Comunità di valle: scommessa o azzardo?
Sarà domenica 24 ottobre il giorno delle elezioni per le Comunità di Valle. Oggetto misterioso della politica trentina. “Se ne sa poco” è il ritornello. Vero. Ma non è solo deficit di comunicazione. Il punto è che si tratta di una nuova istituzione, di cui neanche gli addetti ai lavori sanno se, come, e quando funzionerà. “Una bella sfida” dicono i più ottimisti, “una scommessa” i titubanti, “un atto di irresponsabilità” gli scettici. Insomma, di sicuro sarà un passaggio molto difficile. Per averne qualche consapevolezza ne parliamo in queste pagine.
Il problema nasce dall’esigenza di ovviare a due caratteristiche non commendevoli del sistema Trentino: da una parte l’accentramento nelle braccia di mamma Provincia, dall’altra la frammentazione nei troppi campanili, 218 Comuni anche piccoli, piccolissimi e magari distanti due chilometri.
La Provincia Autonoma infatti, è un ente pigliatutto: non solo gestisce un’ampia serie di competenze che nelle altre province e regioni sono appannaggio dello Stato, ma anche ulteriori competenze, nel resto d’Italia in capo ai Comuni. Trento, affrancatasi da Roma, è quindi centralista nel suo territorio, al punto che i Comuni trentini fin dagli anni ‘80 sono stati definiti “di serie B” da autorevoli costituzionalisti.
Di converso, la debolezza dei Comuni nasce dalla loro frammentazione. Che aveva un senso quando, in una realtà fortemente caratterizzata dall’incombere dell’orografia, il paese era una piccola comunità chiusa, i rapporti con l’esterno scarsi e difficoltosi, il senso di appartenenza fortissimo. Oggi, con l’esplodere della mobilità, dei contatti, delle esperienze, anche nelle valli i rapporti personali e di lavoro, gli affari come il tempo libero non hanno più una dimensione paesana, ma (almeno) valligiana. L’orizzonte è ormai, nella vita e negli interessi delle persone, ben oltre il campanile. E quindi i Comuni, troppo piccoli, non sono più all’altezza delle esigenze. A iniziare dalla necessità di gestire servizi, vedi per esempio il ciclo dei rifiuti, sempre più complessi.
Ed ecco quindi il tentativo del centrosinistra negli anni ‘90 di arrivare a delle unioni di Comuni; e più recentemente l’iniziativa di alcuni Comuni di praticarla loro, questa unione (sei comuni della Val di Ledro unificatisi in uno solo; e così per Ponte Arche-Lomaso; fallita per un soffio, per il referendum perso in uno solo dei Comuni l’unificazione nel Primiero). Ora invece arriva da Piazza Dante il progetto delle Comunità di Valle.
Sono enti intermedi, tra Comuni e Provincia. Come i Comprensori? “No, non come i comprensori” si risponde subito, memori del penoso fallimento del precedente ente intermedio. Avranno in più la legittimazione dell’elezione diretta, dell’Assemblea e del Presidente; e nuove competenze, in parte devolute dalla Provincia, in parte dai Comuni. Quindi le differenze con i vituperati comprensori ci sono, si tratta effettivamente di un progetto nuovo. Ma le perplessità rimangono.
E se la Consulta li boccia?
Il primo dubbio è radicale: che tutto sia inutile, elezioni, assemblee ecc, perché a forte rischio di invalidamento da parte della Corte Costituzionale. L’art. 114 della Costituzione infatti, individua tassativamente gli enti territoriali, escludendone la costituzione di nuovi eletti direttamente. E in tale senso la Corte si è già espressa nel 1988, dichiarando illegittima la legge provinciale che prevedeva l’elezione diretta dell’assemblea comprensoriale.
Evidentemente in piazza Dante si sapeva dell’ostacolo, e si è pensato di aggirarlo: di qui il curioso inghippo per cui l’Assemblea della Comunità di Valle è composta da membri per due terzi eletti dai cittadini e per un terzo nominati dai Comuni. Un escamotage suggerito da consulenti all’uopo ingaggiati, della cui efficacia “non possiamo essere sicuri - ammette Luca Zeni, capogruppo in Provincia del Pd - Noi abbiamo cercato di garantire l’autorevolezza dell’organo attraverso l’elezione diretta dei due terzi, e al contempo la legittimità con il terzo in capo ai Comuni”. Ma sarà la Corte a decidere. Per intanto si registra che il meccanismo ha generato in diversi casi assemblee pletoriche, al limite del ridicolo, fino a 99 seggi (ad esempio nelle Giudicarie, un seggio a ciascuno dei 33 Comuni, e poi il doppio, 66, da attribuire con il voto).
La seconda perplessità, in parte connessa con la prima, riguarda le competenze. Come dicevamo, il disegno prevede che ci siano competenze che la Provincia trasferisce alla Comunità (o meglio ai Comuni, con l’obbligo di gestirle in maniera associata nella Comunità) e competenze proprie dei Comuni che da essi vengano trasferite alla Comunità. Un parallelo spogliarsi di poteri da parte di Pat e Comuni, per poterli gestire in maniera decentrata (da Trento alla Comunità) ed associata (dal Comune alla Comunità, dal paese alla valle). ciata (dal Comune alla Comuni
Difficile andar d’accordo: il caso delle Giudicarie
Questa la teoria. La prassi si profila molto più complessa. Questo percorso infatti è burocraticamente complicato, prevede accordo tra i Comuni della Comunità, convenzioni tra la Comunità e la Provincia, il tutto possibile solo in presenza di una generale concordia e una forte determinazione politica sulla necessità di passare a una gestione comune. Solo che non stiamo parlando di cosucce da niente: si parla di gestione del territorio, urbanistica, idee sullo sviluppo, e anche, e soprattutto, soldi. L’urbanistica, si sa, nei Comuni significa stabilire chi costruisce e chi no, chi specula e chi paga, insomma vuol dire soldi e potere.
Ora, una gestione concorde di tale nodo si può ragionevolmente prevedere - se non ci sono sindaci che si mettono di traverso - in zone omogenee, in comunità (il Primiero per capirci) piccole e con realtà sociali e interessi economici convergenti, posto che i diversi Comuni non avrebbero interesse a contrapporsi l’uno con l’altro. Purtroppo le Comunità di Valle, invece, sono state disegnate disdegnando queste considerazioni. Il caso più clamoroso sono le Giudicarie, in cui la realtà economica non è omogenea (industriale-artigianale nelle Giudicarie e turistica nella Rendena) e la gestione del territorio ha una valenza economica con tali differenze (Campiglio e Baitoni per capirci) da non rendere realisticamente ipotizzabile una soluzione condivisa. Per essere chiari ben difficilmente i Comuni della Rendena (da Spiazzo a Campiglio, passando per Bocenago, Giustino, Massimeno, Caderzone e rispettive Asuc, oltre che le comunità delle regole Spinale Manez che gestiscono i territori dell’alta valle fino a Campiglio) potranno accettare che siano tutti gli altri Comuni, certamente maggioranza nella Comunità di valle, i cui interessi e la cui realtà economica è ben diversa, a decidere l’urbanistica sul loro territorio.
Questo contrasto era prevedibile: e difatti nel 2009 si era tentato di staccare la Rendena dalle Giudicarie creando un’autonoma Comunità attraverso un referendum, duramente osteggiato da Dellai e fallito per mancato raggiungimento del quorum. Ma perché questa opposizione di Piazza Dante? Perché la Rendena veniva vista come il possibile inizio di una frana. Infatti, oltre a quella delle Giudicarie, anche la Comunità della Val di Non è troppo grande e disomogenea (i Comuni agricoli e quelli turistici); anche l’Alto Garda (che c’entrano Ledro e Tenno con Riva ed Arco?); per non parlare di Rovereto, che non gradisce proprio (e il sindaco Miorandi l’ha detto senza fronzoli) che sul proprio sviluppo vengano ad interferire gli altri più piccoli Comuni della Vallagarina.
Ma allora, il problema forse non erano le smanie dei rendeneri, bensì l’impianto delle Comunità. “Non si può continuare col troppo piccolo, d’accordo. Ma nemmeno approdare al troppo grande, e soprattutto al disomogeneo” afferma Rolando Mora, consigliere comunale di Ledro e a suo tempo promotore del (felice) progetto del Comune unico di Ledro; che unificò sei Comuni, per ora trovarsi affogati in una strampalata Comunità con Riva, Arco e Torbole. “Il fatto è che la Provincia (intesa come momento politico, non come struttura tecnica che invece ci ha dato un decisivo supporto) non ha mai investito sull’unione dei Comuni - prosegue Mora - E ora, nel passaggio alle Comunità, non pone l’enfasi sulle competenze trasferite dalla Pat alle Comunità, ma su quelle trasferite dai Comuni. Col rischio che i Comuni trentini, dall’attuale serie B passino alla C”.
Che tutto il percorso approdi a uno svuotamento dall’interno dei Comuni, a noi pare realistico. E l’obiettivo in sé non ci scandalizza. Il punto sta nell’estrema incertezza di questo percorso, e nella vaghezza dell’approdo, allo stato estremamente confuso.
Il fatto è che le Comunità traggono origine da un compromesso tra due posizioni distanti, per non dire contrapposte. Da un lato quella della Margherita, che voleva un ente intermedio tra Comuni e Provincia ad elezione diretta, e dall’altro quella dei Ds che intendeva invece eliminare i comprensori, per un’architettura istituzionale basata su Provincia e Comuni, con l’obbligo per questi ultimi di consorziarsi per gestire i servizi e la possibilità di fondersi in un solo Comune (questa la visione nobile e - per noi - assolutamente condivisibile, poi in realtà i Ds, alla ricerca di popolarità tra i sindaci, finirono con il farsi sostenitori dell’intangibilità dei Comuni così come erano). Comunque, a fronte dell’impossibilità di trovare una soluzione tra chi riteneva necessari 3 enti istituzionali e chi 2, si è arrivati all’attuale pateracchio: un ente intermedio ad elezione parte diretta e parte indiretta, a forte rischio di incostituzionalità, con un tortuoso percorso di acquisizione e gestione dei poteri, disegnato sul territorio indipendentemente dalle funzioni che poi dovrebbe svolgere.
“Realisticamente non possiamo pensare che le Comunità funzionino alla perfezione a partire dal 25 ottobre - ammette Luca Zeni - Ci sarà bisogno di un grosso lavoro politico di mediazione, e culturale, perché le Comunità dovranno pensarci come tali, e non come somma di campanili. D’altronde questo percorso è già iniziato, oggi i rifiuti vengono praticamente da tutti i Comuni gestiti in maniera integrata”.
La lettura di Mora è ben diversa: “Sì, proprio perché questa spinta c’è, bisognava puntare sull’unione dei Comuni. Invece si è puntato sulla creazione di un nuovo ceto politico. Lo vediamo in questi giorni: i problemi che nei Comuni erano civici, nelle Comunità diventano politico-partitici, la formazione delle alleanze che replicano quelle provinciali, le candidature di vertice, le spartizioni preventive tra i partiti, indicano l’obiettivo. Più persone nella politica, più legate alle dinamiche provinciali. E più costi: le Comunità saranno le sanguisughe della Provincia”.
“È vero, le Comunità non sono percepite positivamente dai cittadini - conclude Zeni - I vantaggi di una visione più ampia nella gestione dei problemi locali, finora non li abbiamo saputi comunicare”.
I candidati che possono sperare
Ne possiamo dare la valutazione che vogliamo (vedi l’articolo precedente) ma un dato è certo: non solo gli schieramenti, ma anche le candidature sono state decise a Trento, nelle segreterie. Anche un partito come il Pd, che ha fatto delle primarie e della propria - relativa - permeabilità un punto fondante, non certo secondario negli ultimi successi locali, si è guardato dal tenere le primarie. Anzi, talora ha contraddetto (masochisticamente?) le indicazioni dei territori; come nel caso delle Giudicarie, dove non ha sostenuto il nome nuovo e forte dell’avv. Tullio Marchetti, proveniente dall’Ulivo e senza tessere di partito ma soprattutto senza incarichi che potessero vincolarlo al potere politico.
Detto questo, è evidente il diverso gioco del centrosinistra e del centrodestra: il primo unito nella convinzione di vincere praticamente dappertutto; il secondo, datosi per perdente, diviso da subito, o per totale mancanza di guida politica (Pdl), o per volontà di marcare almeno il territorio con il proprio simbolo (la Lega).
Il centrosinistra, unificatosi a livello di segreterie, si è spartito le Comunità: col Pd che, per debolezza o per eleganza, ha deciso di non far valere ancora (dopo la conquista dei sindaci nelle città) il proprio primato, lasciando agli alleati Patt e UpT (o come si chiama la creatura di Dellai) la maggioranza dei candidati a presidente. Un principio è stato conclamato: rinnovamento. Niente riciclati, niente ex-presidenti dei comprensori riposizionati come presidenti delle Comunità, niente trombati alle comunali. Dalle parole ai fatti non si è stati pienamente conseguenti: ci sono un paio di presidenti autorizzati a continuare il mestiere con differente cappello, ci sono degli ex. Ma in effetti pochi. Dei 66 sindaci non rieletti, nessuno candida alla presidenza, un’esigua minoranza è in lista per le Assemblee. E più in generale l’età dei candidati è inusitatamente bassa. Al punto da far sorgere il dubbio opposto: che si sia puntato su nuove leve perché “tant, el sarà tut en casin”. Di sicuro non abbondano nomi di un certo prestigio nella società civile, e in alcune situazioni non li si è scelti apposta, per non turbare i manovratori. D’altronde la politica in questa fase gode di scarsa popolarità, e con una certa dose di buona volontà ci si può accontentare di un deciso rinnovamento come questo, anche se non particolarmente qualificato.
Vediamo nel dettaglio i profili dei candidati più significativi, ritagliando uno spazio a molti dell’area ambientalista, che rappresentano esperienze in genere interessanti ma marginalizzate dalle forze politiche dominanti.
FIEMME
Walter Cappelletto (centrosinistra): Uomo di paglia dell’assessore Mauro Gilmozzi, per 6 anni poco brillante come sindaco di Cavalese, è stato imposto dal suo boss, che ha pensato di respingere diverse candidature più qualificate. Il Pd, particolarmente inetto, ha prima accettato tutto, poi ha pasticciato nella presentazione della propria lista, che rischia di essere assente, vanificando il grosso vantaggio di partenza.
Luca Moser (PdL): Dietro a lui, uomo di Comunione e Liberazione, già assessore a Cavalese, fino a un mese fa era unito tutto il centrodestra con quattro liste civiche. Poi Pdl e soprattutto Lega hanno voluto imporre il proprio simbolo, mandando tutto all’aria. Gli sono rimaste due liste civiche di discreto appeal tra l’area cattolica e anche tra la sinistra sbandata.
Gianfranco Deppi (Lega): Debole il candidato, debolissima la lista. Della serie: quando la Lega si fa male da sola.
Gigi Casanova: Sostenuto da una lista ambientalista e di sinistra, aveva tentato di concordare il programma con il Pd che, dopo i primi approcci, ha lasciato perdere per non irritare il boss Gilmozzi.
PRIMIERO
Cristiano Trotter (centrosinistra): È l’uomo del potere, legato al mondo impiantistico e al settore turistico. Fin da dirigente del Parco Naturale di Paneveggio-Pale di San Martino, si segnala per l’attivismo e le interpretazioni del proprio ruolo e di quello del Parco. Come premio diventa prima presidente del comprensorio, e ora, ubbidiente a Dellai, prossimo presidente della Comunità.
Daniele Gubert (ambientalista): Figlio del senatore Renzo, è stato uno dei grandi animatori delle lotte ambientaliste in Primiero. Persona libera che alle comunali ha guidato a Tonadico una lista civica che ha ottenuto un notevole successo: simbolo uno spaventapasseri.
ALTIPIANI CIMBRI
Michele Ciech (centrosinistra): Espressione del Pd funiviario ed edilizio dell’assessore Olivi (e prima di lui del consigliere Rella), egemone a Folgaria e dintorni, doveva vincere in carrozza. I pasticci burocratici lo hanno azzerato. A meno di ricorsi al Tar.
Bruno Marzari (Lega): Tra i primi fondatori della Lega, era un outsider dalle probabilità nulle. Con gli annullamenti burocratici rischia di vincere.
Michael Rech (civica): Lista di giovani impiantisti, di finta alternativa al potere edilizio-funiviario di Olivi. Ora si gioca il seggio con i leghisti.
Daniele Ciech (ambientalisti): Lista battagliera, contesta lo sviluppo a misura di funivia e speculazione. È stata eliminata con un inghippo molto discutibile, in quanto sembra sia stato proprio il segretario comunale di Folgaria a negare il timbro sul secondo foglio sostenendo che fosse superfluo, contro le insistenze dei presentatori. Se non c’è un dietrofront dal Tar, è prevedibile una denuncia.
VALLAGARINA
Stefano Bisoffi (centrosinistra): Presidente uscente del Comprensorio, ex-sindaco di Trambileno, non è un uomo nuovo, secondo i canoni promessi dalla sua coalizione. Ma forse in una Comunità particolarmente difficile, dove bisognerà comporre le contraddizioni tra le esigenze di Rovereto e quelle degli altri centri, un uomo di esperienza può essere utile. Non gli sarà agevole raggiungere il 50% al primo turno, ma parte largamente favorito, anche perché supportato pure dai Verdi.
ALTO GARDA
Salvador Valandro (centrosinistra): Segretario del Pd rivano, ne rappresenta il profilo innovativo: giovane e che si spende per le politiche e aggregazioni giovanili. Attorno a lui il centrosinistra è riuscito ad aggregare anche Italia dei Valori, Verdi, Sinistra Unita e la civica Bene Comune.
VALLE DEI LAGHI
Luca Sommadossi (centrosinistra): Direttore della Comunità Murialdo, attivo in genere nel volontariato sociale, è un altro dei volti nuovi del centrosinistra, che lo ha preferito al gruppone degli ex-sindaci. È supportato da più candidati che non tutti gli altri contendenti messi insieme.
ROTALIANA
Gianluca Tait (centrosinistra): Giovane imprenditore di Faedo, del Patt, assessore della Comunità uscente. Insomma la linea verde della coalizione provinciale, che però si è complicata la vita su un tema più corposo dell’anagrafe dei candidati, l’inceneritore. L’assessore Panizza è piombato a Lavis per ordinare la sordina alle manifestazioni contro il megaimpianto: su questo non ha ottenuto niente (manifestazione a Trento alla vigilia del voto), sull’esito al voto peserà il contemporaneo harakiri della destra.
Lorenzo Lorenzoni (civica): Medico, storico avversario dell’inceneritore, assessore a Lavis nella giunta anomala Patt-PdL-Civica, era il naturale candidato del centro-destra. Che però anche qui è riuscito a spaccarsi.
Denis Paoli (Lega): Lista molto debole, l’unico senso è convergere su Lorenzoni in caso di ballottaggio.
Luciano Bocchi (ambientalista): Dirigente dell’azienda sanitaria, viene dall’esperienza di Solidarietà e ora di Sinistra e Libertà: la lista risulta particolarmente motivata dalla tematica dell’inceneritore.
PAGANELLA
Donata Sartori (centrodestra): Imprenditrice e vicesindaco di Molveno, appoggiata dal consigliere provinciale PdL Walter Viola, doveva vedersela con l’autonomista Ruggero Ghezzi. Un pasticciaccio di timbri e firme nella lista del rivale sembra averle spianato la strada.
CEMBRA
Aurelio Michelon (centrosinistra): Di area Patt, ex sindaco (1995-2005) di Giovo, non dovrebbe avere problemi, visto che gli autonomisti possono schierare pezzi grossi come Cesare Pellegrini, presidente dei ciclisti della Montecorona e del Comitato Festa dell’Uva. Peraltro il Pd cembrano si è dato un nome d’altri tempi, anche se in linea con le esigenze più sentite oggi, “Lavoro val di Cembra”. Difficile pensare che Mario Casna, ex sindaco di Albiano ed attuale consigliere provinciale leghista, possa arrivare al ballottaggio.
VAL DI SOLE
Flavio Mosconi (centrodestra): Democristiano di antico pelo (braccio destro addirittura di Flavio Mengoni e all’epoca presidente dei presidenti dei comprensori), personaggio molto discusso (con QT ha avuto negli anni ‘80 una bella serie di scontri giudiziari, quando lo accusavamo di boicottare, da sindaco di Vermiglio, le aziende che non stavano al suo gioco) poi poco brillante (come tutti del resto) consigliere provinciale del PdL. Nonostante l’età non verdissima, in piazza è ancora uno spudorato demagogo, e nelle stanze chiuse un abile tessitore: in tutta la provincia è l’unico candidato che è riuscito ad unire il centro-destra, e parte favorito anche senza i harakiri burocratici degli avversari.
Alessio Migazzi (centrosinistra): Giovane (28 anni) imprenditore delle comunicazioni, è stato segretario di Grisenti. Titolo discutibile, bilanciato però da una serie di attività nel mondo culturale che lo rendono uno dei volti nuovi del centro-sinistra, preferito a una schiera di notabili.
Alberto Pasquesi (sinistra): Medico, “foresto” in quanto di Modena, si è speso sui temi dell’alcolismo giovanile e in generale all’interno di un gruppo di discussione.
VAL DI NON
Sergio Menapace (centrosinistra): Trentacinquenne direttore dell’ispettorato agrario, di area Patt ma senza eccessive caratterizzazioni, poco conosciuto. È favorito ma se verrà eletto avrà le sue gatte da pelare in una Comunità che si preannuncia problematica.
GIUDICARIE
Patrizia Ballardini (centrosinistra): È forse il caso più emblematico - vedi all’inizio dell’articolo - di candidatura calata dall’alto, a prescindere dalle indicazioni del territorio e a premiare del personale contiguo al vertice politico. La Ballardini infatti è consulente della Pat, e siede nel CdA di Trentino Sviluppo.
ALTA VALSUGANA
Mauro Dallapiccola (centrosinistra): Libero professionista di area Patt, assessore a Baselga di Pinè, volto relativamente nuovo, è appoggiato da ben cinque liste, compresi Ecologisti e Verdi.
BASSA VALSUGANA
Sergio Dandrea (centrosinistra): Trentasettenne ingegnere, coordinatore dell’Upt locale, sostenuto dalla coalizione al governo provinciale in una terra per lei problematica.
Lorenzo Rigo (ambientalista): insegnante di religione, si è impegnato nelle recenti contestazioni alla gestione ambientale della valle.