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QT n. 21, 10 dicembre 2005 Servizi

Dopo il voto di Lamon

Riflessioni su un dibattito povero e senza prospettive.

Non finisce di stupire, in negativo, il dibattito che ha scioccato la politica veneta dopo il risultato del referendum di Lamon per il passaggio di quel comune alla Provincia Autonoma di Trento.

Non c’è dubbio, i passaggi più deboli, privi di prospettiva e cultura politica, sono quelli sostenuti dal governatore del Veneto, Gianfranco Galan. Le sue richieste variano dall’autonomia estesa a tutta la regione Veneto fino all’assurdità dell’annessione della regione più forte, economicamente più dinamica, a quella più piccola (meno di un quinto di popolazione, il Trentino Alto Adige), senza nemmeno conoscere e discutere una sola riga dello Statuto d’Autonomia di quest’ultima regione.

La Provincia di Belluno.

Si cade poi nel ridicolo quando il governatore chiede per il solo Veneto il federalismo fiscale, dimenticando che proprio le forze politiche a lui vicine, Forza Italia e Lega, hanno appena licenziato una legge nazionale sulla devolution estremamente contraddittoria ed inefficace, specialmente quando si lascia al governo il potere di annullare leggi in contrasto con l’interesse nazionale.

In più passaggi è emerso evidente un dato politico: Galan e le forze politiche che lo sostengono stanno cercando di usare l’autonomia della Regione Trentino Alto Adige come utile velo per cancellare dal dibattito politico il fallimento di dieci anni di governo.

Durante il boom economico degli anni Novanta il Veneto non è riuscito a mantenere sul territorio la ricchezza prodotta. Mentre l’imprenditoria accumulava, i guadagni venivano esportati all’estero con operazioni discutibili (delocalizzazione, acquisti di intere regioni nelle aree povere del pianeta, come ha fatto Benetton, investimenti e speculazioni solo finanziarie, il saccheggio urbanistico e paesaggistico del territorio e delle risorse ambientali, cave, gestione delle acque), non si è progettata alcuna ricaduta strategica nella ricerca, nel potenziamento del settore universitario, di investimenti produttivi di alta qualità. Ed oggi, questa assenza di guida politica dell’economia più rigogliosa del nostro paese, sta producendo guasti probabilmente irreversibili. Oggi siamo in presenza di una caduta dei livelli occupazionali e di una dequalificazione del lavoro diffusa, di servizi sociali sempre più inadeguati ed inefficaci; siamo alla distruzione del volontariato sociale e alla privatizzazione dei servizi.

Sono argomenti che il governo di centro destra del Veneto non vuole affrontare, e che l’opposizione di centro sinistra non mette sufficientemente in evidenza, come passaggi centrali del disagio che la popolazione veneta sta vivendo.

Questa è la cornice che individua la debolezza politica del Veneto. In tale contesto si inserisce di prepotenza il problema della provincia di Belluno, il problema vero sollevato dall’esito del referendum di Lamon, ossia il problema della montagna.

Tutto il Veneto è troppo diverso dal bellunese per poter comprendere le esigenze e le specificità del vivere in montagna, e la voce politica del bellunese è debole, innanzi tutto per i numeri: 250.000 abitanti schiacciati dai quattro milioni veneti, ma anche per la qualità dei politici. Gli uomini del centro destra qualitativamente sono impresentabili, prima con Floriano Prà, oggi con Oscar de Bona, arrivato a qualificarsi con la proposta più estrema: diminuire del 10% i trasferimenti dello Stato alle Regioni a statuto speciale.

I rappresentanti del centro sinistra, all’opposizione in Regione, fanno quello che possono: chiedono con forza l’autonomia della provincia di Belluno. Una autonomia ottenibile con la modifica dello Statuto della Regione Veneto facendo appello agli art.118 e 119 della Costituzione italiana: risorse aggiuntive per enti locali che devono investire per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, disposizioni specifiche per i comuni montani, forme particolari di autonomia finanziaria e di autogoverno alle province montane.

Gianclaudio Bressa

Particolarmente forte su questi argomenti è la voce dell’onorevole Gianclaudio Bressa, del presidente della provincia di Belluno Sergio Reolon e della vicepresidente del Consiglio provinciale Claudia Bettiol.

Non dimenticando la risoluzione votata fin dal 18 novembre 1991 dal consiglio comunale di Cortina d’Ampezzo che chiedeva il passaggio del Comune alla provincia di Bolzano, avendo ben presente la volontà esplicita di gran parte del feltrino di passare con Trento, vedendo affermarsi richieste anche corporative e di puro assalto alle risorse territoriali, come quelle riguardanti la liberalizzazione delle centraline idroelettriche, o l’auspicio di poter usufruire dei benefici dell’economia assistita nei settori del turismo, dell’industria alberghiera, i rappresentanti del centro sinistra riportano il tema nei binari veri, e reali: quelli della necessità di investire in politiche specifiche della montagna. Attraverso la richiesta di una autonomia speciale per il bellunese.

Anche questi passaggi risultano però deboli, in quanto privi di una regia politica più ampia, condivisa dai partiti nazionali, una politica che costruisca rete ed alleanze importanti. Queste alleanze dovrebbero trovare protagonisti i presidenti delle province di Trento e Bolzano, i parlamentari di queste province e di quella di Sondrio (afflitta da problemi praticamente identici, schiacciata com’è dal centralismo della Regione Lombardia) e all’interno del programma di governo del centro sinistra.

E invece anche all’interno di questo schieramento si ha timore di parlare della necessità di politiche specifiche per la montagna. Parlare di montagna significa chiedere con voce autorevole la necessità di fondi specifici per lo sviluppo, per la gestione del territorio, di politiche diverse nei settori dell’agricoltura e della gestione dei suoli da quelle che interessano i territori di pianura.

Significa concordare alleanze strategiche con le province montane non solo delle Alpi, ma anche dell’Appennino.

Significa affermare i principi della Convenzione delle Alpi e porre con forza, all’interno del programma politico, la necessità del limite.

Sergio Reolon, presidente della Provincia di Belluno.

E questo passaggio non piace al centro sinistra, lo si capisce in modo inequivocabile e triste nella vicenda TAV della Valle di Susa: la politica nazionale non ha presente il fatto che le politiche per la montagna devono basarsi sulla concretezza del limite, sulla necessità di conservare paesaggi e biodiversità, sull’evidenza che i limiti, le creste e le vette delle montagne impongono a tutti i cittadini e ai valligiani maggiori oneri nel diffondere ed erogare servizi e prestazioni, nel costruire sul territorio nazionale solidarietà ed equità.

Questi passaggi non sono stati ben compresi nemmeno dai promotori dei diversi referendum che chiedono l’annessione alle province autonome: in troppe affermazioni troviamo presenti aspetti egoistici ed incapacità di progettualità ampie e quindi politicamente credibili.

Come abbiamo detto, Trento e Bolzano non stanno certamente aiutando a crescere e maturare questo processo di identità; preferiscono rimanere alla finestra ed irridere con superficialità le battute e le disavventure del governatore veneto. Ma così facendo la loro stanca autonomia può sopravvivere senza dover interrogarsi, senza dover confrontarsi, senza dover costruire rete nazionale con le province montane dell’intero territorio nazionale e di oltralpe.