LaVis, la cantina e la nomenklatura
La crisi di LaVis, gli ulteriori scandali, le ingerenze della politica, lo strano ruolo del commissario. È un’intera nomenklatura a essere implicata.
È giovane il ragazzo che mi parla: “In assemblea avevo chiesto al presidente della cantina, Giacomoni, su quanto potevo contare di rendimento della vendemmia. ‘70-80 euro a quintale’ mi aveva risposto. E allora ho fatto una serie di investimenti calibrati su entrate di 70 euro. Ora me ne danno 25. Adesso non c’è più Giacomoni, c’è il commissario Zanoni. A lui ho chiesto ragione di questo che per me è un disastro. Sapete cosa mi ha risposto? ‘Potevi pensarci, prima di fare debiti!’ Ma ha la coscienza uno che ti dice una cosa del genere?”
“Ho lavorato tutta la vita - si altera un signore più anziano - Anche di notte, prendendo tutti i lavori, anche quelli che gli altri non volevano. Per lasciare qualcosa a mio figlio. E ora questi signori ci mandano a quel paese? Ma io...” - ed esasperato fa seguire parole dure.
Siamo di sera, in una stube, con una ventina di contadini della LaVis, in uscita o già usciti dalla cantina. La rabbia è tanta. Si sentono defraudati di anni di lavoro e di tanti progetti; defraudati da gente incapace o peggio, un gruppetto di arroganti, incapaci, eppur ammanicati e ben protetti: “El Peratoner l’è sempre lì” Fausto Peratoner, direttore della Cantina e primissimo responsabile del disastro, pare inamovibile: il commissario l’ha riconfermato alla direzione di tutto il settore commerciale.
I contadini da una parte; il ceto dirigente, la casta - direttore, commissario, politici, papaveri della Federazione delle Coop - dall’altra.
È proprio così? Hanno ragione? Oppure sono troppo influenzati dagli effetti di un doloroso, ma tutto sommato fisiologico rovescio economico?
La degenerazione del sistema
La storia di LaVis è per un verso emblematica, per un altro oscura. Illumina sui rischi e le degenerazioni cui oggi è esposto il mondo della cooperazione; ma presenta anche zone d’ombra inquietanti.
Inizia negli anni ‘90 l’espansione della cantina, quando a dirigerla arriva Fausto Peratoner. Semplice enologo, ha però grandi ambizioni manageriali: “Cambiamo sistema: per tre anni dovremo investire e tener duro, poi vi prometto che le cose andranno bene” - annuncia ai soci, che approvano. Così LaVis si stacca da Cavit: prima il vino lo conferiva al consorzio di secondo grado (Cavit appunto), ora lo imbottiglia e commercializza direttamente. Un consulente milanese (il dott. Pastore) individua la strategia: vino di qualità, prodotto da terreni selezionati in funzione della loro vocazione (la “zonazione”), graduale ampliamento degli impianti conseguente agli incrementi di vendita.
Le cose iniziano ad andare bene. Nuovi soci si aggiungono, viene assorbita la Cantina della val di Cembra, le zonazioni diventano un esempio per tutta la vitienologia trentina, i vini di LaVis vengono apprezzati, la linea d’alta gamma “Ritratti” ottiene riconoscimenti.
Dal punto di vista societario si rafforza il potere di Peratoner: presidente diventa Roberto Giacomoni, suo cognato, e nei posti chiave vengono inseriti solo uomini di loro stretta fiducia. Peratoner si allarga. Ha uno sponsor politico eccezionale, Lorenzo Dellai, ed entra in competizione, anzi in conflitto, non solo con Cavit, ma anche con la confinante MezzaCorona, che politicamente fa riferimento al Patt.
E così le cantine si contendono i soci, cioè i contadini, offrendo per l’uva conferita remunerazioni sempre più alte; e si contendono anche i clienti: LaVis soffia a Cavit il grande importatore americano Gallo proponendogli prezzi molto più convenienti, per poi vederselo a sua volta soffiato da Mezzacorona. Nella guerra tra cantine aumentano i costi, diminuiscono le entrate. I contadini - per ora - ci guadagnano, e molto. I prezzi dei terreni agricoli schizzano alle stelle.
Peratoner però ha un problema: LaVis è più piccola degli altri due contendenti. Per questo spinge ad ingrandirsi, in tutte le direzioni. È una sorta di ansia, diventare più grandi, e in fretta. Forse pensa che l’appoggio di Dellai gli possa permettere tutto: raddoppia gli impianti di imbottigliamento, passa a 10 milioni di bottiglie, prima ancora di aver saturato gli impianti da 5; si lancia in una serie ampia - e scriteriata - di acquisizioni: Maso Franch, dove inaugura un albergo di lusso e un ristorante stellato (e il prof. Giorgio Daidola si dimette dal comitato Tecnico per il Settore Agricolo perché viene politicamente superata - leggi: interviene Dellai - la sua opposizione al finanziamento di un’operazione velleitaria e insostenibile); due aziende agricole in Toscana; Casa Girelli, azienda privata di imbottigliamento e commercializzazione internazionale di vino di bassa qualità; la cantina Cesarini Sforza, produttrice di un ottimo spumante.
Cesarini sarà l’unico acquisto ad avere un senso. Perché LaVis ha un secondo problema, confliggente con il primo: non riesce a vendere abbastanza. E allora l’impianto da 10 milioni di bottiglie risulta sproporzionato, le acquisizioni di aziende di commercializzazione si rivelano dei fallimenti, i continui, discutibili ampliamenti di attività vengono a gravare su una struttura che già per conto suo ha i piedi d’argilla. Quando nel 2009 arriva la crisi e i prezzi del vino crollano, tutti i nodi vengono improvvisamente al pettine.
Chi se ne accorge? Questo è uno dei problemi. “È inutile che i contadini si lamentino: sono soci, non dovevano avallare quella gestione” si sente ripetere. Ma anche la Federazione delle Cooperative, che è l’organo di vigilanza, come ha vigilato?
Sta di fatto che nel dicembre del 2009 i revisori dei conti (che sono della Federazione) redigono una relazione allarmata, che invita a dismettere le attività non strategiche. Ma un mese dopo Carlo Dallasega, che della Federazione è il direttore generale, interviene all’assemblea dei soci con una relazione del tutto tranquillizzante.
“A marzo ci hanno dato una rata (una parte del prezzo dell’uva conferita, n.d.r.) di 20 euro a quintale, che voleva dire un valore totale di 80 euro, prezzo buono in un anno difficile. Eravamo tutti contenti - ci dicono i contadini - Ma volevano solo tenerci buoni. Quando a giugno hanno iniziato a parlare di una rata di 10 euro, abbiamo capito che le cose non andavano”. Tra i viticoltori si diffonde, rapida, l’ansia. E pure tra i melicoltori, che non vengono proprio pagati. Il presidente Giacomoni ha un crollo psicofisico e si dimette. La crisi ora è ufficiale.
Gli scheletri nell’armadio
Nuovo presidente è ora Vittorio Brugnara. Già direttore della Cassa Rurale di Giovo, è vicino ai soci; e malvisto da Peratoner, che aveva brigato per impedirgli anche di entrare in consiglio di amministrazione. E difatti Brugnara si rende subito conto della situazione: soldi non ce ne sono, LaVis sta affondando, il problema è come salvarla.
Qui si apre, a più livelli, una partita confusa, molto confusa. Ufficialmente si discute se LaVis vada incorporata da Cavit oppure da Mezzacorona, ex concorrenti ora in lotta per spartirsene le spoglie. In realtà è tutto un balletto: Cavit rinuncia spaventata dai debiti di LaVis, mentre MezzaCorona si trova di fronte il no di Dellai, che da una parte non vuole perdere il suo bacino elettorale, dall’altra teme che il virus di LaVis si propaghi alla più grande MezzaCorona, già indebitata per conto suo.
Ma questo è quanto accade in superficie. Sotto traccia rimane il tema di fondo, che oltre LaVis coinvolge l’insieme del movimento cooperativo: “Ma come hanno fatto a fare tanti debiti?” si dice abbia sbottato lo stesso Dellai. Appunto, come è stato possibile? Quali le responsabilità? Quale il rapporto tra contadini e manager, tra soci e amministratori? E infine la domanda finale: adesso, chi paga?
Il presidente Brugnara dichiara di voler fare chiarezza e pulizia. Un gruppo di soci esasperati chiede di uscire dalla Cantina, e intanto si muove per intraprendere un’azione legale contro Peratoner e Giacomoni.
Ed ecco il colpo di scena: la Provincia, in quanto organo di vigilanza, commissaria la Cantina, esautorando Vittorio Brugnara e nominando commissario Marco Zanoni, segretario generale della Camera di commercio (specializzato in marketing fieristico, ne sono sconosciute le competenze in tema di salvataggio di aziende). Si poteva scegliere una strada più soft, l’affiancamento al cda di un tecnico, senza esautorare l’organo e il presidente, ma la Federazione si guarda bene dal suggerire questa soluzione. Insomma, si manda a casa Brugnara, divenuto ingombrante: fuori uno.
Frattanto anche i contadini dissidenti, cui Schelfi aveva promesso l’ostracismo se avessero persistito a voler uscire dalla Cantina, vengono accontentati una settimana prima dell’assemblea di gennaio. Gli viene concessa l’uscita e il nuovo accasamento a MezzaCorona: così, non più soci, non partecipano all’assemblea e si toglie di mezzo un’agguerrita voce critica, e inoltre si fanno cadere le motivazioni per proseguire con l’azione di responsabilità nei confronti del management. Fuori due.
Zanoni si presenta in posizione di continuità con i responsabili del tracollo. Li difende apertamente in assemblea, riserva a Peratoner una posizione dominante (a capo del settore commerciale, quello che non ha mai saputo sviluppare), tenta addirittura di recuperare Giacomoni a presidente della controllata Ethica, mette a capo di Casa Girelli l’ex vicedirettore (e responsabile contabile) Cesare Andermarcher, prosegue nell’onorare contratti capestro come quello con l’Isa, non concede ai soci l’accesso ai documenti. Insomma, il primo compito di Zanoni sembra quello di tener chiusi gli scheletri nell’armadio.
Il commissario a che gioco sta giocando?
E che ci siano scheletri, appare presto evidente. Nel numero scorso abbiamo evidenziato lo scandaloso rapporto con Isa, la finanziaria del vescovo: l’acquisto congiunto di Casa Girelli, (probabilmente nell’ottica di effettuarvi una speculazione edilizia) con una clausola demenziale, l’uscita di Isa dall’affare dopo cinque anni, vedendosi però riconosciuto, per i soldi investiti, un incredibile tasso dell’11%, al limite dell’usura. Il commissario che fa? Ad Isa riconosce il credito carpito non si sa come, al responsabile Peratoner assicura una posizione di comando, e ai soci che ne fanno richiesta nega l’accesso alla documentazione.
Ancora più scandaloso il caso della società Fine Wine International (FWI). Incorporata anch’essa in Casa Girelli, è una società di commercializzazione di vino sui mercati angloamericani, di proprietà al 98% di Ethica spa, a sua volta posseduta al 100% da LaVis. Anche qui i documenti sono chiusi in cassaforte, perché il contadino (e il socio) non devono sapere...
Si sa però che la FWI è un buco senza fondo. Siamo riusciti a conoscere i dati del 2008, quando LaVis ha fornito alla società vino per 6,5 milioni di dollari, che la FWI ha venduto per 2,3 milioni! Ma come è possibile? “Come hanno fatto?” dice appunto Dellai. Il bello è che non si tratta solo di un anno disastroso, una perdita dovuta a qualche evento catastrofico e imprevedibile, si tratta di una costante. Nell’anno successivo infatti, il 2009, a fronte di una fornitura di vino ancora sopra i 6 milioni, la FWI lo vende addirittura per meno di due. Ma che imbroglio c’è? Dove vanno a finire quei soldi? Zanoni tace.
Non è finita. C’è un’altra società di commercializzazione, spagnola, con cui si è stipulato un accordo venticinquennale con l’esclusiva per il mercato inglese. Un’esclusiva di 25 anni? Ma da quando si firmano contratti di tale durata? Il bello è che LaVis non ne può uscire, perché ha sottoscritto una clausola per cui, in caso di rescissione, pagherebbe una penale mostruosa. Che senso ha tutto questo? Se ne può sapere di più? Si possono vedere documenti, contratti? E perché mai Fausto Peratoner, responsabile di tali nefandezze, che ha dimostrato una totale insipienza, viene preposto a “direttore generale, ma solo (parole del commissario, n.d.r.) di tutto il settore commerciale”? Sì, proprio del settore commerciale, in cui ha compiuto inspiegabili disastri. Lo si mantiene lì perché rimangano a lui le chiavi degli armadi con dentro questa serie di scheletri?
Insomma il dott. Marco Zanoni, per chi e a che gioco sta giocando?
E tutto si riversa sull’intero movimento cooperativo
Il tema coinvolge l’insieme del movimento cooperativo. “Linee guida per un nuovo patto associativo” si intitolava il documento discusso all’assemblea della Federazione delle coop dell’11 marzo: in pratica era, più o meno esplicito, un tentativo di risposta a molteplici casi dei quali quello di LaVis risulta il più emblematico. E l’animato, irrituale dibattito portato avanti da decine di presidenti di cooperative di tutta la provincia, faceva continuo, esplicito riferimento ai casi tipo LaVis. “È un momento di miseria, come 120 anni fa, quando la cooperazione fu fondata: oggi è una miseria di valori - affermava Tiziano Salvaterra del Consolida - La cooperazione ne dovrebbe essere un antidoto, perché per definizione mette insieme individui che vogliono fare le cose insieme. Ma attenzione, anche noi non siamo immuni”.
Di qui la richiesta di una “profonda riorganizzazione del sistema”, quando non di una “rifondazione”. Individuando come centrale un punto critico: la scarsa capacità di incidere dei soci, in balia delle scelte di manager che di fatto detengono le leve del potere interno.
“È tutta colpa di noi soci - commentano sarcasticamente i contadini nella stube - Un’assemblea convocata dopo mesi di preparazione e di studi, per dire cosa? Che se le coop vanno male, è perché i soci sono ignoranti”.
In effetti il documento presentato da Schelfi pone al centro del suo rinnovamento una maggior formazione dei consiglieri d’amministrazione e dei soci. Nell’ottica per cui soci più preparati e consiglieri in grado di leggere i bilanci controllano i manager.
Ma le vicende di LaVis ci parlano di un altro mondo. Il socio che chiede documenti si trova di fronte le porte sbarrate: come abbiamo denunciato nel numero scorso, al socio che chiedeva i contratti di LaVis con Isa e FWI, il commissario Zanoni ha risposto di no. Quelle carte se le tiene per sé. E purtroppo ha ragione. Il codice civile prevede che il socio possa accedere solo ai bilanci, ai verbali delle assemblee, al libro dei soci. Cioè praticamente a niente: conoscendo come sono fatti i bilanci, anche con il supporto di un commercialista un socio, se non può accedere ad ulteriore documentazione, non ha contezza delle dinamiche aziendali. Insomma, non ha poteri.
Potrebbe rivolgersi a un membro del cda. Che invece, essendo responsabile anche dal punto di vista patrimoniale dell’andamento della cooperativa, ha un più ampio accesso alla documentazione. Ma anche qui esiste l’inghippo, utilizzato da tutte le società che vogliono sfuggire ai controlli: costruirsi un sistema di scatole cinesi. E così ha fatto LaVis: si è costruita Ethica, una spa controllata al 100%, e le ha fatto gestire tutti i rapporti pelosi con Isa, con FWI, con la controllata spagnola. E così non solo il socio si trova tagliato fuori, ma anche il consigliere. E allora si vede che la formazione, per quanto sacrosanta, è uno specchietto per le allodole.
Ma non è finita qui. Come abbiamo visto, i dirigenti che hanno portato LaVis alla rovina e il commissario Zanoni, sono pappa e ciccia. Di più: lo stesso presidentissimo Diego Schelfi, come sottolinea anche il blog www.cooperatoritrentini.it riprendendo il nostro articolo del numero scorso, versa in un macroscopico conflitto d’interessi: già presidente di Isa, ne è ancora consigliere d’amministrazione, e si trova quindi a decidere se tutelare gli interessi della finanziaria del vescovo o della cantina dei contadini (finora ha prevalso il vescovo, guarda un po’).
Insomma, siamo in presenza di una nomenklatura, di una casta di dirigenti che vicendevolmente si spalleggiano, occupando ora questa ora quella poltrona, ora entrambe. E tagliano fuori la base sociale anche dalla semplice conoscenza dei fatti.
Per questo è impensabile risolvere la crisi della cooperazione con pannicelli caldi come qualche corso di formazione a gente che tanto non conterà nulla; o dando, come ancora vorrebbe Schelfi, più possibilità di intervento sulle singole coop alla Federazione, quando si è visto che male utilizza quelli che già ha, visto che revisiona i bilanci della LaVis ma poi dice che va tutto bene, per non scontentare Peratoner e Giacomoni, che sono amici e amici degli amici.
A questo punto, occorrerebbe, come ha sostenuto Giuliano Beltrami all’assemblea della Federazione, una rifondazione del movimento, che per iniziare rompa l’omertà di casta (“Ma le regole si applicano? C’è mai stata una sanzione?” ha chiesto Beltrami), si dia regole di trasparenza (per esempio impedendo il sistema delle scatole cinesi) e redistribuisca il potere alla base sociale.
“Per avere il bilancio, dopo che alla cantina mi avevano preso in giro per settimane, sono dovuta andare in Camera di Commercio! A questo siamo ridotti noi soci - ci dice indignata una viticultrice di Cembra - Sugli ideali cooperativi, non stiano a raccontarmi storie”.