offrono per tale pratica. Sono loro che scelgono la coppia, magari perché sono colpite dal tuo profilo. Con Jennifer abbiamo definito ogni dettaglio, anche l’eventualità di un aborto terapeutico. Le sue paure erano anche le nostre. Con lei siamo spesso in contatto via mail”.

Come lo spiegherete ai vostri figli? 

“Ai bimbi diremo tutto con termini adeguati all’età, anche che Jennifer non è la loro vera mamma. Non abbiamo intenzione di nascondere niente. Fra qualche anno faremo un viaggio in Canada, così la potranno conoscere”.

All’anagrafe cosa c’è scritto?

“Il Canada riconosce la doppia paternità o maternità. I bimbi sono cittadini canadesi perché sono nati là. Per la legge italiana risulta un solo genitore legale, quello biologico. È una scelta quindi che comporta non pochi problemi burocratici”.

Non pensate che sia una pratica che riduce la donna ad oggetto?

“Prima di dire ciò bisognerebbe sperimentare. Intanto le donne che prestano il loro utero, peraltro già madri, non sono delle disperate che vogliono arricchirsi. Il compenso che ricevono non cambia la loro vita. Noi abbiamo solo percepito generosità e desiderio d’aiuto. Niente a che vedere col “bunga bunga”, veline e sfruttamento femminile. Ricordiamoci che è una libera decisione e spesso queste donne la ripetono”.

Lesbiche e madri

Il colpo di fulmine scatta in ufficio. Si amano. Fanno coppia fissa da parecchi anni. L’orologio biologico inizia a dare la sveglia. Covano il desiderio di un figlio. Un sogno irraggiungibile. In Italia le porte della fecondazione assistita sono aperte per le coppie conviventi o sposate. Coppie gay e inseminazione con seme di donatore esterno sono bandite. Si sentono in trappola. L’idea gli ronza continuamente in testa. È un chiodo fisso. Leggono, s’informano, contattano l’associazione Arcobaleno. Poi Silvia e Caterina impavide si buttano: volano da un paese del Sud verso le mete del turismo procreativo. “Abbiamo scelto l’Olanda - racconta Silvia -. È stato un percorso fatto di molti dubbi e difficoltà legate alle richieste di ferie all’ultimo minuto, ai costi dei trattamenti, ai tragitti. Nel 2009, dopo un anno e mezzo di tentativi andati a vuoto, è arrivato il nostro Andrea”.

Gianfranco e Tommaso con i figli.

È un viaggio da straniere che aprono gli occhi su un Paese nuovo come lingua e cultura, ma che sentono molto più vicino al loro vissuto. Lì nessuno le mette all’indice. Lì sperimentano belle sensazioni perché possono finalmente lasciarsi andare: “Vedi per strada coppie etero o gay che si baciano tranquillamente e nessuno storce il naso o sgrana gli occhi. In clinica tutto il personale ti tratta come una qualsiasi coppia con problemi di fertilità. Durante un colloquio preliminare la dottoressa mi chiese qual era il nostro contratto matrimoniale. Ad una mia risposta ironica la traduttrice esordì: ‘Non hanno un contratto, sono italiane, hanno il Vaticano!’.

È Silvia a ricevere il seme di un donatore che il bimbo potrà conoscere solo a sedici anni. Sa che la sua famiglia è più aperta e, se lei dovesse mancare, non cercherebbe di portare via il figlio a Caterina. Oggi Silvia vive questo momento con serenità e non ci sta ad essere dipinta con i soliti stereotipi che aleggiano nelle teste eterosessuali: madri lesbiche dall’istinto materno debole e quindi un po’ fredde: “Non siamo migliori o peggiori rispetto alle madri etero. La differenza è che siamo un po’ sotto i riflettori, quindi attente ad ogni sfumatura della crescita dei nostri bimbi. Forse perché abbiamo molte difficoltà da affrontare. Alla fine in pausa pranzo finiamo tutti per parlare solo di coliche, pappe e pannolini”.

Cattivi genitori?

I dati che ci arrivano da una ricerca dell’Arcigay parlano chiaro: in Italia oltre il 20% delle lesbiche e il 17% dei gay over 40 hanno almeno un figlio. Ci sono però molti dubbi sul fatto che un genitore omosessuale se la cavi bene nel crescere un bimbo. Quali turbe potrebbe provocare costui sul suo sviluppo? Forse il pargolo, pieno di tic e insicurezze, potrebbe chiudersi nella sua cameretta perché teme lo scherno dei compagni. Oppure potrebbe diventare anche lui omosessuale. Nella peggiore delle ipotesi potrebbe subire l’attenzione morbosa di papà o mamma con vere e proprie molestie, giacché non è infrequente l’equazione gay-pedofilia. Questi sono i pensieri che frullano vorticosamente nelle menti eterosessuali. Se diamo un’occhiata agli studi condotti soprattutto oltre confine, poiché in Italia latitano, queste etichette si sgretolano una dopo l’altra. Le ricerche raccontano di bambini sereni rispetto ai loro coetanei, senza disturbi dell’identità sessuale e con regolare sviluppo emotivo e sociale. Pare, inoltre, che i genitori gay abbiano un concetto più paritario dei ruoli di cui la coppia “tradizionale” potrebbe far tesoro.

“Loro sanno che in casa spetta a tutti pulire - spiega Gianfranco, un frizzante insegnante romano quarantenne che è diventato papà di due bimbi, insieme al partner, attraverso una madre “surrogata”in California -. Non c’è la mamma che sgobba facendo tutto, mentre il papà legge il giornale. Quanto alla possibilità di fornire adeguati modelli femminili o maschili, incidono anche amici, zii, educatori. La mia bimba sta ore davanti allo specchio. Fuori i rimandi sono tutti alla sua bellezza e al suo futuro compito di cura. Tutti le regalano bambole. Il bimbo, invece, passa il tempo a fare ‘brum brum’. Questo nonostante la nostra educazione simmetrica fra i sessi”.

Lo stigma di “cattivo genitore” si appiccica con facilità agli uomini gay. Sono loro, più delle madri lesbiche, ad essere monitorati dalla gente comune quando sono alle prese con pappe e pannolini, perché privi dell’istinto materno che rende naturale, dolce e rassicurante ogni gesto di cura. Bollati come coppie tutto piume e paillettes, poco fedeli ed inclini alla promiscuità, devono sudare un bel po’ per ottenere il patentino di “buoni genitori”. Gianfranco non teme affatto di avventurarsi in un territorio appannaggio del femminile: “In ospedale, appena è nata la bimba, ci hanno insegnato come lavarla e darle il biberon. Il resto è venuto molto naturale. Le mamme rimanevano di stucco nel vederci gestire tutto con tranquillità. L’orientamento sessuale o il genere non c’entrano. Conta dare ai figli cura e affetto. Quanto a certi stereotipi, non accetto lezioni di morale. Il gay tutto discoteca, droga e sesso si è frantumato con l’Aids. Solo alcuni etero non lo vogliono capire e magari infettano la moglie andando con la prostituta”.

Disprezzo e rifiuto fanno parte dei pensieri omofobi che il mondo eterosessuale riversa addosso a chi ama lo stesso sesso. Capita che questi pensieri finiscano per aprire nel cuore dei gay qualche crepa lievitando la loro percezione di “essere sbagliati”. Sbagliati anche per realizzare un desiderio che batte forte: avere un figlio.”Quando è nato Andrea, i primi a darci addosso sono stati proprio i gay - chiarisce Silvia -. Magari quelli che vivono una doppia vita, sempre nascosti, soffrendo in silenzio. Si condannano alla sterilità per paura di perdere i genitori o chi amano. Si convincono che qualcosa in loro non va e si negano una famiglia”.

Stigma e diritti negati

Ciò che balza agli occhi nei genitori omosessuali è la loro paura di uscire dall’ombra. Basti dire che per realizzare quest’inchiesta ho contattato l’associazione Famiglie Arcobaleno, che raccoglie in Italia 170 nuclei con madri e papà gay, ma solo quattro hanno risposto al mio appello. Si diventa visibili a poco a poco. Capita che qualcuno celi il rapporto utilizzando come paravento un precedente matrimonio eterosessuale.

Svelarsi non è facile quando si sente forte il peso dello sguardo sociale. Eppure questo passo è importante per gestire un rapporto sereno con i figli. Senza sotterfugi. Perché un’identità ingabbiata si ripercuote anche sul loro benessere. C’è chi invece decide da subito di fare coming out: “Non è possibile fare un bimbo se non si è completamente visibili - precisa Silvia -. All’inizio abbiamo dovuto affrontare la nostra omofobia interiorizzata e le reazioni dei genitori. La madre di Caterina, molto cattolica, non accettava la nostra relazione alla luce del sole. Ci sono stati scontri duri, pianti e liti. Un rapporto doloroso fatto di silenzi e sensi di colpa. Alla notizia della gravidanza è stata male da finire in ospedale. Adesso è una nonna attenta e premurosa. Mia madre, dopo parecchia resistenza, quando ha preso in braccio Andrea l’ha subito amato. C’è ancora qualche imbarazzo dei nonni quando qualcuno gli chiede chi è la madre del bimbo. Le persone fuori apprezzano la sincerità e sono molto meno prevenute di quello che pensiamo. Spesso è il nostro atteggiamento ambiguo a creare diffidenza. Una volta usciti allo scoperto, tutto diventa più gestibile. In questo percorso abbiamo perso qualche conoscente ma conquistato tantissimi affetti”.

Altri rimangono sospesi in un limbo in attesa di tastare il terreno. Si muovono con passo felpato per capire che aria tira fuori. È una specie di coperta protettiva per difendere i loro bambini da eventuali attacchi esterni, di cui non conoscono la portata. Intanto si danno un bel daffare nel preparare qualche cartuccia. Questa paura me la comunica in modo limpido Marco con la sua titubanza nell’accettare l’intervista: “Finora non abbiamo mai accettato di parlare con i giornalisti, sebbene per qualche fuga di notizie ci abbiano più volte contattato. Costruiremo la nostra visibilità un po’ alla volta. Certo, ci sentiamo sotto sorveglianza speciale. Siamo la prima coppia di padri gay in Trentino Alto Adige. Capita che la gente ci chieda dov’è la mamma e allora replichiamo che noi siamo i papà. I bimbi hanno meno di un anno e la nostra esperienza sociale è ancora limitata, anche se non ci sono state reazioni negative. Le persone vicine hanno reagito con partecipazione. In famiglia d’origine il percorso di piena accettazione è lungo e non si è ancora concluso. Loro sono preoccupati per la mancanza della madre e per il futuro”.

I tasti dolenti

Anche l’inserimento scolastico è un bel banco di prova per misurare il pregiudizio. Qui devi uscire allo scoperto, stare attento alle reazioni dei bimbi perché non si sentano diversi; e parlare con educatori spesso poco attrezzati per affrontare l’impatto, che tradiscono l’imbarazzo nelle parole scandite a mezza bocca: “Quando mia figlia si recò al nido - rammenta Gianfranco - le maestre erano perplesse e smarrite, poi ci hanno dato fiducia. L’arrivo dei nostri bimbi ha messo in discussione la didattica. Hanno persino creato una fiaba ove le zebre hanno due mamme e i leoncini due papà”.

Oltre allo stigma sociale, un tasto dolente è il vuoto di tutela giuridica che carica di stress i genitori. Finché lo Stato non riconosce queste unioni, non le autorizza a sentirsi famiglia. Anzi, le imbriglia in una palude che attira discriminazione e disprezzo. Una palude da cui è difficile uscire. C’è chi si attrezza a suon di carte bollate spulciando ogni legge per avere un minimo riconoscimento del ruolo svolto dall’altra madre o dall’altro padre, quelli non biologici. Perché per l’anagrafe loro non esistono. Quindi ogni diritto sul figlio gli è negato. “Tutto ciò influisce tantissimo sul benessere psicologico familiare, - commenta Marco - al punto da non scartare l’idea di trasferirsi in un Paese ove questi diritti siano riconosciuti”.

“Abbiamo scritture private - soggiunge Silvia - in cui spieghiamo il legame d’amore che ci lega, facciamo testamento, scriviamo pagine su pagine per tutelarci in caso d’incidente, separazione, morte del partner. Insomma, non è proprio una passeggiata. Ad esempio, se la madre non biologica vuole prenderlo al nido, ha bisogno di una delega dell’altro genitore! Se il proprio compagno di una vita si ammala, il partner non ha diritto di assisterlo o di decidere su eventuali cure”.

Mentre saluto Silvia, mi viene in mente una frase dello scrittore Oscar Wilde che definiva l’omosessualità come “L’amore che non osa dire il suo nome”. C’e voluto oltre un secolo perché qualcuno trovasse il coraggio di scandire le parole per indicare il frutto di quell’amore senza dover abbassare ancora una volta lo sguardo. ?

* * *

Su questo delicato tema torneremo ad occuparci nel prossimo numero con altri interventi.

Europa: dove si può

Sì ai matrimoni gay: Belgio, Norvegia, Olanda, Spagna.

Sì alle unioni di fatto con riconoscimento giuridico tra conviventi dello stesso sesso o di sesso diverso: Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Islanda, Lussemburgo, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovenia, Svezia, Svizzera, Ungheria

Sì alle adozioni: Belgio, Gran Bretagna, Olanda, Spagna, Svezia. Islanda

Chi siamo

Famiglie arcobaleno è un’associazione nata nel 2005. È composta da uomini e donne che accettano la propria omosessualità. Alcuni hanno concepito i figli all’interno di una precedente relazione eterosessuale. Altri, single o coppie, aspirano a un figlio o hanno già realizzato questo progetto. I 170 nuclei, ove crescono più di 120 bambini, provengono da città o piccoli centri d’Italia. Lo scopo è aiutare queste famiglie a combattere l’omofobia interiorizzata e sociale, dare loro visibilità e dignità oltre che un supporto giuridico e psicologico.

www.famigliearcobaleno.org

“Una gravidanza senza storia”

Chiara Saraceno

Intervista a Chiara Saraceno

C’è chi dona lo sperma. C’è chi nel pacchetto offre il suo ovulo, magari con annesso utero in prestito. È indubbio che il tema susciti un certo turbamento e un vivace dibattito. Parlare di famiglie omogenitoriali significa riflettere sull’impatto delle nuove tecnologie che spezzano il collegamento fra sessualità e procreazione. Di questo ho discusso con la sociologa Chiara Saraceno, docente di Sociologia della famiglia presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino.

L’utilizzo delle madri surrogate è bollato dalle femministe come uso strumentale del corpo della donna. Uno corpo piegato al puro desiderio altrui. Qual è il suo parere?

“Ho una certa resistenza verso le madri surrogate. Posso concepirle se è un atto d’amore in un contesto di solidarietà, esempio la sorella o amica che offre il suo utero, perché qui intravvedo poi una storia di continuità. In alcune legislazioni la madre surrogata è consentita se non è un rapporto mercenario. Non è sempre così negli Stati Uniti. Chi dona il suo ovulo, che, fecondato, è reimpiantato in utero, ha un legame biologico col nascituro. Non mancano i casi arrivati in tribunale perché la donna non voleva più cedere il piccolo. Con questa tecnica è come se la gravidanza fosse senza storia. Manca quel laboratorio di pensiero e relazione che la madre sviluppa con il figlio in quei nove mesi. Il corpo femminile si riduce a puro contenitore. C’è anche l’auto percezione di sé come contenitore.

Cosa diversa nella coppia lesbica è la fecondazione eterologa, perché la madre lo porterà in grembo, lo allatterà. Si crea da subito un legame psicologico”.

La società è pronta per una filiazione omosessuale?

“La società è più disposta a riconoscere le coppie che la loro prole. Lo Stato nemmeno le prime. Basti la recente levata di scudi contro l’adozione ai single. Non dimentichiamo che in Italia, fino a poco tempo fa, l’omosessualità era una causa di non affidamento dei figli. La risposta che do ai miei amici gay è che non ho nessun dubbio sulla loro competenza genitoriale, anche nel caso d’adozione. Però mi metto dalla parte dei bambini, penso ai problemi che potrebbero avere in un contesto non accogliente. La stigmatizzazione è forte, specie per i padri gay. Per combattere ciò bisogna aprirsi a un concetto di famiglia allargato. Oggi ne esistono tante possibili: ricomposte, adottive, madri single, ecc...”.

Eppure tutte le ricerche non ci parlano certo di bimbi disturbati nello sviluppo...

“È vero che gli studi smentiscono ciò. Va detto però che in maggioranza sono condotti in Paesi meno omofobi. In Italia c’è ancora chi considera quest’orientamento sessuale una deviazione. Inoltre gran parte dei campioni riguardano figli concepiti in rapporti eterosessuali precedenti”.