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QT n. 4, aprile 2010 Cover story

Rovereto, quale città e quale sindaco?

La prima città industriale, l’“Atene del Trentino”, di fronte a crisi, crescita demografica, immigrazione. I dati della nuova realtà e le risposte dei candidati a sindaco.

Antiche case lungo il Leno.
Foto Marco Parisi.

“Non vogliamo una città da 50.000 abitanti”. Questo è il mantra che a Rovereto nei consigli circoscrizionali, commissioni urbanistiche, riunioni di partito, tutti ripetono. Un po’ come quando, un po’ di anni fa, uno studio demografico aveva previsto un Trentino del 2020 da 600.000 abitanti; e tutti a ridere di quei demografi da strapazzo, figuriamoci, siamo in 450.000, mai saremo in 600.000, e se lo fossimo, sarebbe una sciagura. Bene, nel 2010 il Trentino supererà i 530.000 abitanti, con un incremento che porta drittto dritto ai 600.000 nel giro di altri dieci anni. E Rovereto? “Una città ferma. Ed è bene che sia così” diceva il Piano Regolatore di fine secolo, con la città ferma da un decennio a quota 33.000; ma invece poi le cose si sono mosse, oggi i roveretani sono 37.500, con un incremento costante di 500 unità all’anno.

Popolazione residente nel Comune di Rovereto e nella Provincia di Trento. Da notare l’impennarsi degli incrementi a partire dal 2001 per la provincia e dal 2003 per Rovereto.

Ma questo aumento, non travolgente ma costante, a cosa è dovuto? Cosa porta e dove porterà? È controllabile? Ci si sta attrezzando di conseguenza?

È a partire da questi temi, a dire il vero sottaciuti, che vogliamo parlare della città di Rovereto e delle prossime elezioni a sindaco.

Sui motivi della crescita demografica, è molto chiaro il prof. Antonio Schizzerotto, ordinario a Sociologia, che nell’Osservatorio per l’Economia, il Lavoro, la Domanda sociale studia questi fenomeni: “Il Trentino gode di una situazione occupazionale molto privilegiata; a parte le contingenze di questa crisi, i tassi di disoccupazione sono di pochi punti percentuali, il che è dovuto a persone che si spostano da un lavoro all’altro; insomma, c’è un’offerta di lavoro superiore alla domanda”. In questo contesto è chiaro che il Trentino e Rovereto, dove per di più c’è una situazione di buona vivibilità, attirano forza lavoro, dal resto d’Italia e dall’estero.

Di qui quindi anche l’arrivo di immigrati, particolarmente presenti in alcuni settori (industria dei trasporti e della gomma) della robusta zona industriale di Rovereto. “Gli immigrati poi, più e prima dei trentini, tendono a formare famiglie e a fare figli” prosegue Schizzerotto; ed ecco spiegato come a Rovereto, nel 2008, l’11% della popolazione (salita all’11,8 nel 2009) fosse composta da stranieri, contro il 9,5% di Trento, l’8% dell’insieme del Trentino o il 6,2% dell’Italia. E sono più giovani dei roveretani doc, e in genere più dinamici. “Dobbiamo prestare molta attenzione - avverte Fabrizio Rasera, PD, presidente del Consiglio comunale - per evitare una contrapposizione tra una popolazione roveretana invecchiata e timorosa, e i nuovi arrivati”.

Insomma, il problema demografico nasce dalle esigenze dell’economia e diventa uno snodo sociale.

Diventiamo troppi. Si può fare qualcosa?

zona industriale di Rovereto

Ma su queste dinamiche si potrebbe influire? Sulla quantità e qualità dei posti di lavoro, vediamo dopo. Sulla composizione della popolazione invece diamo ancora la parola a Schizzerotto: “Se si vuole incrementare la quota di popolazione autoctona, si può, perché aumentare la natalità è possibile: basta attuare politiche a favore della famiglia (conciliarne i tempi con quelli di lavoro, per cui una donna è facilitata ad essere mamma e lavoratrice) e dell’infanzia (asili nido, spese scolastiche, casa per giovani coppie ecc). E su questa strada sembra, in linea di massima, volersi muovere la giunta Dellai. Poi, se invece si riservano più risorse agli anziani rispetto ai giovani, ovviamente la natalità ristagna”.

Ma l’immigrazione, la si potrebbe arginare? “Ci sono realtà del Nord che in effetti attuano politiche restrittive, che hanno una loro rude efficacia, rendendo il soggiorno più problematico agli stranieri e sviluppando in tutta una serie di settori - agricoltura, turismo, ma anche edilizia - posti di lavoro stagionali, occupati da stranieri non residenti. Oppure si può invece decidere di sviluppare politiche integrative, come appunto il Trentino, che ha esteso il reddito di garanzia anche agli immigrati”.

Come si vede, siamo di fronte a scelte di tipo politico. Su cui interroghiamo i candidati a sindaco.

“Il tema dei 50.000 abitanti a mio avviso il nuovo sindaco lo dovrà porre in termini di valle, con Mori innanzitutto e gli altri comuni della Vallagarina, che gravano su Rovereto, i suoi servizi e la sua zona industriale - risponde il candidato del PD Andrea Miorandi - Non può quindi che essere un problema comune, altrimenti si va, come ora, verso un’urbanistica selvaggia, con uno sviluppo a livello di valle incontrollato”.

E sugli immigrati? “Sono e vanno visti come una forza nuova, viva, giovane della città. Vivo in un quartiere dove la popolazione immigrata - russi, nordafricani, cinesi, indiani - hanno già assunto una dimensione imprenditoriale, per ora nella ristorazione, ma domani anche in altri settori. Bisogna relazionarsi con loro attraverso gli strumenti creati apposta per questo dialogo, che già esistono, come la Consulta degli immigrati, ma non vengono valorizzati, e invece possono essere strumenti democratici di partecipazione responsabile. Spero che la prossima amministrazione abbia al suo interno una rappresentanza degli immigrati a partire dalle liste, in cui i candidati non autoctoni non siano solo il fiore all’occhiello, ma vengano eletti e valorizzati”.

Barbara Lorenzi

“Gli sviluppi sociali, a iniziare dalla demografia, non si possono contrastare, la realtà va accettata e ci si deve adeguare - risponde Barbara Lorenzi, candidata sindaco del centrodestra - Una percentuale di immigrati dell’11% della popolazione è accettabile; se poi saranno 10.000 in più, allora si dovrà vedere come controllare il fenomeno”.

E il sindaco uscente, Guglielmo Valduga, che dice? Non si è degnato di rispondere alle nostre domande. Pur avendo QT con lui un ottimo rapporto fin da quando era consigliere e assessore provinciale, e poi candidato sindaco cinque anni fa (vedi Rovereto: problemi e candidati, QT n° 8 del 2005), oggi, dopo un mandato gestito da uomo solo al comando, non ama più discutere. Il che la dice lunga su come interpreta il proprio ruolo.

Una città industriale al tempo delle crisi

zona industriale di Rovereto

Ritorniamo a Rovereto, e alla sua storica vocazione di città industriale, che in Trentino l’ha caratterizzata fin dal lontano 1700. Per dare un’idea, nel censimento del 1971, nell’intera Vallagarina la percentuale di occupati nel settore secondario (industria e artigianato) era ben del 70%. Poi l’industria trentina subì tracolli e attraversò notevoli trasformazioni, eppure nel 2001 gli occupati nel settore erano ancora il 40% del totale in Vallagarina (e il 31% nell’insieme del Trentino). E oggi? Negli anni scorsi l’industria roveretana ha saputo consolidarsi: se nel 2001 gli occupati nelle aziende roveretane con più di dieci dipendenti erano 8.200, nel 2008 erano leggermente aumentati, 8.400.

Andrea Miorandi

Però la crisi del 2009, pur non avendo creato disastri, ha bruscamente evidenziato un problema: “La città si è rivelata esposta alle crisi dell’economia. L’occupazione industriale va salvaguardata: dobbiamo trovare le strade per stabilizzarla ed assicurarne la qualità” afferma Miorandi.

“C’è stato un forte turn over di aziende; - sostiene Franco Ischia, dell’ufficio Studi della Cgil - si sono perse molte propaggini di multinazionali, e in cambio sono cresciute molte aziende locali di piccole medie dimensioni. C’è stata un’indubbia capacità di rinnovamento”.

Ora forse occorre un ulteriore salto di qualità: “Tante delle attuali industrie medio-piccole sono in crisi strutturale, c’è bisogno di un rilancio attraverso una nuova prospettiva del distretto industriale, una via innovativa nel settore ambientale - prosegue Miorandi - Nel mio programma parlo di distretto ecologico-industriale, la nostra zona industriale deve diventare un modello di industria amica della comunità; oggi ci sono elementi di frizione, vedi la Sandoz o la Marangoni; invece della contrapposizione industria/popolazione, come oggi accade a Lizzana, deve esserci trasparenza, che deve risultare, con la certificazione ambientale, un fattore di competitività, un qualcosa in più che abbiamo noi. Le superfici dei capannoni devono essere produttrici di energia, come nel caso dei pannelli fotovoltaici dell’A22 sulle barriere acustiche che forniscono energia a Isera, così la ferita dell’autostrada si lenisce e diventa ricchezza. È una questione di nuova civiltà.”

Non si può certo dire che la Giunta Dellai, che in tema di industria è il vero decisore, non abbia avuto attenzione su questi temi: a Rovereto è sorto il Bic (Business Innovation Center), il Distretto Tecnologico Ambientale, e ora, con il progetto Manifattura Domani, si cerca di dar vita, nell’area e negli immobili della dismessa fabbrica di sigarette, a un’aggregazione di imprese della green economy.

“L’industria trentina deve puntare a diventare ad alto contenuto tecnologico, invece che ad alto contenuto di lavoro - afferma il prof. Schizzerotto - Lo so, la politica e anche l’opinione pubblica spesso spingono nella direzione contraria: pochi capitali, tanti lavoratori. Ma è un obiettivo discutibile in un’area che non ha problemi occupazionali; e miope, perché queste produzioni soffriranno la concorrenza globale, e l’occupazione non riusciranno a garantirla”.

In effetti, se abbiamo problemi d’incremento demografico, che senso ha rincorrere la quantità dei posti di lavoro, a scapito della loro sicurezza? Per attirare nuova immigrazione, che poi può diventare nuova disoccupazione?

“Iniziative a bassa intensità di capitali, magari che vengono da fuori, possono risolvere solo nel breve periodo problemi occupazionali: ma non radicate qui, possono essere facilmente portate via o soccombere nella competizione, è un film già visto” sostiene Miorandi.

“Rovereto deve investire in strutture e servizi - afferma Lorenzi - La zona industriale ha forte bisogno di una riorganizzazione per essere più fruibile; e io penso che dovremmo batterci per avere a Rovereto l’assessorato provinciale all’industria, perchè sia più vicino ai problemi reali”.

La città della cultura

Lungo il Leno

L’altra caratteristica che ha reso Rovereto città, ne ha plasmato l’identità e l’orgoglio di sé, è storicamente stata la sua centralità culturale nel Trentino vescovile e bigotto. Dall’epoca dei lumi con Tartarotti, all’Ottocento con Rosmini, e poi con Orsi, Zandonai, Depero per citare solo alcuni nomi, e per non citare le tante istituzioni, la città si è autofregiata del titolo di Atene del Trentino. Ruolo oggi soppiantato dalla solita Trento, non più solo centro del potere e dei soldi, ma anche pregiata sede universitaria.

Al declino roveretano avevano pensato di porre rimedio le passate giunte di centrosinistra, con un progetto di largo respiro, il Mart, il grande museo internazionale di arte moderna, sedi universitarie, spettacoli, festival. Il tutto correlato all’economia, attivando ricaschi economici da un nuovo turismo culturale.

“Rispetto alla città da noi vagheggiata c’è il rischio di non essere all’altezza - confessa Fabrizio Rasera, che di quel progetto fu uno dei promotori - per l’invecchiamento delle persone e delle pur ottime iniziative da esse promosse, l’assenza - a differenza di Trento - di un protagonismo culturale giovanile, per il rapporto con la città - frigido, altezzoso - del Mart, che produce cultura, attira visitatori, ma non ha fatto scuola, non ha saputo costruire alcunché attorno a sé.

I dati ci dicono che Rovereto è una città con un livello culturale elevato (21,5% di laureati, contro il ben più modesto 14,7% dell’intero Trentino - ma il 24,4% di Trento, e ci mancherebbe) sede di eventi - a iniziare dalle mostre e dai festival - del tutto anomali in una cittadina di provincia. Però la sinergia con il turismo è difficoltosa (solo 80.000 le presenze negli alberghi nel 2009, vale a dire che per ogni 100 roveretani c’è meno di un turista), i corsi universitari “ceduti” da Trento sono poca cosa, istituzioni commendevoli come il Museo della Guerra o quello Civico stentano ad ottenere riconoscimenti provinciali. “Più in generale, la città deve continuamente guadagnarsi il rango di livello provinciale” ammette Rasera.

“È un indubbio merito delle amministrazioni di centrosinistra aver creato queste istituzioni culturali - afferma Miorandi -, però sono appuntamenti mancati. Ad esempio il Mart doveva essere il luogo della ricerca ma non lo è proprio (non si sa che fine abbia fatto il Centro Studi sul Futurismo, l’anno scorso era il centenario del Manifesto del Futurismo e non c’è stato alcun evento all’altezza), non può essere una roccaforte incastonata nella città a quasi dieci anni dall’apertura; non chiediamo il milione di visitatori per avere il pareggio di bilancio, ma il dialogo con la città, la semina di iniziative, quella sì. Dobbiamo creare delle ‘officine della cultura’ dove si possa esprimere la creatività, spin off del Mart, della Scuola Musicale, dei musei, dei festival, con la riqualificazione e rilancio di alcune belle realtà esistenti, come il Museo della Guerra e la Rassegna del Cinema Archeologico che deve diventare un festival: l’ente pubblico su questo deve investire. In quanto all’università, non deve essere un fiore all’occhiello; deve invece avere radici, un innesto sul territorio. Corsi di laurea deboli, come numeri e come proposta, non hanno senso.”

Barbara Lorenzi imposta invece il discorso sulle rivendicazioni rispetto a Trento: “Sulla cultura dobbiamo valorizzarare le straordinarie potenzialità che abbiamo, a iniziare dalla Scuola Musicale. Un atteggiamento sbagliato invece è la subalternità a Trento: come si è visto nella recente delega al Centro Santa Chiara di Trento di organizzare gli eventi teatrali anche roveretani. E così sull’Università: dobbiamo portare qui una facoltà importante, legata all’industria o alla cultura”.

Che idea di città abbiamo?

In fin dei conti è l’urbanistica il cuore del potere e delle competenze comunali. È con i Piani Regolatori che si disegna la città, si crea la ricchezza di alcuni fortunati, si progetta l’armonia o il disordine. Sull’urbanistica prima ancora che sui litigi interni si era arenata la giunta di centrosinistra, sull’urbanistica ha vinto nel 2005 Valduga.

Il quale alcune cose evidentemente sbagliate, che aveva denunciato, le ha cancellate (o ci ha provato): l’attentato alla collina della Consolata con le sciagurate villette previste dal piano Cervellati-Bruschetti; la localizzazione di una Residenza per anziani nel buco della cava Manica. Per il resto, l’assessore Maurizio Tomazzoni ha cercato di ritessere una trama urbanistica molto sfilacciata dai troppi, successivi e contestati interventi: Prg di Cervellati, sua approvazione/stravolgimento ad opera del commissario ad acta Castelli, variante Boeri prima promossa poi depotenziata dall’assessore Laezza, per arrivare infine alla variante di Tomazzoni. Che però non è riuscito a farla approvare in seconda adozione, per cui si è di nuovo in alto mare.

A parte alcuni spunti pregevoli di Tomazzoni (come l’apertura della stazione anche ad ovest, in maniera da creare un continuum della città oltre la ferrovia, idea peraltro già di Cervellati), sono le idee di fondo a latitare. E su questo concordano Lorenzi e Miorandi: non aver dato una soluzione al milione di nuovi metri cubi previsti dai piani precedenti, e che non hanno senso nella realtà delle cose; aver trascurato un’area strategica come quella del Follone, a ridosso del centro storico, ora adibita a mero parcheggio; non aver sviluppato le ciclabili, anzi averne cancellato un tratto, e aver snobbato la pedonalizzazione. In generale, dopo un primo tentativo di imporre un deflusso del traffico proveniente da est verso Santa Maria, ritirato in fretta per l’opposizione dei cittadini, Valduga ha rinunciato ad occuparsi di mobilità, se non sdraiandosi sul partito dell’automobile e - aggiungiamo noi e Miorandi, mentre Lorenzi si dissocia - vagheggiando come risolutiva la futura tangenziale ovest oltre l’Adige, voluta a Trento dal grisentiano partito dell’asfalto, ma poco pertinente, perché troppo esterna, con i problemi roveretani.

Da qui il giudizio dei nostri interlocutori sul quinquennio valdughiano.

Miorandi: “Sono stati anni mediocri. E Rovereto si trova a dover uscire dalla mediocrità”.

Lorenzi: “Valduga i problemi non li ha affrontati; o li ha spostati da una parte all’altra della città. Invece andavano, e vanno, risolti”.

Conflitto d’interessi?

Di Andrea Miorandi, candidato sindaco per il centrosinistra circola, soprattutto via Internet la voce di un conflitto d’interessi: dipendente della società Ladurner, interessata all’inceneritore di Bolzano, non sarebbe la persona più neutrale nell’approcciarsi al tema rifiuti. Gli giriamo il problema.

“Sono amministratore delegato di Idecom, del gruppo Ladurner. L’Idecom è una società che ho creato io con i miei collaborator: progetta i servizi per la raccolta differenziata, che abbiamo realizzato in circa 600 comuni italiani, detenendone il record (sopra l’80% in Val di Fiemme). Darmi dell’inceneritorista è una falsità”.

La Ladurner non fa inceneritori?

“Fa parti meccaniche per il trattamento rifiuti, sia quello meccanico-biologico che per l’inceneritore, ed è entrata nella cordata che ha partecipato al bando per l’inceneritore di Bolzano”.

Si dice che lei, con l’assunzione alla Ladurner, sugli inceneritori sia diventato più possibilista.

“Non sono mai stato tenero verso le scorciatoie, tipo i grandi inceneritori visti come unica soluzione. Sono invece per la gestione sostenibile, la riduzione, il riciclaggio, la differenziata spinta e alla fine del ciclo, dove le opportunità lo permettono, l’impianto che brucia il Cdr (combustibile derivato dai rifiuti, n.d.r.), non l’inceneritore che brucia il rifiuto residuo. Poi sono un dipendente della Ladurner, e se facessi il sindaco, dovrei licenziarmi”.

Il candidato anomalo

“PartecipAzione Cittadini Rovereto” è un’associazione tesa a promuovere la democrazia diretta. Molteplici le sue battaglie, incentrate spesso sulla rimozione dei vincoli ai referendum. In queste elezioni si presenta con la lista “Più democrazia a Rovereto” e un candidato sindaco, Paolo Michelotto. Anche lui intervistiamo sui problemi della città.

Come vedete Rovereto città industriale?

“Abbiamo eseguito due sondaggi: i roveretani vogliono una città dalle dimensioni attuali, non da 50.000 abitanti come previsto da un vecchio Prg, più verde, più vivibile, con meno sviluppo urbanistico e industriale.

Abbiamo indetto un referendum sull’inceneritore della Sandoz: la stragrande maggioranza dei votanti (che però sono risultati meno del 20% degli aventi diritto, e il referendum non è risultato valido, n.d.r.) vuole maggiori controlli. Nessuno vuole chiudere queste attività, ma l’occupazione non può essere un ricatto per far accettare l’inquinamento. La nostra linea è: sentiamo cosa vogliono i cittadini e poi noi li seguiamo”.

Voi quindi rinunciate a presentare un vostro progetto? Ma i cittadini allora, da chi vengono orientati?

“Dai gruppi di potere, se non c’è un’informazione corretta. Noi per tre mesi abbiamo raccolto le idee dei cittadini su cosa vorrebbero per la città, le abbiamo sintetizzate e quello è il nostro programma”.

In urbanistica?

“Prg a crescita zero: prima di costruire si riusa il già costruito. Il che va contro la prassi di far cassa con gli oneri di urbanizzazione delle nuove aree. Questo è stato l’esempio di Cassinetta di Lugagnano, comune presso Milano, dove i cittadini, riuniti in assemblea, hanno deciso di aumentare un po’ le tasse ma di rinunciare agli oneri di urbanizzazione e di preservare il territorio”.

Rovereto città della cultura?

È stata calata dall’alto, come il Mart. Anche qui si dovrebbe chiedere ai cittadini quale indirizzo vogliono si dia alla cultura”.

Avete pensato di confluire in qualche altra lista?

“Con il PD proprio no: nei fatti hanno reso più difficile l’utilizzazione dei referendum. Più sensibili a questo tema sono i Verdi e IdV, ma abbiamo valutato di non entrare nelle loro liste: per loro la democrazia diretta è solo uno tra tanti temi, per noi è ‘il’ tema”.

Gli altri candidati

Corrado Corradini

Candidato dell’Italia dei Valori dopo che il partito di Di Pietro è stato scaricato dalla coalizione di centro-sinistra, è stato assessore nella città della Quercia con le giunte Ballardini e Maffei.

Davide D’Eliseo

Ex capitano dei carabinieri, è candidato dall’estrema destra della Fiamma Tricolore.

Giacomino Filippi

Anche lui ex della giunta Maffei, viene candidato dalla Federazione della Sinistra (unione di Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani).

Mauro Previdi

Candidato dalla lista Rovereto Viva-Verdi, torna alla politica attiva dopo due esperienze in Consiglio comunale.

Per la stesura di questo articolo abbiamo dovuto reperire molteplici dati statistici di non facile consultazione. In tali operazioni ci hanno aiutato il Servizio Statistica della Provincia, il Centro Studi della Cgil, e soprattutto l’OPES (Osservatorio Permanente per l’Economia, il Lavoro e la Valutazione  della Domanda Sociale), che sentitamente ringraziamo per la non scontata disponibilità dimostrata.