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QT n. 8, 19 aprile 2008 Servizi

Il flop del “partito territoriale”

PD, PdL, Lega: eredità di Prodi, fusioni, vittorie, sconfitte, militanza, in un Trentino che non sembra più avere progetti per il futuro.

Molte sono le tematiche aperte dal risultato delle recenti elezioni politiche. A livello nazionale, alcune le illustra Renato Ballardini nell’editoriale a pag. 5; altre le approfondiremo nei prossimi numeri, a partire dal fenomeno Lega e dalla scomparsa della sinistra doc.

Foto di Marco Parisi.

In queste righe sul voto nazionale ci limitiamo a sintetizzare alcuni concetti. Il giudizio non poteva che essere, nonostante gli sforzi di Veltroni, sul governo uscente, che aveva al proprio attivo un grande merito, aver rimesso in ordine i conti pubblici. Cosa che comportava però una politica dei due tempi: prima una stretta fiscale (anche attraverso la lotta all’evasione, doverosa ma che qualcosa elettoralmente costa), cui sarebbe seguita una politica più espansiva. Solo che il secondo tempo non c’è stato, si è andati a votare appena finita la fase di lacrime e sangue (grazie all’insipienza di Veltroni, che si è messo a rivoluzionare il quadro politico nel momento meno opportuno, rimettendo in sella un disarcionato Berlusconi e terremotando il governo).

Non solo: sugli altri tre campi d’azione su cui Prodi aveva indicato si dovesse giocare il rilancio del sistema Italia – concorrenza e liberalizzazioni, legalità e giustizia, istruzione e ricerca – ci si è impegnati solo timidamente (Bersani e Gentiloni) o per niente (Mussi e la ricerca) o in negativo (Mastella e l’indulto).

Prodi quindi si è trovato ad avere sul groppone l’impopolarità degli esiti di una politica rigorosa, i riflessi nazionali di una stagnazione e inflazione internazionale, senza poter far vedere i nuovi traguardi di una politica innovativa, promessa ma non ancora perseguita. A questo vanno aggiunte due vicende, gravi e soprattutto emblematiche, in cui il governo ha dimostrato una preoccupante impotenza: la vendita di Alitalia, che penosamente si trascina da un anno e mezzo coinvolgendo anche pesanti responsabilità dei sindacati, percepiti come collaterali al centro-sinistra; e lo scandalo della monnezza, di cui non si è saputo né perseguire le responsabilità politiche, né dare soluzioni (il deus ex machina De Gennaro, già responsabile – ora anche penalmente – della repressione di Genova 2001, si è dimostrato impotente, né era logico aspettarsi altro).

In tale situazione Veltroni (aiutato da un Berlusconi imbolsito, per quanto sostenuto dal suo ambaradan mediatico) ha fatto il miracolo di limitare i danni, rimediando una sconfitta onorevole, che lo pone nella condizione di poter senza troppi affanni costruire dall’opposizione il nuovo partito, che ancora non è sufficientemente definito, come evidenziato dalle troppe promesse a 360 gradi, dai troppi "ma anche..." giustamente irrisi da Crozza.

Ma sempre di sconfitta si è trattato.

Veniamo ora al Trentino, che ha ricalcato i dati nazionali: vittoria di Berlusconi (43,9% contro il 37,1 di Veltroni) grazie all’exploit della Lega (16,4% con i voti più che raddoppiati), tenuta dell’Udc (6,4%), scomparsa della Sinistra Arcobaleno (3%, dal 10,1 del 2006).

Ma il primo dato più specificamente locale (che mentre andiamo in stampa sta portando subito brusche ripercussioni) è il flop del dellaiano "partito territoriale" che aveva voluto debuttare al Senato con una deliberata presa di distanza dal PD, fino a inviare agli elettori una lettera, firmata da sindaci e assessori di Margherita e DS, in cui si dice: "Alla Camera votate per il vostro partito (cioè per chi volete, n.d.r.), al Senato votate SVP – Insieme per le Autonomie". In pratica il "partito territoriale" rinnegava il Partito Democratico; ovvio che poi non potesse pretendere di farne il pieno dei voti. E così una parte degli elettori praticava il voto disgiunto: alla Camera votava PD, al Senato, invece del partito territoriale, votava Sinistra Arcobaleno (che schizzava dal 3% della Camera all’8-9% del Senato, trasformando il Trentino nell’ultima regione rossa) e così affossando due candidati su tre; e non a caso l’unico eletto, Molinari, è quello più favorevole al PD).

"La rinuncia al Senato al simbolo del PD, e la maniera in cui si è arrivati alle candidature (decise in vertici riservati, altro che primarie!, n.d.r.) ha pesato molto" ammette Luca Zeni della Margherita.

"E’ un risultato tragico – afferma Giorgio Tonini, dei DS oggi PD, senatore uscente di Trento testé rieletto nelle Marche – Vuol dire che non si riesce a sviluppare una prospettiva maggioritaria: a mettere insieme la sinistra e il Patt-Svp".

A noi sembra il dilemma della coperta troppo corta: o si copre una parte, o l’altra. Il problema è di fondo: il partito "territoriale" è un’invenzione estemporanea per coprire carenze di proposte, non nasce con un progetto che unifichi, ma solo sulle mascherate, come quella di Dellai che si veste in loden e va con gli schutzen alle rievocazioni di Massimiliano I. E’ l’equivoco di base: cercare di imitare la Svp e il suo partito di raccolta, ma nel momento in cuiquel modello è in crisi verticale (la Svp ha toccato il minimo storico) e non è congruente: "In Trentino non esiste un fattore etnico che autorizzi la nascita di un partito come la Svp" conferma Marco Brunazzo, ricercatore di Scienze Politiche.

Con Brunazzo analizziamo le cartine sul voto in Trentino (da lui elaborate) che qui riportiamo. In quella relativa al PD, si può vedere come gli incrementi di voti del PD rispetto all’Ulivo del 2006 siano distribuiti un po’ in tutta la provincia; ma siano particolarmente significativi nell’asta dell’Adige e nella zona di Riva. E d’altra parte anche il Popolo delle Libertà, che perde ovunque rispetto al 2006, a favore della Lega, perde comunque di meno nelle città.

Nelle due cartine (su elaborazioni dei dati elettorali del dott. Marco Brunazzo di Scienze Politiche) vengono raffrontati i risultati elettorali del Partito Democratico (con l’Ulivo) e del Partito delle Libertà (con Forza Italia e An). I raffronti chiaramente non indicano chi ha vinto le elezioni, bensì quanto e dove sono riusciti i processi di unificazione dei due nuovi partiti. A determinare il risultato elettorale c’è stato infatti l’apporto decisivo della Lega, qui non considerato.

"Sono due partiti con decisi connotati nazionali, quindi più forti nei centri urbani – afferma Brunazzo – In particolare il PD è stato percepito come un progetto nuovo: non più l’unione di più partiti che si mettevano assieme contrattando tra loro e con gli alleati, bensì un’entità già unificata, più credibile come forza di governo. E questo è stato il senso del voto, che ha limitato la sconfitta del centro-sinistra e condannato invece la sinistra alternativa: un voto per le forze che sono in grado di esprimere un progetto di governo.".

Nella sconfitta di Veltroni, c’è infatti un elemento di indubbio successo: il PD ha ricevuto più consensi della somma dei partiti che l’hanno generato, mentre invece per il PdL è vero il contrario: la somma di Forza Italia e An dà cifre di molto inferiori al risultato del Popolo delle Libertà. Il risultato della contesa l’ha determinatola Lega: infatti mentre il PD ha cannibalizzato gli ex-alleati, la Lega ha sì mangiato parte dei voti del PdL, ma ne ha recuperato altri, anche a sinistra.

"E’ indubbio, la concorrenza della Lega ha eroso i voti di chi, di Forza Italia e di An, non ha visto con favore l’unificazione – afferma Ettore Zampiccoli, di Forza Italia – In questa dinamica ha pesato anche il modo di far politica della Lega, sempre presente sul territorio in tutte le situazioni di crisi. Si tratta in parte di un modello organizzativo, in parte anche di una genuina sensibilità popolare".

"Non è sufficiente scovare il malcontento e magari alimentarlo, come fa la Lega – afferma Zeni – Però è indubbio che dal loro dobbiamo imparare a stare vicini a chi ha motivi di insoddisfazione, ad ascoltare. Il problema è il radicamento culturale e politico sul territorio, anche per contrastare, con il dialogo, la deriva meramente protestataria, che non si fa carico della complessità della società".

Torniamo alle cartine, per paragonarle a quelle che sempre il dott. Brunazzo aveva elaborato sulle elezioni del 2006 (Elezioni: Trento assediata dalle valli). Si vede un Trentino diviso tra città (che propendono per il centro-sinistra) e valli, che tendono a destra. Solo che in questi due anni le valli, le campagne, sono avanzate, e ormai assediano le città. Forse ad indicare anche l’impasse delle politiche della Giunta provinciale, che molto spende in contributi, ma che alle periferie non sa dare prospettive.

"C’è chi dice che questa differenza sta nel fatto che a Trento risiede l’intellighentzia, e nelle valli l’ignoranza – risponde Zampiccoli – Sbagliano. Anche se è vero che nelle città c’è più sensibilità per le tematiche della sinistra, il problema è un altro: nelle città ci sono i ceti burocratici, nelle valli ci sono gli artigiani e gli albergatori che rischiano in proprio".

"Questa divaricazione si è accentuata pericolosamente, non me ne stupisco – afferma Tonini – Due anni fa dicevamo che bisognava elaborare e attuare una politica della modernizzazione che saldasse la città con le valli, dando ad entrambi una prospettiva per il futuro. Non s’ è fatto niente. E sperare di comperare il voto di valle col clientelismo è illusorio. Perché bisogna pagare sempre di più, se no si viene traditi: è un processo senza sbocchi. Si arriva alla magnadora, che è il penultimo atto".

Ed ecco quindi che, se non c’è un progetto politico vero, ma solo il suo surrogato travestito da "territoriale", non si riesce a unificare aree urbane e periferie, e si rincorre ora il voto di sinistra, ora quello autonomista.

"La questione non è se la coperta va tirata da una parte (fare il PD) o dall’altra (allearsi con il Patt); il punto è allargare la coperta, avere un progetto complessivo".