Le nostalgie asburgiche del Principe Dellai
Dall’esaltazione di Degasperi e del “Tirolo storico” alla legge sulla scuola e alla politica ambientale.
Il 5 settembre vi è stata la solenne celebrazione per il 60° anniversario dell’accordo De Gasperi–Gruber, con la consacrazione agli altari (per ora quelli della politica, un domani quelli della santità) dello statista trentino. In questa occasione il Landeshauptmann Dellai ha lanciato l’obiettivo di "una forte Euroregione del Tirolo storico, quale vera prospettiva del nostro futuro". Tanto, ha aggiunto il Landeshauptmann, da dover riscrivere i libri di storia, specie dopo l’approvazione della legge di riordino della scuola con cui, oltre allo scandalo del finanziamento alle scuole private, si è introdotto l’obbligo dello studio della storia locale.
Più si conosce la storia, meglio è per tutti, ma il disegno in cui si inserisce questo obbligo determina un qualche timore. Almeno in quella larga parte di trentini laici, un po’ socialisti, un po’ repubblicani, certamente non democristiani, che in questo disegno non si riconoscono. Quella parte di trentini che, il 20 settembre, si sono ritrovati per celebrare la breccia di Porta Pia: un tempo festa nazionale, ora ricordo di pochi ma tenaci difensori del sacrosanto principio della laicità dello Stato e, per quanto ci riguarda, della Autonoma Provincia di Trento.
Nulla di grave se quella di Dellai fosse una leggera infatuazione per quel Tirolo storico contro il quale, da sindaco di Trento, tuonava in nome dell’italianità trentina. Le infatuazioni vanno e vengono e del resto la complessità della nostra storia (mia nonna era deportata a Katzenau mentre suo padre, controvoglia, combatteva con la divisa dei Kaiserjaeger) consente di divenire tifosi del vecchio Cecco Beppe come del martire Battisti (Italiani maledetti, maledetti Austriaci!). Così Dellai, da sindaco di una italianissima Tridentum romana, celebrava una italianità che oggi, da presidente della Provincia, dimentica per lasciare spazio alle nostalgie periferiche per il kakaniko Impero, tanto da farsi vedere, spesso e volentieri, ai picchetti d’onore dei molto poco credibili Schützen trentini.
Se si tratta del solito giuoco delle parti cui la politica ci ha abituati, allora il tutto è facilmente comprensibile. Se però si tratta di un disegno teso a dare al Trentino nel suo complesso una identità monoculturale fatta di nostalgie ceccobeppiane e di santità degasperiane, allora è bene che qualcuno si organizzi per fermare questa deriva di stampo clerical-conservatore prima di arrivare a proporre come santo anche quel talebano di Andreas Hofer.
Sulla appartenenza del Trentino al Tirolo storico, qualunque sia il libro di storia su cui si vogliono far studiare i nostri giovani, non vi è molto da dire. Il Trentino è sempre stato, sotto ogni profilo, nella sfera italiana: dai tempi dei Romani, passando per i Longobardi, i Franchi, i Sassoni, gli Svevi e via via arrivando fino a Napoleone. Il Trentino è rimasto di cultura, di tradizioni e di lingua italiana anche in quei 106 anni (1813-1919) in cui la dominatrice era l’Austria. Una dominatrice di cui oggi si vuole ricordare il volto rassicurante di Cecco Beppe e quello romantico della sua sposa Sissi, ma che molti ricordano per la spietatezza con cui veniva punito il minimo dissenso politico, anche in Trentino.
Anche il rilancio della figura di Degasperi, per lungo tempo dagli stessi trentini dimenticato, rientra in un disegno preoccupante. Sulla santità dell’uomo meglio sorvolare. Primo, perché non è materia per storici e politici; secondo, perché non posso pensare alla beatificazione di un uomo che si accodò all’antisemitismo del suo tempo; o che, in occasione della riapertura del Parlamento austriaco dove sedeva lo stesso Battisti, il 12 luglio 1917, ad un anno esatto dal martirio di un suo conterraneo, non trovò una parola, una preghiera, un ricordo del martire trentino. Il punto vero è però come quest’enfasi debordante sul politico cattolico, democristiano, santo, parta da, e a sua volta ribadisca un presupposto molto opinabile: che la storia del Trentino è storia dei cattolici.
I trentini, per tradizione, anzi, per natura, sono moderati, conservatori, clericali. Quindi i Battisti, socialisti e libertari sono assolutamente secondari. E questa distorsione è così profonda, che si mette la sordina anche ai Degasperi, quando escono dallo spartito: su papà Alcide, cattolico ma non clericale, si stende un velo d’oblio in merito al suo rifiuto di sottomettersi a Pio XII, e ai conseguenti aspri contrasti con i clericali come Luigi Gedda (quello dei Comitati Civici)
Fin qui gli aspetti storici e ideologici di una lettura distorta e conservatrice della nostra presunta identità trentin-tirolese, e se di questo si trattasse non sarebbe poi gravissimo. Poco più che un messaggio di pipititina memoria, seppur con qualche pennellata in più di modernizzazione e qualche accenno folkloristico in meno. Ciò che invece va osservato con maggiore attenzione è quanto di questa ventata clerical-conservatrice di stampo pantirolese finisce con il trovare spazio nell’azione di governo di questa maggioranza provinciale e di questa giunta. Mi limiterò a due esempi significativi: la legge che ha istituito le Comunità di valle e la legge di riforma del sistema scolastico trentino. Due leggi invise nella sostanza alla sinistra laica e riformista, ma che sono passate, non con il mio voto, in nome di una alleanza il cui prezzo è per la sinistra trentina sempre più oneroso.
Con l’introduzione delle Comunità di Valle, anziché semplificare il sistema istituzionale trentino eliminando i Comprensori in favore del livello provinciale per la programmazione e del livello comunale per la gestione dei servizi, si è voluto dar vita ad un ente intermedio tra Provincia e Comuni. Ciò comporterà un aumento della spesa pubblica, una maggiore burocrazia e soprattutto un maggior controllo politico del territorio provinciale. Un maggior controllo del centro sulle vallate e una diminuzione dei poteri ai centri cittadini, tanto da obbligare Rovereto ad associarsi, perdendo quel ruolo di città che ha sempre avuto e che ora spetta solo a Trento. Un po’ appunto come nel vecchio principato vescovile (a cui guarda con nostalgia il Presidente Dellai), quando all’autonomia delle città e alla loro politica progressista si contrapponeva il pensiero nostalgico e conservatore delle vallate. Con buona pace di Rovereto, città dei lumi e delle accademie culturali, alla quale, non a caso, è stato tolto, di fatto, lo status di città.
Lo stesso ragionamento vale per la legge sulla scuola, con l’introduzione del finanziamento alle scuole private anche per le attrezzature. Nove milioni di euro (18 miliardi delle vecchie lire) sono stati consegnati dalla Provincia, e chissà quanti ancora ne arriveranno con l’approvazione delle legge di cui sopra, al nuovo liceo linguistico della Curia a Rovereto. Uno scandalo in sé, ma ampliato e reso indecente dal fatto che quei soldi, di fatto, sono stati sottratti al liceo pubblico sito di fronte a quello cattolico in cui, tra l’altro, gli insegnanti sono assunti solo se ligi alla morale cattolica. Pagati poco, sfruttati abbastanza, e il tutto in funzione di una concorrenza alla scuola pubblica per cui ancora oggi mi domando come i DS, vice presidente Cogo in testa, abbiano votato una tale legge. Lo han fatto a bassa voce e si capisce perché.
Gli esempi di una ricerca dell’accentramento del potere nelle mani del Principe vescovo sono molti e vanno ricercati anche nel quotidiano amministrare. Sempre maggiore è l’insofferenza dei dirigenti e dei funzionari provinciali a fronte delle continue interferenze del livello politico nelle procedure amministrative, che come tali dovrebbero garantire l’imparzialità della pubblica amministrazione. L’eccessiva presenza di ex sindaci, spesso delle periferie, in Giunta, ha peraltro rafforzato questa pratica, abituati com’erano, e in quanto sindaci era cosa buona e giusta, a occuparsi del quotidiano, risolvendo giorno per giorno i problemi dei propri censiti. La Giunta provinciale è però organo di governo di un piccolo Stato e come tale dovrebbe occuparsi delle linee strategiche e non del quotidiano, lasciando a dirigenti e funzionari di attuare le decisioni della politica. Il che oggi non accade, e la vicenda ultima dei SIC in materia ambientale la dice lunga: "Sono troppi e sono stati decisi dalla burocrazia" - ha sentenziato Dellai. "Spostiamoli" - gli ha fatto eco qualche assessore.
Ma lo stesso dicasi in ambito culturale, dove si distribuiscono contributi a pioggia in nome non del sostegno a progetti di eccellenza ma della parità territoriale: un tanto per il Mart e un tanto per le sagre nei paesi. Senza nulla togliere alle seconde, non credo tocchi al livello provinciale occuparsi di tradizioni che spettano alla autonomia, anche finanziaria, degli abitanti del luogo.
Forse ho esagerato nel dipingere la situazione, ma a fronte di un auspicio del Presidente a rifondare il Tirolo storico riscrivendo la storia della nostra provincia è meglio alzare la guardia e chiamare a raccolta tutti coloro che, da trentini, non si sono mai sentiti e mai vorranno tornare ad essere sudditi di qualcuno: non di un qualsiasi imperatore, ma neppure di un più moderno Principe vescovo.