Giustizia via acqua
L’esperienza della nave che garantisce i diritti di cittadinanza nello Stato brasiliano di Amapà.
L’articolo 28 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (10 dicembre 1948) definisce il concetto di pace partendo dai diritti fondamentali della persona: "Ogni individuo ha diritto a un ordine sociale e internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa dichiarazione possano essere pienamente realizzati". E’ il concetto di "pace positiva", intesa non soltanto come assenza di guerra, ma soprattutto come azioni di cooperazione e di solidarietà da realizzare dalla città al villaggio fino al mondo.
E’ lo stesso concetto che muove il progetto denominato "Giustizia itinerante fluviale", una vera e propria giustizia d’avanguardia attuata nello Stato federato di Amapà, nel nord del Brasile.
Da dieci anni una équipe composta da un giudice, un pubblico ministero, un avvocato difensore, dei cancellieri, e ancora medici, dentisti, assistenti sociali, psicologi, oltre a tanti altri dipendenti pubblici e a persone provenienti da iniziative private, studenti e volontari, si sposta nelle "giornate della giustizia fluviale" in un barcone denominato "Tribuna - a Justiça vem a bordo".
Il nostro progetto - racconta Sonia Regina Dos Santos Ribeiro, magistrato e docente di diritto all’Università di Amapà - è la storia di un cammino lungo un fiume per portare alle popolazioni nomadi che vivono nei luoghi più isolati un pezzo della capitale".
Lo Stato di Amapà, che ha come capitale Macapà, è situato allo sbocco del Rio delle Amazzoni: caratterizzato da pascoli e pianure, il territorio è percorso da innumerevoli corsi d’acqua, inciso da una fitta rete idrografica che ha fortemente condizionato la costruzione dei centri abitati. Le comunità per le quali l’équipe di "Tribuna" opera sono localizzate nell’arcipelago di Bailique, nel delta del Rio delle Amazzoni, distanti più di dodici ore di viaggio dalla capitale.
Il barcone a due piani che trasporta l’équipe è dotato di voadeiras, imbarcazioni leggere e veloci, e di canoe a remo (montarias), piccole imbarcazioni costruite in legno con cui si possono raggiungere località inospitali dove le barche di medio taglio non riuscirebbero ad arrivare.
"La zona - spiega il magistrato - è composta da centocinquanta villaggi abitati da ottomila persone che hanno sempre immaginato il giudice come un uomo irraggiungibile e potente avvolto da una toga nera. Per questo, quando mi hanno vista in bermuda non credevano che io, tra l’altro una donna, fossi il giudice. Ma il progetto è anche questo: una rivoluzione per uscire da un’idea di giustizia stereotipata, chiusa nelle aule e nei gabinetti dei tribunali. In sostanza, vogliamo dimostrare che un diverso tipo di giustizia è possibile. Una giustizia orizzontale che, lontano dalle tavole e dalle toghe, possa accorciare le distanze geografiche e culturali che tanto dividono il popolo dal sistema giudiziario. Non è importante che il processo sia svolto in un’aula o sotto un albero (noi abbiamo svolto giustizia anche negli autobus della capitale), ma ciò che conta è il metodo.
Il sistema giudiziario che utilizziamo è fatto anche di arresti, ma soprattutto di mediazione: le persone sono protagoniste del rito processuale, che diventa quindi una decisione partecipativa e non una sentenza imposta dall’alto. Molto più incisivo in questo nuovo modo di fare giustizia è la rapidità e la semplicità con cui vengono risolti i reclami della popolazione. Una giustizia veloce è la risposta del cambiamento. Attualmente in questi villaggi gli incesti sono diminuiti e aumenta il numero di scuole e di progetti educativi. Il progetto infatti non si ferma alla barca: abbiamo svolto giustizia ovunque le persone potevano arrivare, anche sotto gli alberi; nelle scuole abbiamo portato educatori sportivi e psicologi che lavorano per trasmettere ai bambini un tipo di educazione che possa farli affezionare alla scuola".
L’attività che la Giustizia di Amapà svolge in cooperazione con le cinquanta persone che viaggiano su "Tribuna" (inizialmente erano solo diciassette) consiste, oltre che nel portare la giurisdizione in luoghi difficilmente accessibili, nell’offrire servizi come il registro tardivo delle nascite e la possibilità di avere altri documenti necessari all’esercizio della cittadinanza.
La Barca della Giustizia si sposta periodicamente, ma la giustizia tra le comunità fluviali continua giorno dopo giorno, perché gestita da un rappresentante per ogni isola, dato che "è importante che la popolazione si senta proprietaria del proprio territorio e che impari a controllarlo da un punto di vista non solo sociale e culturale, ma anche ambientale".
Questo progetto di giustizia senza frontiere ha funzionato grazie anche ai finanziamenti continui versati dal Tribunale Territoriale di Amapà e dalla Banca del Brasile. Ed è per questo che si può definire una giustizia speciale, perché condivisa da chi ha il potere. Una democrazia partecipata che contribuisce alla costruzione della cittadinanza nell’animo di ogni individuo che viva in luoghi così decentrati del Brasile.