Museo storico: più politica che storia?
Il Museo voluto da Dellai, per “valorizzare la storia del Trentino e del Tirolo storico”. Un’iniziativa dal profilo organizzativo ambiguo e dalle prospettive culturali discutibili. Che solleva un dubbio di fondo: non è che si vuole la Storia ancella della Politica?
Per chi assegna valore alla formazione della coscienza storica la notizia dovrebbe essere di straordinaria rilevanza. Con tutta urgenza, scavalcando tempi e procedure della legge sulla cultura, è stata inserita nel bilancio provinciale, e con esso approvata, la costituzione di un nuovo museo storico. Riportiamo innanzitutto il testo, che nella stessa formulazione porta le tracce di un aggiustamento in corsa: “Dopo l’articolo 35 della legge provinciale n. 3 del 2006 è inserito il seguente art. 35 ter. 1. La Provincia promuove la costituzione della fondazione denominata “Museo storico del Trentino”, per la realizzazione e l’organizzazione di attività di esposizione permanenti e temporanee di tema storico, nonché per la valorizzazione della storia della città di Trento, del Trentino e dell’area regionale corrispondente al Tirolo storico, attraverso attività di studio, ricerca, formazione e divulgazione. Alla fondazione partecipano in qualità di soci fondatori, oltre alla Provincia, il comune di Trento e l’associazione Museo storico in Trento. Alla fondazione possono inoltre partecipare in qualità di soci fondatori o di soci aderenti il comune di Rovereto, l’associazione Museo storico italiano della guerra di Rovereto nonché altri soggetti pubblici e privati senza scopo di lucro”.
Come può accadere che stia per nascere il Museo storico del Trentino e non se ne discuta a fondo, non se ne illustrino i lineamenti né le ragioni profonde, non esista un documento di qualche spessore che orienti la riflessione?
Una prima ragione sta nel profilo basso con cui si è presentata l’iniziativa, finché essa era un articolo della legge Cogo sulla cultura. Si tratta di garantire una maggiore solidità al Museo storico in Trento, si diceva, essendo la forma associativa attuale troppo fragile, superata dai tempi, inadatta a intercettare e gestire adeguate risorse finanziarie. La fondazione proposta sembrava una soluzione intermedia tra la situazione attuale e la piena trasformazione in museo della Provincia. La discussione si era così concentrata, in occasione delle assemblee annuali, sul pericolo di una restrizione dell’autonomia culturale dell’istituzione, pressata da una committenza politica che poteva invaderne gli ambiti, sconvolgerne metodi e priorità. La linea di marketing reclamizzata era allora quella del “progetto memoria”, un terreno più di altri complesso e delicato.
Non fu solo chi scrive a paventare la trasformazione del museo in una sorta di servizio “storia e memoria” della PAT, che ne avrebbe compromesso la possibilità di continuare ad essere spazio di riflessione critica non condizionato direttamente dal Palazzo. A bilanciare questa preoccupazione, c’era peraltro la mobilitazione di energie giovanili, la molteplicità delle iniziative nuove, la rinnovata fecondità di quelle ormai consolidate (a partire da quell’archivio della scrittura popolare che rimane un filone inesauribile di materiali preziosi, per la ricerca storica e per un lavoro sulla memoria che non voglia ridursi a un caleidoscopio di frammenti).
Il Museo di Trento è un’istituzione amata e che merita riconoscenza, da parte di chi si occupa di storia: affondare i colpi nei confronti della volontà di farla crescere appariva (e appare) ingiusto, oltre che doloroso, anche per chi nutriva perplessità più forti. Tra queste, quelle derivanti dall’inquietante definizione dei compiti. “La città di Trento” “il Trentino”, “l’area regionale corrispondente al Tirolo storico”: niente Italia e niente Europa, nella Trento di Cesare Battisti e di Alcide De Gasperi?
Le emozionanti e ricchissime carte del Museo documentano un pezzo significativo della storia italiana, del Tirolo storico riflettono tutt’al più l’unilateralità nazionale e la chiusura al mondo moderno che gli attribuivano i suoi oppositori. Un riferimento più ampio ha senso se si valorizza la regione, o tutto ciò che ha a che fare con una dimensione europea proiettata sul presente e sul futuro: la demarcazione vetero-tirolese fa pensare piuttosto a una restrizione d’orizzonti che a un ampliamento. A De Gasperi non sarebbe piaciuta, siamo convinti, vi avrebbe avvertito un’immagine statica (peggio, reazionaria) della stessa Austria in cui si formò la sua prospettiva europeistica, a Vienna piuttosto che a Innsbruck, però. Corrisponde a una prospettiva storiografica o a una metafora politica, questa delimitazione? Anche questo tema abbiamo sollevato più volte, senza il conforto di una risposta, che è lecito aspettarsi sul piano della storia, prima che su quello dell’attualità di una Provincia che si vorrebbe Land.
L’altra fonte di un dubbio che si è man mano fatto certezza era quello del rapporto squilibrante che si va a creare tra questo museo storico del Trentino e della città di Trento da una parte, il variegato arcipelago dei soggetti che si occupano degli stessi temi dall’altra. Parliamo di musei, anzitutto.
Il Museo della Guerra di Rovereto si può considerare un fratello (anche se non proprio gemello) di quello che nacque a Trento come Museo del Risorgimento. Nati dalla prima guerra mondiale e dalla costruzione della sua memoria storica, l’uno e l’altro: simbolicamente operanti dentro i due castelli, legati fin dall’origine da patti che cercavano di evitare sovrapposizioni e invasioni, capaci in anni recenti di intense collaborazioni come la collana “Scritture di guerra” e la produzione della grande trilogia filmica di Gianikian e Ricci Lucchi, trasformati ambedue da una comune sensibilità ai processi culturali che negli ultimi decenni hanno innovato il modo stesso di intendere la storia. Simili anche per fisionomia organizzativa e per dimensioni dei rispettivi bilanci. Una situazione favorevole per spingere oltre la collaborazione, pensavamo qualche anno fa, per integrare ulteriormente progetti e risorse.
Nel momento in cui il museo trentino veniva candidato ad essere il soggetto per eccellenza delle politiche e dei finanziamenti della Provincia, il fratello roveretano ha capito passo su passo di essere condannato (perché? per decisione di chi?) ad una dimensione eccentrica e affidato sempre di più alle cure paterne del Comune. Di qui infine il soprassalto che ha condotto all’attuale compromesso. Trento e il suo museo saranno assunti per primi nel cielo della Fondazione provinciale, ma Rovereto (e il suo) vi potranno partecipare, come cofondatori o forse, ben riduttivamente, come soci. Per costruire quale Museo del Trentino? Con quali progetti culturali? Con quali percorsi per definirli? Con quale coinvolgimento degli altri soggetti che operano nello stesso campo, tra i quali la più antica istituzione culturale della regione, l’Accademia degli Agiati, una rivista dalla tradizione prestigiosa come “Studi Trentini”, per non parlare dell’Istituto italo-germanico e dell’Università, nonché delle molte e spesso vitali esperienze locali e altro ancora?
Il panorama della ricerca storica in Trentino è molto ricco. Cosa ne sa, come lo sa, il potere politico e burocratico che legifera sul modo di sostenere e organizzare la ricerca? Come intende mettere a frutto questa ricchezza chi sta parlando di musei e, suscitando ulteriori interrogativi, di mausolei? Ripensando a questo percorso avvertiamo un senso di asfissia letale, dal quale bisogna uscire al più presto, per respirare l’aria fresca di un dibattito vero.