Famiglie gay: sì o no?
Dopo la cover story del numero scorso, due interventi sul tema delle coppie omosessuali che desiderano, o hanno, figli
Un triste abbandono della propria diversità
Il tema delle coppie omosessuali che desiderano figli è complesso e delicato. Lasciamo stare le discussioni intorno ai problemi che si presenterebbero a un bambino con due genitori dello stesso sesso e concentriamoci sulla coppia. Volere un figlio è un desiderio che molte persone provano: di solito la nascita di un figlio è un’emozione straordinaria, fa ringiovanire, cementa l’amore nella famiglia. Ovviamente si può benissimo vivere senza figli. Questione di scelta, questione di libertà, si potrebbe dire. Il fatto è che la libertà assoluta non esiste e tutti facciamo i conti con qualche limite. Un limite fino a ieri invalicabile, determinato da una legge di natura, era questo: nei mammiferi la generazione avviene mediante un rapporto di tipo sessuale tra un maschio e una femmina. Non possiamo sfuggire a questa regola. Eppure la tecnica ci ha messo nelle condizioni di aggirare la modalità naturale di procreazione attraverso ardite modalità di fecondazione assistita. Se queste tecniche sono possibili per la coppia eterosessuale perché non applicarle a quelle omosessuali?
Penso che desiderare un figlio da parte di una coppia gay o lesbica significhi però scimmiottare una normalità che non si potrà raggiungere, significhi cercare disperatamente di essere tutto e il contrario di tutto. L’amore omosessuale possiede proprie e uniche caratteristiche, tra le quali non è contemplata la fecondità: se insegue questo desiderio, finirà per perdere la sua unicità. E infatti occorre cercare un utero in prestito (ma sono queste le conquiste del femminismo?) o un donatore magari anonimo di sperma, occorre permettere che il proprio figlio abbia tre o quattro genitori, che permanga una pericolosa confusione genetica, occorre non essere più pienamente se stessi. Un po’ diverso sarebbe il discorso dell’adozione di figli: in questo caso, benché anch’esso problematico, la coppia omosessuale resterebbe tale, senza sottoporsi alle artificiali e spesso umilianti tecniche per avvicinarsi alla normalità.
È sacrosanto che i gay e le lesbiche rivendichino la loro diversità, è giusto che le coppie vedano riconosciuti anche a livello normativo i propri diritti. Ma è triste dal mio punto di vista che un omosessuale non cerchi di vivere completamente la sua originalità, ma invece si affanni ad essere simile, se non uguale, agli eterosessuali. Come è triste quando, per essere libera ed emancipata, una donna deve assomigliare a un uomo; come è avvilente pensare che un africano per entrare nel mondo civile deve essere simile a un europeo bianco; e come è penoso vedere un disabile inseguire vanamente la normalità.
Ciò non significa che donne, neri, disabili, diversi (categorie che ho usato solo come esempio) non debbano avere gli stessi diritti dei cosiddetti normali. Devono essere però se stessi, non sbiadite controfigure disegnate dalla mentalità dominante.
Piergiorgio Cattani
La verità dei bambini
Mia figlia Isabella è sempre stata una bambina curiosa ed io sempre alle prese con un nuovo “perché”, impegnativo, a volte inspiegabile. Leggendo l’articolo di Marta Faita il collegamento è arrivato automatico. Ho immaginato che Isabella mi interrogasse in merito ad una fantomatica compagna di classe con due papà e nessuna mamma. Più facile forse due mamme e nessun papà. Allora vediamo: avrei dovuto argomentare che la realtà non era come le avevamo insegnato in famiglia, a scuola, ovunque, ossia che in natura esistono una mamma un papà e la prole. E già questo passaggio non sarebbe stato facile, senza cadere in contraddizione.
Ho immaginato anche le sopracciglia aggrottate, le decine di domande, di carattere sessuale, affettivo, sulla quotidianità di quei due papà e nessuna mamma. Avrei saputo essere disinvolta, esaustiva, pluralista, progressista al punto da non confinare l’idea della famiglia della compagna di mia figlia in un angolo dell’immaginario di una bambina destinato inconsapevolmente al pregiudizio, o alla discriminazione? Avrei saputo mettere al riparo la piccola incolpevole amica dalla normale curiosità, un po’ morbosa, di tutti i bimbi come mia figlia? Avrei saputo convincerla a rigettare le cattiverie della classe sull’amica e i suoi genitori ? Sarei riuscita a instillare in lei un concetto solido di normalità? Una ragione valida per affrancarla dal branco, a volte feroce, ma imprescindibile per sentirsi inseriti, accettati, nella comunità dei bambini?
Mia figlia ha 24 anni ed oggi il mondo dei bambini è cambiato. Prestano poca attenzione alle famiglie - spesso disastrate - dei compagni, molti tabù sono caduti e viviamo in un mondo globalizzato e multirazziale. Ciò che si è acuita è però l’aggressività, prerogativa che non migliora affatto il quadro comportamentale rispetto all’approccio con situazioni anomale. E quindi pensando soprattutto a loro, ai bambini, mi sono chiesta se sia veramente un gesto d’amore mettere al mondo dei figli sapendo di esporli a tutto questo, o se sia sicuramente un gesto d’amore, ma solo nei confronti di se stessi.
Elena Baiguera Beltrami