I mezzucci della Cdl: chi è causa del suo mal…
Come la Cdl pareggia alla Camera, vince al Senato ma perde le elezioni. Un caso da manuale: tutti i trucchetti escogitati per limitare i danni di una prevista sonora sconfitta, si rivoltano contro i (troppo) furbi ideatori.
Le urne ci hanno dunque consegnato il loro risultato. Nel momento in cui scriviamo la Cassazione non ha ancora emesso il verdetto ufficiale (attraverso la proclamazione degli eletti), ma secondo le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Ministero degli Interni il risultato delle elezioni non sarebbe in discussione.
L’Unione, dunque, ha vinto alla Camera con uno scarto dello 0,07 per cento, circa 25.000 voti. Un finale al fotofinish, che a molti ha ricordato il duello Bush-Gore delle presidenziali americane del 2000, quando il candidato repubblicano la spuntò per soli 537 voti di scarto nel collegio della Florida (peraltro dopo una contesa giudiziaria durata settimane e conclusasi con una sentenza della Corte Suprema). Grazie al premio di maggioranza, nonostante la vittoria sul filo di lana, il centrosinistra potrà comunque contare su un ampio margine di vantaggio a Montecitorio (341 seggi contro i 277 della Cdl, divenuti, coi seggi assegnati agli italiani all’estero, 348 contro 281).
Tuttavia, com’era forse inevitabile di fronte ad un simile responso, la Casa delle Libertà sta cercando di aggrapparsi ad ogni appiglio per rimettere in discussione il risultato: si sono chiamati in causa i voti contestati, le schede nulle, quelle bianche, gli scatoloni dimenticati dal personale addetto alle pulizie, la presunta illegittimità di alcune liste e addirittura – e qui siamo alla paranoia – i brogli.
Sul Senato, invece, in termini di voti complessivi è stata la Cdl a spuntarla sull’Unione, con uno scarto dello 0,7 per cento, pari a circa 220.000 voti. Tuttavia, il meccanismo di attribuzione dei seggi per il Senato, che prevede premi di maggioranza regione per regione, ha prodotto come risultato finale 155 seggi per la Cdl contro 154 per l’Unione, vale a dire un solo seggio di vantaggio per i vincenti, che però, coi seggi assegnati agli italiani all’estero, sono diventati rispettivamente 156 a 159, consegnando così anche il secondo ramo del Parlamento al centrosinistra (maggioranza in Senato che risulterà ancora più solida grazie al voto dei senatori a vita: incerto il comportamento di Cossiga e Andreotti, ma sicuro appoggio al nuovo Governo da parte di Pininfarina, Scalfaro, Colombo, Levi Montalcini, Napolitano e – salvo riconferma – Carlo Azegli Ciampi, che consentiranno al centrosinistra di avere un margine di dieci seggi di scarto).
Ripensando a quanto accaduto prima delle elezioni, è inevitabile fare ora alcune considerazioni, anche a rischio di passare per coloro che infieriscono sui perdenti.
Anzitutto, come sappiamo, la nuova legge elettorale (ormai etichettata "Porcellum") è stata varata dal Parlamento a soli quattro mesi dalle elezioni, a colpi di maggioranza e con l’opposizione ferma e totale del centrosinistra.
Si è trattato di un fatto gravissimo, poiché ha violato una regola non scritta e tuttavia fondamentale per poter affermare di essere in democrazia: le leggi elettorali si fanno assieme e, soprattutto, non si cambiano a ridosso delle elezioni. Come ha scritto il costituzionalista Francesco Palermo in un bel fondo comparso sul Trentino del 7 aprile, si sono violati "i principi del codice elettorale dell’OSCE, che impegnano i paesi democratici a non cambiare le regole elettorali nell’anno precedente le consultazioni, ed anche per questo per la prima volta nella storia le elezioni italiane saranno ("sono state", il pezzo è stato pubblicato prima del voto, n.d.r.) monitorate da osservatori internazionali".
Ma qui, se si vuole, c’è stato anche di peggio: perché chi ha varato quella riforma l’ha fatto senza neppure nascondere che lo scopo era quello di penalizzare gli avversari. Anzi, l’estensore materiale della riforma, il leghista Calderoli, si vantava di aver fatto "una porcata" (di qui il nomignolo della riforma) e, sogghignando, affermava che la sua creatura avrebbe riservato, dopo il voto, amare sorprese all’Unione.
Nel corso del dibattito parlamentare sulla riforma, di fronte ai rilievi del centrosinistra che sottolineavano come il ritorno al proporzionale avrebbe rischiato di sfasciare il bipolarismo e di mettere in pericolo la governabilità del Paese, il Governo ribatteva che con la nuova legge sarebbe bastato un solo voto di scarto per far scattare il premio di maggioranza e garantire così la stabilità. Eccoli serviti!
E la contesa sulle schede nulle, come quella sulla corretta interpretazione di alcuni fantomatici cavilli della legge elettorale? Nel 2001, qualcuno se lo ricorderà, rimasero vacanti una dozzina di seggi della Camera: secondo la legge elettorale di allora quei seggi si dovevano assegnare al centrosinistra. Il nostro ordinamento, tuttavia, prevede che sia il Parlamento stesso (attraverso una commissione chiamata "giunta per le elezioni", composta rispecchiando i rapporti tra maggioranza ed opposizione) a decidere inappellabilmente su ogni eventuale controversia relativa all’interpretazione del voto. Si tratta di un’evidente anomalia, che confonde il giocatore con l’arbitro, e non a caso altrove nel mondo è l’organo giudiziario a dirimere queste controversie. Tuttavia, la buona prassi consolidatasi nel corso della prima Repubblica – la giunta per le elezioni funzionava come una sorta di collegio giudicante interno al Parlamento – non aveva mai fatto emergere il problema. Questo fino al 2001, quando quella commissione fu, per la prima volta, utilizzata in maniera spregiudicata, rispondendo solo agli interessi della maggioranza: i seggi spettanti al centrosinistra, con voto a maggioranza della giunta per le elezioni, si decise di non assegnarli per niente (violando addirittura, oltre che la legge elettorale, anche la Costituzione, che fissa in 630 il numero dei deputati). Ebbene, anche alla luce di quell’episodio, nella legislatura appena conclusasi il centrosinistra ha avanzato la proposta di assegnare alla Suprema Corte il compito di decidere sulle controversie, modifica ritenuta necessaria anche e soprattutto in virtù del fatto che ci troviamo oggi in un sistema politico bipolare. Ma quella proposta, guarda caso, è caduta nel vuoto, per volere del centrodestra.
Ecco, oggi, una volta superato lo scoglio della proclamazione degli eletti (che quando Questotrentino andrà in stampa dovrebbe essere già avvenuto), la competenza di decidere sulle questioni sollevate in questi giorni dalla Cdl passerà alla "giunta per le elezioni" del nuovo Parlamento, in altre parole, per volere della Cdl, all’Unione. E come si suol dire: chi la fa, l’aspetti.
Veniamo al Senato. Il centrodestra ha varato la riforma elettorale per quel ramo del Parlamento col preciso (e sbandierato!) obiettivo di impedire al centrosinistra, dato per vincente dai sondaggi di almeno 5 punti, di conquistare la maggioranza a Palazzo Madama. Con l’obiettivo, insomma, di provocare un pareggio forzato, che avrebbe impedito all’Unione di governare, avrebbe salvato il centrodestra dall’onta della sconfitta, avrebbe salvaguardato Berlusconi, per altri cinque anni, dalle inchieste giudiziarie ed avrebbe obbligato il Parlamento a dare vita ad un Governo di larghe intese.
Le cose sono andate esattamente all’opposto: a vincere sul Senato, in termini di voti, è stato il centrodestra, ma ad avere la maggioranza a Palazzo Madama sarà il centrosinistra.
In definitiva, tenendo conto dell’esito complessivo del voto, si potrebbe dire che le elezioni sono state vinte dal centrodestra (grazie al sostanziale pareggio alla Camera ed al leggero vantaggio al Senato), ma la legge elettorale, voluta dalla Cdl allo scopo di far perdere chi avrebbe raccolto più voti, ha finito per consegnare entrambe le Camere all’Unione. Un capolavoro!
Infine, il voto agli italiani all’estero. Anche in questo caso quell’innovazione è stata introdotta nello scetticismo del centrosinistra (perché mai chi vive e lavora magari da decenni all’altro capo del mondo dovrebbe decidere su chi governa in Italia, mentre invece gli immigrati che vivono e lavorano qui, e qui pagano le tasse, magari anch’essi da molti anni, non possono neppure votare alle comunali?). Ma la Cdl era assolutamente convinta di fare il pieno di voti e di seggi tra gli emigranti. Ma il risultato finale è stato diametralmente opposto alle loro previsioni: non solo a raccogliere più voti all’estero è stato il centrosinistra, ma sull’attribuzione dei seggi è stato un cappotto, con un solo seggio su 6 assegnato alla Cdl.
In questo caso, la cosa curiosa è che gli stessi estensori della riforma elettorale hanno dimostrato di non conoscerla. I seggi senatoriali assegnati alle quattro circoscrizioni estere erano 2 per l’Europa, uno per il Nord America, 2 per il Sud America e uno per l’Asia e l’Oceania. E la nuova legge elettorale prevede che tali seggi siano ripartiti con sistema proporzionale, circoscrizione per circoscrizione. Ebbene, è evidente (non serve essere costituzionalisti, basta un’elementare conoscenza dell’aritmetica) che quando si applica il proporzionale per assegnare uno o due seggi, il sistema si comporta a tutti gli effetti come fosse maggioritario: ad aggiudicarsi i seggi sono le liste più votate. Cosicché, siccome il centrosinistra si è presentato con una lista unitaria dell’Unione, mentre il centrodestra si è presentato diviso (con le liste di partito: Forza Italia, An, Udc, Lega Nord, eccetera), in tutte le quattro circoscrizioni estere la lista dell’Unione è stata, com’era facilmente prevedibile, la più votata, facendo il pieno di seggi.
Tiriamo le somme. La Cdl è rimasta vittima della sua stessa arroganza. Tutti i trucchi escogitati per danneggiare l’Unione si sono rivoltati contro il centrodestra.
Che dire? La battuta viene spontanea (e legittima, visto che il termine è stato sdoganato dal Presidente del Consiglio): che coglioni!
Ora, verrebbe da aggiungere, chi è causa del suo mal pianga se stesso. E invece…
Ciò che ci si aspetta dal Governo Prodi, nei prossimi cinque anni, è anche un atteggiamento umile e disponibile al dialogo con l’opposizione, nella speranza di archiviare per sempre la stagione appena trascorsa, contrassegnata da uno degli esecutivi più arroganti della storia repubblicana.
Riuscirà la nuova maggioranza a resistere alla tentazione di badare soltanto alla spartizione del potere e a darsi come unica bussola quella di lavorare per il bene dell’Italia?
Staremo a vedere.