Chi ha paura delle nuove famiglie?
La questione delle famiglie omogenitoriali fa parte di un fenomeno che in Italia è già affermato ma che si stenta a riconoscere: la crisi del modello nucleare di famiglia che, come diversi studi antropologici hanno mostrato, rappresenta un ideale più che una realtà. Il modello della famiglia nucleare coniugale cede il posto a situazioni concrete estremamente variegate, come ad esempio le famiglie ricomposte, monogenitoriali o, appunto, omogenitoriali.
Partendo da questi presupposti, ogni discorso sulla famiglia deve tenere conto di questa complessità. Non si tratta, cioè, di incentivare un tipo o un altro di assetto familiare, bensì di riconoscere situazioni già esistenti e sempre più diffuse: secondo le stime più recenti, i figli e le figlie di genitori omosessuali in Italia sono circa centomila.
Essenziale, a questo punto, è compiere un cambio di prospettiva, chiarendo chi è il soggetto al centro della questione dei diritti. In linea con la giurisprudenza, il focus andrebbe posto sul principio di prioritario interesse del minore, la cui situazione di vulnerabilità è imputabile in sostanza al vuoto normativo italiano. Le testimonianze raccolte durante l’inchiesta svolta da Marta Faita (Questotrentino n°4, aprile 2011) confermano i dati delle principali ricerche italiane: l’ostacolo maggiore non è tanto la discriminazione sociale subita quanto, piuttosto, la difficoltà, da parte dei genitori, di veder riconosciuto il loro ruolo di cura e, da parte della società, di approcciarsi a questa nuova realtà in mancanza di strumenti. Si pensi, ad esempio, all’imbarazzo di un insegnante che deve inventare ex novo modalità di inclusione in situazioni codificate come può essere la festa della mamma/del papà.
La domanda sorge spontanea: come mai, tra tutte le manifestazioni alternative di famiglia, proprio quella omogenitoriale è considerata così pericolosa? È la sociologia della famiglia a suggerirci una risposta, dimostrando come il nodo della questione risieda nella differente declinazione dei ruoli di genere e delle responsabilità familiari.
La maggior preoccupazione è infatti quella di una possibile confusione del figlio rispetto alla propria identità sessuale a causa della mancanza delle due figure considerate complementari ed opposte della madre e del padre. Tale assunto, però, non tiene conto di due aspetti: da un lato, che i modelli di riferimento provengono anche dall’esterno del nucleo familiare (parenti, insegnanti, gruppi di pari...); dall’altro, che gli stessi ruoli dei genitori (padre = capofamiglia; madre = angelo del focolare) sono cambiati a seguito dell’entrata delle donne nel mondo del lavoro e nella vita politica, economica e sociale del paese.
Da questo punto di vista, si può affermare che la divisione dei compiti nelle coppie omogenitoriali è più egalitaria, e trasmette ai figli una maggiore capacità critica rispetto agli stereotipi e ai pregiudizi, nonché una minor adesione a quei ruoli tradizionali che da sempre relegano la donna in una posizione di inferiorità. Il nostro suggerimento è quindi di non vedere le famiglie omogenitoriali come un pericolo, bensì, al contrario, come un’opportunità per costruire una società più aperta e inclusiva.