Perchè anche Cortina bussa alla porta
I problemi che vengono al pettine: la mancanza, in Italia e nelle Regioni ordinarie, di una politica della montagna; e il parallelo attenuarsi delle motivazioni delle Regioni a statuto speciale. L’intreccio, non chiarito, delle due problematiche, alla luce della tentata fuga dal Veneto dei comuni di montagna.
Dopo Lamon è la volta di Cortina d’Ampezzo a chiedere il distacco dalla Regione Veneto per essere accolta dal Trentino Alto Adige. Ma se i cittadini di Lamon avevano cozzato contro un muro di indifferenza e fastidio (solo Rifondazione Comunista e Marco Boato avevano proposto riflessioni su quanto accadeva), Cortina ha trovato nella classe politica regionale sorrisi compiaciuti ed un entusiasta Durnwalder che arriva ad esclamare "Cortina non è Lamon, è parte della nostra Heimat, del popolo dei ladini, e va accolta".
Cortina ha giocato una buona carta politica. Ha costruito un’alleanza con i comuni di Colle Santa Lucia e Livinallongo-Col di Lana accogliendo una richiesta del 17 febbraio dell’Unione Generale Ladina di unificare le popolazioni che parlano la stessa lingua. E’ così partita una lunga procedura. Ad oggi il Consiglio comunale di Cortina ha deliberato all’unanimità l’indizione del referendum popolare fra pochi giorni si esprimeranno in modo analogo gli altri due Consigli. In seguito si esprimeranno la Corte di Cassazione nel merito della costituzionalità del referendum e poi il Consiglio dei Ministri; nel tardo autunno potrebbe esserci il voto referendario.
Sono subito percepibili le diversità delle motivazioni che sostengono le richieste dei comuni ladini da quelli di Lamon e Sovramonte. Questi ultimi sono comuni "dimenticati", abbandonati alla sopravvivenza, con territori che possono aprire prospettive di lavoro solo all’agricoltura di montagna o ad un turismo naturalistico e ricreativo, luoghi dove l’economia bisogna inventarla.
I tre comuni ladini invece sono ricchi, vivono di turismo, specialmente invernale, sono circondati dalle più belle vette dolomitiche, il Pelmo, la Civetta, il Cristallo, le Tofane. Cortina non ha bisogno di presentazioni, è conosciuta in tutto il mondo e dispone di strutture turistiche di eccellenza. Uno stadio del ghiaccio, altre strutture sportive, culturali, grandi alberghi e decine di boutique.
Anche le discussioni nei Consigli comunali sono state diverse. Mentre a Lamon e a Sovramonte si chiedevano servizi sociali, formazione scolastica e diritto alla salute, a Cortina c’è bisogno di soldi per poter ristrutturare lo stadio del ghiaccio e le tante strutture del dopo Olimpiadi oggi abbandonate, costruire la circonvallazione, realizzare il campo di golf, sostenere la candidatura a sede dei mondiali di sci alpino del 2013. Investimenti per i quali servono decine di milioni di euro, che dalla Regione Veneto, per tanti motivi, non arrivano. Eppure, nonostante le evidenti diversità, in entrambe le situazioni, i ricchi di Cortina e i poveri di Lamon, si vedono degli elementi simili.
Tutti i comuni in fuga dal Veneto sono comuni di montagna, dimenticati dalla politica che viene invece costruita nelle grandi città ed in funzione degli interessi delle città e delle pianure. E’ una sofferenza che si va diffondendo, che non viene percepita nella sua gravità, che non trova risposta da parte della politica. Quanto accaduto al Passo Pordoi il 9 dicembre dello scorso anno è stato esemplare: nella sede del C.A.I. il presidente della Provincia di Belluno, Reolon, aveva pronunciato un severo intervento sulle politiche nei confronti della montagna, un autentico J’accuse rivolto ad una presente ed esterrefatta ministra della montagna Linda Lanzillotta. La cosa è stato subito derubricata a livello di stucchevole lamento, non degno della grande politica. Ma Reolon aveva esposto una serie di emergenze che pretendevano risposte adeguate e che sono le stesse alla base dell’indizione dei tanti referendum di comuni che intendono cambiare regione.
Il mondo politico ha sempre reagito con fastidio a tali richieste, imitando la goffaggine delle reazioni dei grandi industriali che frequentano Cortina, i Barilla, i Riello, o i vip come Marta Marzotto, che hanno bollato l’iniziativa referendaria come una forzatura inutile, destabilizzante. E per converso Giancarlo Galan, il forte governatore del centrodestra veneto, parla di rischio per le istituzioni democratiche, di deriva istituzionale e attacca i "privilegi" delle Regioni a Statuto speciale.
Ma la responsabilità di quanto accade in Veneto pesa proprio tutta sulle spalle di Galan, sia per quanto riguarda Lamon che Cortina. Sono anni che la Provincia di Belluno chiede alla Regione Veneto un’autonomia particolare e maggiori risorse economiche per poter fornire servizi a tutte le vallate. Galan ed i suoi assessori hanno sempre fatto grandi promesse - anche l’ex assessore regionale Floriano Prà, che pure è di Caprile - ma non hanno offerto alcuna risposta a queste esigenze. Belluno è una provincia governata dal centrosinistra, può contare su poco più di duecentomila abitanti, mentre dalle ricche città venete, dalla pianura, arriva – al centrodestra - il voto di 4 milioni di abitanti. I comuni montani, anche l’altopiano di Asiago, non hanno forza contrattuale.
Qui sta il dramma della montagna: una zona che l’orografia rende svantaggiata (almeno nei termini brutali di redditività sul mercato) e che quindi avrebbe bisogno di più attenzioni, di più risorse, in realtà ne riceve meno, perché non ha peso elettorale. La giunta regionale veneta interviene solo dove intravede uno sviluppo tradizionale, nel tentativo di imitare, in modo anche rocambolesco e devastante per l’ambiente, il modello Cortina: vedi le vicende dell’altopiano dei Fiorentini o dell’area del Baldo, o l’assalto con l’industria dello sci alle foreste demaniali del Cansiglio.
Questa politica si traduce in favori di cui si avvantaggiano piccole comunità e singoli imprenditori. E’ invece totalmente assente un piano di sviluppo complessivo a favore delle zone svantaggiate della montagna: come offrire servizi, quale formazione scolastica, quale politica per la salute, quale mobilità? Le uniche risposte che si vedono sono quelle dei grandi collegamenti autostradali, che sono però corridoi di attraversamento, che servono a collegare le pianure: l’autostrada di Alemagna per il Cadore, la Valdastico per Arsiero e Lastebasse.
La questione Cortina, così come viene presentata dall’Unione dei Ladini, apre anche perplessità sul fronte della reale volontà di tutelare la popolazione ladina. Ci si chiede ad esempio perché siano rimasti esclusi i comuni della Valzoldana. O, d’altra parte, perché i sindaci della valle del Boite (San Vito, Borca, Vodo, Valle) rivendichino invece l’appartenenza al Veneto e denuncino la questione referendum come una fuga in avanti. Tutti questi avrebbero preferito unire le forze per costruire un confronto intenso con la Regione e lo Stato. Del resto i residenti nel comune di Livinallongo si erano già espressi nel passato per il no al passaggio alla Regione Trentino Alto Adige. Oggi Cortina ha costruito un’alleanza con i due comuni del Fodom e usa la questione ladina solo per poter anestetizzare il voto dei "residenti" non autoctoni, ormai maggioranza elettrice del comune e certamente legati alla cultura veneta. Cortina è consapevole che la scelta riveste un’unica vera e convinta motivazione, quella economica.
E’ sempre la chiarezza di Messner che va a sottolineare con forza l’aspetto determinante dell’economia: "L’Ampezzo nel Sudtirolo riunifica le Dolomiti: con Venezia queste montagne sono il prodotto più forte del Nord Italia e ci guadagnerebbero dall’essere gestite e propagandate unitariamente". Insomma, "le Dolomiti risultano vendibili meglio".
Ma Messner aggiunge dell’altro: una volta unite, le Dolomiti certo rappresentano un marchio turistico più forte, ma possono anche applicare politiche di tutela del territorio più omogenee ed incisive. Sono aspetti che non abbiamo colto in nessun altro intervento.
Come in ogni situazione non chiara, quando la politica preferisce trascurare o oscurare, si aprono spazi importanti per i voli degli avvoltoi. Interviene così anche Pius Leitner, leader dei Freiheitlichen, partito legato a Joerg Heider, che parla di radici comuni fra le popolazioni altoatesine e quelle cortinesi. Leitner ha già avviato contatti con i pochi nostalgici Schützen di Cortina per poter ricostruire la patria del Tirolo. Ma Leitner precisa anche di essere contrario al federalismo, in quanto "comporterebbe il rischio di un cambiamento della nostra consistenza etnica con tutte le ricadute sociali". Ma per Cortina la pensa come Durnwalder, è un’altra cosa, "si riequilibra la storia".
Altri avvoltoi li abbiamo trovati negli amministratori delle province di Rovigo e Treviso, amministratori che hanno richiesto di essere annessi alla Regione Trentino Alto Adige, ovviamente provocando. Si tratta di una delle provocazioni tipiche della cultura della destra e della Lega, una provocazione che dimostra la realtà della sofferenza dei comuni di montagna che non riescono a trovare ascolto e progetto nelle città. A Venezia come in Lombardia, a Bologna come a Genova.
Il punto vero è che si intersecano due problemi, generando due fraintendimenti: sulle autonomie e sulla montagna.
Sul primo: è un fatto che le autonomie delle Regioni a statuto speciale non vengono più capite, vengono semplicisticamente ridotte a soldi, a privilegi. E’ un dato sul quale anche noi trentini dovremo riflettere con attenzione ed urgenza. E la spinta sempre più vasta che chiede l’assorbimento (è così per i comuni dell’altopiano di Asiago che chiedono di passare al Trentino, per Cinto Caomaggiore che chiede di passare al Friuli, per i comuni di Carema e Noasca alla Valle d’Aosta) non fa che rinforzare questo assunto: perché alcuni hanno più soldi?
Ma tutti questi di cui stiamo parlando sono comuni di montagna, che chiedono di essere annessi a regioni di montagna (in tutto o in parte): nelle quali si fa (o meglio, si dovrebbe fare) una politica per la montagna. Il che non vuol dire il clientelismo dei contributi a pioggia, pur presente, ma la capacità di offrire pari diritti a chi sceglie di vivere in montagna, specialmente nelle zone svantaggiate. Insomma: servizi, collegamenti, opportunità di formazione, lavoro anche di qualità, coltivazione dell’alpe, ricostruzione delle filiere tipiche, del latte, del legno, del turismo, ricerca scientifica, politiche di conservazione. Tutte cose la cui realizzazione, in un territorio difficile e fragile, costa di più. E che quindi vengono trascurate dalle regioni in cui predomina la pianura, e dai governi nazionali di entrambi gli orientamenti..
Ecco perché il caso Cortina invoca una politica autorevole e convincente a favore della montagna, una politica che non si ponga in contrapposizione con le esigenze delle città, ma che venga condivisa e compresa anche dai cittadini. Si tratta di spiegare alle popolazioni della pianure che una montagna vissuta in equilibrio, oltre ad insegnare il senso del limite, oltre a rendere disponibile un territorio dove ci si può ritemprare a contatto con la natura, permette la conservazione delle risorse primarie (a cominciare dall’acqua), permette una gestione corretta di beni sempre più rari (la naturalità), offre garanzie di sicurezza idrogeologica. Tutte cose che, come lo scorrere dei fiumi, si ripercuotono dalle Alpi alle pianure, fino al mare.
Sono argomenti sui quali la politica è in grave ritardo. E’ possibile recuperare tempo e progettualità, ovviamente avendo l’umiltà di ascoltare la sofferenza di questi territori, e nel caso di Cortina specialmente, facendo chiarezza. Autonomia amministrativa non significa coltivazione e diffusione di privilegi, ma assunzione di grandi responsabilità verso la propria gente ed anche verso chi vive nelle città, nelle pianure.