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QT n. 10, 20 maggio 2006 Servizi

Mangiatoie, sindaci e politica

Le frizioni tra i sindaci e la Provincia. Problemi di persone, di istituzioni, di linea politica o di modello di sviluppo? Un confronto con Giorgio Tonini (Ds) e Marcello Carli (Udc).

L’arroganza dell’assessore Silvano Grisenti, con la sua battuta (battuta?) sull’altezza variabile della "magnadora", ossia sull’accessibilità ai finanziamenti provinciali, variabile secondo il comportamento politico del sindaco, ha tenuto ancora banco. Solo arroganza, oppure clientelismo, o ancora peggio, mafiosità? Su questo interrogativo si sono esercitati i quotidiani locali, e ne riferiamo a pag. 6.

Anche noi abbiamo approfondito l’argomento, in particolare sentendo varie voci, di diverso orientamento politico, di amministrazioni locali periferiche.

L'assessore ai Lavori Pubblici e agli Enti Locali Silvano Grisenti (Margherita).

Ci sembra di poter concludere che l’ipotesi più devastante è fuori luogo. Un sistema organizzato, di rigido collegamento finanziamenti-indirizzo politico (alla Luciano Moggi, per intenderci) non c’è. "Nella mia amministrazione, esplicite pressioni non ce ne sono mai state – ci hanno detto tutti i nostri interlocutori.

D’altra parte troppo semplicistica appare una visione di assoluzione "istituzionale", proposta da più parti.

Secondo questa interpretazione Grisenti sarebbe innocente semplicemente perché senza poteri: con le riforme degli ultimi 15 anni, i finanziamenti ai Comuni sono predeterminati, l’assessore ai Lavori Pubblici o quello agli Enti locali (nel nostro caso entrambe le cariche confluiscono appunto in Grisenti) non c’entra, i Comuni si gestiscono da soli. L’assessore provinciale interviene solo nel caso di "progetti sovracomunali" (per esempio una strada che collega terreni di più Comuni): ma in questo caso il rapporto non è più dell’assessore con il singolo sindaco, ma con più sindaci; il che rende molto più problematiche eventuali richieste indecenti.

Tutto questo è vero. Ed indica un’evoluzione positiva della nostra architettura istituzionale.

Però non esaurisce il problema; perché tutta una serie di interventi, decisivi per la vita di un Comune, riguardano competenze provinciali. Occorre ristrutturare una scuola, o farne una nuova? Ci deve pensare la Provincia. Va risistemata la strada (provinciale) o costruita una tangenziale? Come sopra. Lo stesso nelle località turistiche, per gli impianti di risalita, e per mille altri settori. E peraltro è giusto che sia così.

Insomma, l’idea che la Provincia e il povero Grisenti non contino nulla, è semplicemente fasulla. La Provincia – e quindi l’assessore – con le proprie decisioni influisce molto sulla vita dei Comuni. Ed è logico che sia così.

Insomma, è paradossale che si neghi l’esistenza di tale potere; invece il punto è: come viene usato? In poche, brutali parole: si tratta di un bluff, di arroganza o di mafia?

Vedo una forte arroganza, un modo scorretto di concepire e attuare una linea politica – ci risponde il consigliere Marcello Carli, dell’Udc – Siamo di fronte a comportamenti sbagliati anche dal punto di vista etico. Ed è paradossale, una stridente contraddizione politica, che questo accada mentre si porta avanti una riforma istituzionale attraverso la quale si vuole aumentare l’autonomia dei Comuni".

Anche l’on. Giorgio Tonini, dei Ds, non nega il problema: "E’ evidente che sta venendo al pettine un nodo antico: l’asimmetria tra il potere provinciale e le istituzioni comunali frammentate. Il sindaco di un Comune piccolissimo, di fronte a un assessore provinciale, si trova in condizioni di oggettiva debolezza. Per questo è importante la riforma istituzionale, con l’aggregazione dei Comuni nelle Comunità di valle. Quando arriveremo al presidente della Comunità eletto direttamente dai cittadini, avremo un assorbimento morbido dei Comuni in realtà più grandi. E un bilanciamento tra il potere di Trento e quello delle periferie".

Noi dubitiamo che a questo si arrivi (in Provincia lavora sodo la lobby dei sindaci, che vogliono mantenere il loro potere, piccolo ma tutto loro); invece per Tonini "si è aperto un processo, nelle valli si ragiona sugli ambiti, cioè sull’appartenenza dei Comuni ad entità più ampie".

Sulla necessità della riforma istituzionale concorda anche Carli, "perché porta maggior autonomia ai Comuni, e semplificazione amministrativa: non può essere che nella piana di Pinzolo ci siano 5 Comuni, 5 Piani Regolatori, 5 gestioni dei servizi sociali. E poi varierebbe il potere contrattuale con Trento. Comunque – aggiunge – il fatto che oggi ci troviamo di fronte all’arroganza dell’assessore, è anche indice di una debolezza politica: un governo provinciale politicamente forte non agisce così".

Secondo noi questo è un punto vero. Anche delimitando la portata della "magnadora" di Grisenti, anche registrando la non univocità delle reazioni tra i sindaci, è indubbia l’insofferenza delle amministrazioni periferiche; e degli elettori delle valli, che non a caso alle ultime elezioni hanno voltato le spalle al centro-sinistra.

Lo abbiamo già scritto: il modello Margherita (innovazione nelle città, clientelismo nelle valli) è entrato in crisi. Proprio nelle valli, dove i pur notevoli investimenti in infrastrutture non hanno creato consenso: gallerie, tangenziali, impianti di risalita, caserme dei pompieri, piscine, palazzetti, centri polifunzionali... un’orgia di costruzioni, miliardi di euro. Sotto l’attenta regia (e l’innegabile efficiente dinamismo) del superassessore Silvano Grisenti. E tutto si traduce in insoddisfazione, anzi in un boomerang: per il centro-sinistra, e in particolare per Grisenti.

Già se ne erano viste le avvisaglie alle provinciali del 2003, quando il bottino di preferenze di Grisenti era stato deludente. E ora le politiche di aprile, e la palese insofferenza dei sindaci.

A nostro avviso non è solo questione del carattere o della scarsa delicatezza istituzionale dell’assessore. E’ questione di linea politica. Ancor più, è questione di modello di sviluppo.

Un modello in cui "governare è asfaltare". In cui le infrastrutture non sono il mezzo (anzi, uno dei mezzi) attraverso cui promuovere l’economia; ma sono esse stesse l’economia, il punto centrale è la loro realizzazione, il giro di miliardi che costano, le imprese che sostengono. E’ il famoso discorso per cui in Trentino ad ogni problema si cerca una soluzione cementizia.

La sanità? Costruiamo un nuovo mega-ospedale (anche se il "vecchio" – del ’69! – è in fase di costosissima radicale ristrutturazione). Il trasporto pubblico? Costruiamo nuove stazioni (e poi i "centri intermodali" costati 11 milioni come quello di Pergine, sono inutilizzati, vedi QT dell’8 aprile). Il volontariato? Facciamo una nuova caserma per i vigili del fuoco. L’innovazione? Nuove sedi per le micro-imprese all’avanguardia...

E, invece, la banda larga non c’è ancora: su un’infrastuttura vitale per l’innovazione il Trentino si trova indietro, ad arrancare.

Questa impostazione mostra ormai la corda. Si comincia a percepire che costruire per costruire porta solo a dissipare soldi (oltre che ambiente). E soprattutto perché tutte queste infrastrutture vanno poi gestite e mantenute: e i Comuni cominciano ad avere grossi problemi a far quadrare i conti avendo sul groppone nuove piscine, palazzetti, impianti bellissimi da inaugurare ma terribilmente costosi da mantenere. Di qui il dubbio: stiamo andando nella direzione giusta?

Giorgio Tonini, dopo la difesa d’ufficio dell’alleato Grisenti ("Silvano non è solo asfalto e cemento, fa da sempre politica nella comunità; e lo si è visto anche recentemente, con il lancio della nuova iniziativa politica con Vittorio Cristelli" – difesa poco convincente, vistoche l’associazione "Prospettive" si è rivelata un bluff, in tre mesi non è stata convocata nemmeno una volta) affronta il cuore del problema:

"Se facilitare i collegamenti con le valli è stato il completamento dell’intuizione di Bruno Kessler, di pianificare il Trentino per mantenere la gente nelle valli, è vero che c’è stata un’eccessiva proliferazione di impianti e che l’ottica delle infrastrutture come fine invece che come mezzo è sbagliata. Nella società attuale l’aspetto fondamentale è giocato dalle dotazioni immateriali: formazione, cultura, connettività. Però su questo la giunta Dellai non è stata sorda, tutt’altro, ci sono stati gli investimenti e i risultati. Solo che non si è favorita un’evoluzione del sistema delle imprese in grado di assorbire la nuova manodopera altamente qualificata. E si ha un fenomeno inedito nel Trentino: il rischio di importare mano d’opera extra-comunitaria per mansioni dequalificate, ed esportare laureati trentini qualificati. Questo è lo snodo, il punto da risolvere, che si lega poi all’orientamento politico del territorio: sfruttamento ed evasione fiscale votano da una parte, innovazione e cultura votano dall’altra".

Marcello Carli parte da un dato dell’esperienza comune: "Basta vedere l’accesso a Trento alla mattina, semplicemente impossibile per via del fiume di auto. Quindici anni fa non era così, evidentemente si è sbagliato in qualcosa. Il punto non è fare nuove strade, ma avere una distribuzione territoriale diversa: dell’amministrazione, dei servizi, dello sviluppo".

E conclude: "Quando vediamo dei cantieri aperti, abbiamo l’idea che quello sia lo sviluppo. E questo è il messaggio della Giunta Dellai. Ma in economia non è così: le infrastrutture – ripete anch’egli questo concetto - sono il mezzo, non il fine. E anche sul tipo di infrastrutture avrei da ridire: la cablatura del Trentino – che oltretutto servirebbe proprio alle valli anche per evitare i viaggi a Trento – perchè se ne parla sempre ma non si fa?".