Comunità: sì o no?
La Lega è partita in quarta: dichiarato ammissibile il referendum sulle Comunità di Valle, si è all’improvviso trovata rigenerata. Abbacchiata dai tristissimi mesi del bunga bunga, dalla successiva rabbiosa ma poco comprensibile opposizione preventiva a Monti, e a livello locale dall’inconcludenza dell’opposizione a Dellai, si è finalmente trovata un obiettivo vero su cui attaccare e mordere.
Le Comunità infatti sono facilmente diventate il simbolo di molto di quello che non funziona in politica: più burocrazia, maggior distanza (rispetto ai Comuni) dal cittadino, e soprattutto più soldi alla casta, che con la giostra delle Comunità si è di botto allargata. Poi a soffiare sul fuoco del malcontento si sono messi, di nascosto ma anche apertamente, i sindaci. E sindaci vuol dire soprattutto Upt, il partito di Dellai. Ecco quindi il referendum puntare dritto al cuore dell’attuale sistema politico trentino. Il tema in effetti è una matassa ingarbugliata. Della quale però si può venire a capo.
Le Comunità nascono da un’esigenza sacrosanta: l’accorpamento dei troppi (217) e troppo piccoli Comuni (la metà sotto i 1000 abitanti, solo 14 sopra i 5000). Hanno avuto una preziosa funzione storica, organizzare le comunità anche piccole in un territorio aspro e scollegato; oggi, quando tutti hanno l’auto e in venti minuti si attraversa una valle, non hanno più senso, la gente non si incontra all’ombra del campanile, si organizza per interessi e affinità che non sono legate al mero piccolo territorio. E i Comuni, rimasti piccoli, non riescono a soddisfare se non malamente e a costi esorbitanti, i servizi e compiti richiesti oggigiorno.
Ma la casta, nei suoi livelli di base, sindaci e assessori comunali, si vedrebbe drasticamente ridotta di numero, ed ha quindi detto no. Ed essendo forte nei partiti, dal momento che ne costituisce la diramazione periferica, è riuscita a bloccare qualsiasi progetto di riforma.
Di qui l’idea sottesa alle Comunità di Valle: non accorpiamo i Comuni, li svuotiamo, creando un ente con più competenze, più risorse, una territorialità più logica.
Il progetto però è rimasto a metà. La sovrapposizione di tre livelli (Comuni, Comunità, Provincia) si è dimostrata un pasticcio ed ha subito creato penosi conflitti di competenze; in compenso ha anche creato un ampliamento del ceto politico, cosa giustamente pochissimo popolare. E infine i sindaci, mangiata la foglia, si sono messi vigorosamente a remare contro.
In questo contesto è piombato il referendum leghista, che ha gettato Dellai nello sconcerto. Al punto da fargli ventilare l’ipotesi di far campagna per l’astensione, con lo scopo di vincere accreditandosi il non voto. Scelta che sarebbe istituzionalmente rovinosa: come può un ente, già poco popolare, sopravvivere se neanche chi l’ha creato ci mette la faccia per difenderlo?
Per fortuna sono scesi in campo una serie di opinion leader a mettere le cose in chiaro. Fra tutti riportiamo la posizione di Ermanno Monari, segretario della Uil, storico avversario della riforma, costosa e pasticciata, che ha partorito le Comunità. “Ora le Comunità ci sono, vanno riformate, snellite, rese meno costose e fatte funzionare. Non si cambiano scelte istituzionali di rilievo ogni due anni. E soprattutto non si può impunemente ritornare a un assetto antistorico come quello dei 217 Comuni”.
Sottoscriviamo in pieno.