Province dolomitiche: una sola Regione
Autonomie: non è una questione di storia o politica, è una legge di natura.
Nel bellunese soffia sempre più forte il rancore contro i "privilegi" della Regione Trentino Alto Adige; non è un semplice vento, non siamo in presenza di isolati arrabbiati, sono raffiche che coinvolgono tutti i settori della società. E’ un modo di sentire che troviamo presente in Veneto, ma diffuso anche nella montagna bresciana, in Valtellina, nel Cuneese, sulla montagna ligure: sono tutte aree in sofferenza che non riescono più a comprendere le ragioni della specificità della nostra autonomia. Come emerge sempre più spesso dalle assemblee dell’UNCEM (Unione Nazionale Comunità Enti Montani), il problema è delle montagne italiane. E’ venuto il momento di affrontare il tema, di risolverlo politicamente abbandonando le semplificazioni. Alcuni numeri ci aiutano a comprendere.
Cortina d’Ampezzo ha un gettito Irpef di 19.345.000 euro e si trova trasferiti dallo Stato fondi per soli 907.519 euro. Ad Agordo sono oltre 12 i milioni versati con un ritorno di 681.246 euro, Asiago 12.345.000 euro con un trasferimento di un misero milioncino.
Il sindaco di Sospirolo deve dimezzare le penne biro in dotazione ai dipendenti. In Veneto 450 comuni su 582 hanno fatto opposizione al patto di stabilità e ai vincoli imposti dalle finanziarie del governo Prodi ed ora appesantiti da Tremonti. Nei comuni montani delle Regioni a statuto ordinario non si riesce più ad offrire assistenza e servizi, nemmeno a garantire l’ordinaria amministrazione. Altro che federalismo, altro che politiche di sussidiarietà!
Ma come reagisce il bellunese coinvolto dalla crisi economica con centinaia di licenziamenti e schiacciato da un conflitto istituzionale pesante che vede in contrapposizione la provincia di Belluno (governata dal centro sinistra) e la Regione Veneto dominata dallo strapotere leghista?
Fra il pessimo Galan e il buon Reolon
Nel 1997 era stato depositato al Senato un disegno di legge (2768-XIII) che chiedeva l’istituzione della Regione Dolomitica composta da due Province, Belluno e Feltre, mai affrontato seriamente. Sono seguiti i referendum di Lamon, dei sette comuni, delle zone ladine del Fodom e di Cortina verso l’Alto Adige, di Sappada verso il Friuli. La Regione, tramite il suo governatore Galan, li ha ridicolizzati. In questi mesi è partita in provincia di Belluno una nuova iniziativa, l’iter di un referendum secessionista regionale, Belluno vuole staccarsi dalla Regione Veneto per costruire assieme a Trento e Bolzano la grande Regione delle Dolomiti. Servono 8.000 firme; capofila dell’iniziativa è il Partito Democratico della Valbelluna, ma anche diversi sindaci del Cadore, fra i quali Antonia Ciotti, sindaco di Pieve di Cadore. Tre Province alpine, unite e autonome, con i centri decisionali trasferiti finalmente alle valli e tolti alla insensibile pianura. La situazione di malessere è simile al periodo della difesa dell’ospedale di Auronzo vent’anni fa o delle marce su Venezia in difesa della ferrovia.
Di convinzione ce n’è tanta. Lunghi anni di assenza di risposte della Regione e dello Stato, ha ricordato Sergio Reolon, hanno prodotto rancore e conflitti. La Regione ormai ha perso credibilità verso la montagna, specie dopo che era stata promessa la concessione dell’autonomia amministrativa regolamentata.
Del malessere si fa portavoce anche Assindustria, con un recente seminario che ha rilanciato la specificità della montagna bellunese. Anche Assindustria chiede il bilanciamento dei territori di montagna. Pur partendo da un’analisi ampiamente condivisa, la soluzione degli imprenditori è ancora legata a vecchie letture dello sviluppo: strade e autostrade, enfasi economicista, richiesta di meno vincoli ambientali "per non ridurci a riserva indiana".
Ma l’incontro ha avuto la sua importanza, grazie all’intervento del presidente della Provincia, Sergio Reolon. Il quale cerca una terza via che permetta il dialogo fra le due posizioni estreme: la difesa acritica delle autonomie speciali come sostenute da Dellai-Durnwalder e il disinteresse, specialmente culturale ed identitario verso la montagna consolidato da Galan. Poche tracce indicano una politica concreta. "In montagna c’è bisogno di più politica. La politica, quella bellunese, non è un costo, è un passaggio che permette e consolida la democrazia; la società ha bisogno di progresso, di regole e non solo di economia. Qui è saltata la comunità, perché la montagna è stata colonizzata dalla visione metropolitana dello sviluppo. Dobbiamo ottenere autonomia e governo diretto del territorio".
Non è certo con le fucilate di Brunetta che risolveremo i conflitti sempre più aspri fra metropoli e montagne. Recentemente a Belluno il ministro è esploso: "Le Regioni a Statuto speciale sono finite". Ammette come nel bellunese non vi siano fannulloni, esclusa - guarda caso - la Provincia, unico ente governato dal centro sinistra. Accanto a lui si schiera il rozzo e diretto Galan, che attacca Reolon in occasione dell’incontro di questi con Dellai ("Reolon, personaggio patetico, contratta su quanto ho già concordato con Dellai").
Nel bellunese è invece chiaro che la via d’uscita non è quella concordata fra Dellai e Galan, non è così che si costruisce una politica della montagna. Non si comprende il significato degli aiuti che Regione Veneto e Provincia di Trento hanno diretto ai soli comuni confinanti (nemmeno tutti, poi). In Trentino ci sono i comuni di serie A, lungo il confine si costruisce la serie B e quelli centrali non confinanti, la maggioranza, vengono declassati alla serie C.
Nelle vallate delle Alpi si urla allo scandalo quando si viene a sapere che le strutture impiantistiche vengono alimentate da contributi che variano dal 50% all’80% dei costi, ci si indigna quando si strappano i territori dei parchi naturali come accade a San Martino o a Pinzolo, quando si leggono le cifre delle indennità dei consiglieri o dei sindaci. Vi si vede sempre e solo il privilegio, la concorrenza sleale.
Le strade propositive, come suggerisce ormai da anni il saggio Reolon, sono politiche. E’ necessario da subito legiferare a favore della montagne, tutte, rafforzare le forme di autogoverno per non farsi assimilare alle città, riportare autonomia autentica e solidale.
Come suggeriscono a Dellai e Durnwalder i referendari bellunesi, non c’è solo l’asse Nord-Sud al quale prestare attenzione, sarebbe bene rivolgere lo sguardo alle province confinanti, ripensare le Dolomiti come progetto unitario, non fermarsi all’ottenimento del patrocinio Unesco, valutare l’avvio di un lungo cammino che riporti unità anche amministrativa nelle popolazioni dolomitiche, fra le minoranze ladine. E Per fare questo vi è un solo passaggio, pensare alla nuova Regione Dolomiti, costituita da tre province dotate di autonomia. Invece di accanire attenzione solo sulle motivazioni storiche delle autonomie speciali, comunque importanti, si dovrebbe leggere l’ambiente naturale, la sua fragilità, la necessità di diffondere servizi a suggerire nuove istituzioni che consolidino collaborazioni solidaristiche vere, esterne agli interessi particolari.