Un portaborse a capo della ricerca trentina?
La fulminante carriera di Alessandro DallaTorre, ex segretario di Dellai.
Il Corriere del Trentino di domenica 18 settembre ci informa che Alessandro Dalla Torre, il fedelissimo portaborse del presidente Dellai, dopo quasi quindici anni di onorata carriera, intraprenderà una nuova avventura lavorativa nientemeno come direttore della futura Fondazione Kessler, cioè l’Istituto Trentino di Cultura. Non è ancora chiaro quali mansioni dovrebbe avere questa figura, quale compenso (già si parla di 130 mila euro annui) e soprattutto quali competenze siano richieste per chiunque aspiri ad avere un ruolo di dirigenza in quella che sarà, insieme all’Università, un punto strategico per la ricerca in Trentino.
Il giorno dopo gli altri giornali locali confermano l’indiscrezione: tuttavia l’Adige, per sfortuna di Dalla Torre, ci dice che non ricoprirà il posto di direttore; sul Trentino il presidente dell’Itc Zanotti prende tempo ("Prima dei nomi io mi devo interessare degli assetti… prima di metterci a fare campagna acquisti pensiamo alle funzioni") e Dellai conferma la futura partenza del suo fido segretario ( è possibile che Alessandro "voglia fare una nuova esperienza professionale, ne avrebbe tutti i diritti").
I giorni successivi la ghiotta notizia scompare: se sono rose fioriranno.
Comunque sia, viene da chiedersi quali siano le competenze di Dalla Torre, quali i suoi meriti, quali le elevate qualità scientifiche e culturali che gli consentano di aspirare ad un posto simile. Incredibilmente lo stesso Corriere del Trentino, per spiegare questo arcano, cita alcune esperienze che renderebbero Dalla Torre un "autorevole candidato" : il ruolo di segretario di Dellai nel suo primo mandato di sindaco di Trento, la trasferta romana dal 1995 al ’97 per collaborare alla campagna elettorale dell’Ulivo, e ancora la sua attività di "primo segretario" di Dellai da quando quest’ultimo è presidente della Provincia. Se a questo curriculum si aggiunge la sua ventilata ma inesistente nomination ad assessore esterno della seconda giunta Pacher, si capisce che i meriti di Dalla Torre sono solo ed esclusivamente politici. E invero la sua è una lunga storia di militanza nel sottobosco partitico prima della Democrazia Cristiana, poi del PPI ed infine della Margherita.
Il dottor Alessandro Dalla Torre, classe 1964, è un giovane DC che si impegna all’inizio degli anni ’90 per un cambiamento sostanziale del partito, partecipa all’ultima scuola di formazione, lavora per la candidatura di Tiziano Salvaterra a segretario DC all’ultimo Congresso nel 1992. L’anno successivo fa parte dei Popolari per la riforma, il fallito partito di Mariotto Segni, capitanato in Trentino da Giorgio Tonini. Ma è Lorenzo Dellai il suo mecenate, il suo mentore, il suo datore di lavoro. Lo fa infatti diventare, oltre che suo portaborse, presidente dell’associazione "Centro Luigi Sturzo", la scatola cinese contenente la prima invenzione partitica dellaiana: i Democratici Popolari, con i quali Dellai rivinse le elezioni comunali nel 1995.
In questa veste Dalla Torre "scopre" e lancia Giuseppe Zorzi come coordinatore dei Comitati dell’Ulivo del Trentino, un’indicazione che si rivela abbastanza discutibile ma che comunque segnò l’inizio della carriera politica di Zorzi. Successivamente, per ragioni non del tutto evidenti il Nostro trasloca a Roma per lavorare presso la sede nazionale dell’Ulivo come segretario del segretario di Prodi e per finire l’università (ci riuscirà quasi dieci anni dopo, solamente alcuni mesi fa) dove diventa grande amico di Enrico Letta.
Tornato in patria e ovviamente ritornato sotto la protezione del principe Lorenzo, nel 1998 raggiunge l’ambita carica di presidente del morente partito popolare, mentre Dellai ne è il segretario.
Da questa posizione di prestigio Dalla Torre tenta il grande salto: essere eletto in Consiglio provinciale. Emblema di velleitarismo e presupponenza, il nostro Alessandro crede di avere in tasca quattromila voti, distribuisce un mitico santino con allegati veri semi di margherita che purtroppo non fioriranno mai e conclude la sua campagna elettorale (crediamo unico nella storia) in Alto Adige, per evidenziare che si tratta di una competizione regionale. Malamente bocciato dagli elettori, Dalla Torre ritorna al suo ruolo di sempre, manco a dirlo segretario di Dellai.
Tuttavia esiste un altro lato della poliedrica personalità del Nostro: la produzione letteraria di teorico e saggista politico. La sintassi contorta, barocca e artificiosamente dotta, già per altro approfondita da due articoli di Questotrentino del 2000 (Perseverare diabolicum e Barocco politichese), manifesta inequivocabilmente la sua statura intellettuale. Dalla Torre in quel tempo scriveva sovente sui giornali locali articoli funambolici nei quali si rivelano appieno le sue doti di scrittore, polemista, politologo, vera "testa d’uovo" della Margherita.
Un esempio fra tutti. Il 17 agosto 2000 sull’Alto Adige Dalla Torre così difendeva la professionalità dei portaborse, figure ovviamente considerate indispensabili per una politica sempre più complessa: "Le dinamiche che presiedono i molteplici circuiti della rappresentanza, sempre più ispirati dal principio maggioritario e dalla selezione diretta degli esecutivi, e la progressiva erosione della partecipazione a scapito dell’espansione di una forte domanda d’informazione, per rendere esplicito il segno di questo cambiamento con un esempio, hanno accentuato la tensione dei decisori pubblici nei confronti delle strategie ora della comunicazione politica ora della comunicazione istituzionale oppure di servizio". Lasciamo al lettore ogni commento.
Ma rovistando nel nostro archivio possiamo dare in esclusiva per i lettori di Questotrentino alcuni stralci dell’eccezionale e introvabile opus magnum di Dalla Torre. Un capolavoro di incomprensibilità che da solo gli varrebbe la nomina a direttore. Per capire la portata storica del testo che pubblichiamo occorre fare un passo indietro e ritornare ai primi mesi del 1999 poco dopo il successo di Dellai e della Margherita alle elezioni provinciali dell’autunno precedente.
Per qualche tempo l’invenzione dellaiana raggiunse gli onori della cronaca politica nazionale: venne addirittura organizzato un pullman per partecipare alla trasmissione televisiva di Gad Lerner "Pinocchio". Dalla Torre, da sempre autoproclamatosi ideologo del progetto, pensò allora di scrivere un instant book, un "libretto rosso" della Margherita, una "buona novella" da divulgare in ogni latitudine. Alla fine il progetto non andò in porto: probabilmente nessuna casa editrice capì il genio che si celava dietro quelle pagine. Ma qualche copia è ancora in giro, in forma di bozze. Trentasette pagine dattiloscritte, un distillato del peggior politichese dallatorriano che abbiamo imparato a conoscere dagli articoli apparsi sulla stampa locale.
Si incomincia definendo la Margherita come un progetto "inedito e non reazionario", perché incentrato sulla categoria di territorio. "L’identificazione aprioristica con uno specifico territorio consente, infatti una più immediata comprensione e definizione della missione politica associata a quella determinata proposta che consiste, sinteticamente ed in senso lato, nella promozione e valorizzazione di quella funzioni e di quelle vocazioni che qualificano e distinguono un determinato ambito geografico". Tautologia per dire che territoriale significa legato a un territorio.
Si parla poi, nelle pagine successive di "coordinate geopolitiche", "grammatica sociale viva e reattiva", "gerarchizzazione dei bisogni", "sovrastrutture illuministiche"; in materia ecologica, poi, la Lista Civica è riuscita a "introiettare sensibilità ambientali libere da irrigidimenti ideologici".
Scorrendo le pagine il tono si fa via via più aulico: la Margherita per il suo "sforzo della distinzione e del discernimento" diventa da subito una assoluta novità nazionale, perché ha compreso come "non sia possibile ripristinare il primato della politica se non azzerando ed elaborando la sua grammatica, le sue regole e procedure, la sua struttura ed il suo ruolo".
La sua mission riformatrice spazia dal Trentino all’Arkansas (con un paragone Dellai-Clinton), da Roma a Bruxelles. E vorremmo aggiungere dalle Alpi alle Piramidi, poiché Dalla Torre lascia ai posteri l’ardua sentenza sulla bontà della sua fenomenologia della Margherita. L’invenzione dellaiana "restituisce al termine pubblico un significato demoltiplicato da quegli eccessi ideologici che lo vedevano coincidere senza residui con la dimensione statale o con le sue articolazioni. Finalmente, e coerentemente con quello spirito del dettato costituzionale che la componente cattolica per prima aveva frettolosamente rimosso, questo termine viene collegato non necessariamente alla natura dell’ente erogatore di servizi, bensì ai destinatari o utenti del servizio medesimo, e cioè ai cittadini".
Nelle pagine conclusive giungiamo alla domanda delle domande: la Margherita è di centro o di sinistra, o magari di destra?
Dalla Torre considera questo un vecchio e sorpassato dibattito, perché la Margherita supera queste logiche. Farsi semplici domande è troppo banale: "Tra vecchio e nuovo chi indulge nelle semplificazioni, rovistando un po’, trova sempre nell’armamentario dei luoghi comuni qualcosa che si può adattare a tutti i fenomeni che gli si rappresentano".
La Margherita è invece "un modello di soggettività politica leggera e flessibile, più attenta ai processi che alle nomenclature, maggiormente reattiva alle dinamiche che l’agenda politica di volta in volta propone, più radicata e permeabile rispetto al contesto sociale di riferimento ed, infine, più incline a selezioni politiche e leadership dentro processi larghi e partecipati piuttosto che dentro logiche chiuse ed autoreferenziali."
Capito tutti? Questa sarebbe la nuova politica capace di avvicinare i cittadini al palazzo. In verità la mission di Dalla Torre lo fa assomigliare ad un dottor Azzeccagarbugli in grado di rendere incomprensibili le cose semplici per confondere, ammiccare, in fondo per non dire nulla.
L’ex-giovane Dalla Torre ci sembra un esempio neanche tanto riuscito del politicante tradizionale. Può darsi che ci sbagliamo, e che il suddetto, una volta arrivato a una qualche carica amministrativa, non combini danni particolari.
Però, con tutte le migliori intenzioni possibili, non riusciamo a vedere cosa possa avere a che fare un portaborse un po’ presuntuoso con la direzione del più importante istituto di ricerca provinciale.
Un esempio di malcostume? Certo, ma è il meno. Speriamo che le indiscrezioni giornalistiche si rivelino senza fondamento, perché altrimenti il fatto che Lorenzo Dellai possa accarezzare l’idea di affidare ad un siffatto personaggio, sicuramente senza grandi competenze, un posto così strategico, indicherebbe la fragilità delle scelte di fondo.
Che senso avrebbe sbandierare ai quattro venti la centralità della ricerca, investirvi denari a profusione, e poi affidare il tutto al suo eterno portaborse?